In partenza per la carovana Brasil em movimento

La Carovana inizia il 26 agosto 2013 e si concluderà il 6 settembre

22 / 8 / 2013

Da diversi mesi in Brasile si diffondono mobilitazioni e agitazioni sociali.

 Per quanto i media mainstream abbiano seguito soltanto l'ondata di proteste contro la Confederation Cup e l'aumento dei prezzi dei trasporti, quello che l' attualità del Paese ci consegna è la sua continuità conflittuale, le sue esperienze di autorganizzazione e la capacità di individuare e praticare un obiettivo comune.

 La contestazione alla visita di Papa Francesco, la delegittimazione sociale dei cittadini di Rio de Janeiro nei confronti del governatore Cabral, le lotte agricole contro l'imposizione di politiche di esproprio delle terre a favore della rendita speculativa, i collettivi universitari e la rete di occupazione delle case, nonché le realtà di comunicazione indipendente, sono tutte situazioni differenti che però riescono a formare una costellazione – sicuramente non lineare, complessa e contraddittoria -  comune di fattori politici e sociali, intrecciandosi e sovrapponendosi tra di loro.

 Come attivisti della carovana Brasil em movimento, vogliamo provare a comprendere le dinamiche di questa fertilità di movimento, ad entrare in contatto con chi in questo ultimo periodo ha partecipato alle mobilitazioni, con la consapevolezza che  è sempre difficile fotografare e rendere la complessità di un contesto socialmente diverso.

 I riduzionismi semplicistici che analizzano a partire da paradigmi e concetti prestabiliti non ci appartengono; piuttosto, ci interessa immergerci nella complessità brasiliana entrando in contatto con i suoi attivisti, le realtà politiche e le associazioni, osservando dove fanno politica e come operano sul loro territorio.

 Questo significa sicuramente marcare le differenze, ma anche ricercare quella dimensione comune che caratterizza il divenire dei conflitti all'interno della crisi del capitale globale e delle democrazie cosiddette liberali.  Le straordinarie mobilitazioni e la loro radicalità hanno collegato il Brasile agli altri paesi con un filo, scandito dai tumulti di piazza e dalle rivolte.

 Il Brasile, fin da giugno, ci ha infatti fatto vedere di essere una tra le molte fibre di un  filo; una fibra che solo nel suo sovrapporsi ad altre fibre diverse costituisce la robustezza comune del filo, cioè quel linguaggio che i tumulti e le resistenze all'arroganza della governance della crisi hanno scandito in Turchia, Tunisia e a Francoforte in occasione delle giornate di Blockupy.

 Da cosa lo deduciamo? Come facciamo a dire che tutti questi eventi scrivono una grammatica comune, seppur nelle loro differenze? Possiamo partire da dei tratti che le lotte brasiliane hanno condiviso, per utilizzarli come linee guida nell'analisi e in tutto il lavoro di inchiesta che accompagnerà la Carovana.

 Il territorio come comune

 Lo scoppio delle mobilitazioni ha visto esplodere parallelamente la questione del grande evento sportivo (costruzione dello stadio a Rio de Janeiro in primis, Confederation Cup e Mondiali come dirette conseguenze) e dell'aumento del prezzo dei trasporti. Da notare come entrambe le situazioni abbiano avuto un ruolo di reciproco detonatore: le resistenze alla costruzione del nuovo stadio in realtà sono iniziate molto prima del giugno 2013 da parte degli indigeni, i quali sono stati violentemente sgomberati da abitazioni occupate e non perché i loro palazzi interessavano i lavori di ampliamento dello stadio Maracana. Il governo di Rio attraverso questa manovra ha utilizzato la strategia delle nuove costruzioni urbane come dispositivo per normare ed escludere una parte della città dissidente, quella appunta rappresentata dagli indigeni e dai movimenti per l'autonomia delle comunità e di lotta per la casa, in vista delle partite di calcio. Eppure, la rivendicazione e l'intera inchiesta sociale sul grande evento è riuscito a generalizzarsi quando si è paventata l'intenzione di aumentare i costi dei mezzi pubblici. Che tipo di connessione si è stabilita? La contraddizione principale che è emersa sembra essere quella legata alla democrazia nei territori: le esigenze e i desideri di chi vive e arricchisce i territorio e la negazione di un potere decisionale su di essi. Le due questioni sono entrate in costellazione agendo secondo le stesse modalità, perché la restrizione del diritto del singolo, che sia la casa o la possibilità di accedere ai mezzi, è stata vista come l'usurpazione della capacità di incidere e costruire un territorio a seconda delle relazioni delle forme di vita che lo abitano, che sono necessariamente collettive. La composizione metropolitana precaria che vive, produce e si riproduce nel tessuto della città, nei suoi flussi, ha visto nell'attacco al trasporto un attacco alla loro cittadinanza e al terreno di soggettivazione (come possibilità di fare nuove relazioni e organizzarsi); allo stesso tempo, gli indigeni si sono visti privare della possibilità dell'indipendenza e ad un'abitazione degna, di affermare i loro bisogni e desideri. Possiamo quindi vedere che il territorio stesso viene praticato dai movimenti sociali brasiliani come comune, una dimensione che non vede collidere gli interessi particolari o singolari con quelli collettivi.

 Diritto alla città e pratiche di cittadinanza

 Questa concezione del territorio come comune si lega molto alle dinamiche che abbiamo visto in Spagna e negli Stati Uniti, ma ancor di più alla trasformazione che ha investito Gezi Park a Instanbul. A partire da un vertenza che voleva difendere un bene comune, sia questo lo spazio della metropoli e il suo accesso oppure un parco storico, dall'arroganza della speculazione e della rendita parassitaria del capitale, abbiamo visto stabilirsi veri e propri momenti di democrazia dal basso contrapposta all'autoritarismo di Stato, la cui funzione è ormai sempre più la neutralizzazione dei conflitti in nome dell'unità pacificatoria. Le tende a Gezi Park e la determinazione nel respingere i criminali assedi delle forze dell'ordine non sono così lontane dalle piazze e strade invase dai brasiliani, dai palazzi accerchiati dalla moltitudine organizzata che in quei momenti ha delegittimato pienamente la rappresentanza statuale. Il diritto alla città, cioè di decidere sulla sua conformazione in base alle soggettività che la vivono, e una nuova pratica di cittadinanza si intersecano in maniera dirompente: le mobilitazioni brasiliane – così come quelle che nell'estate sono scoppiate nell'Euro-mediterraneo – tracciano una visione alternativa della politica direttamente interna e contrapposta alla gestione neoliberale della crisi. Se le tecniche del governo Erdogan e Rousseff intendono “regalare” alla rendita finanziaria gli istituti del welfare state e dei beni comuni perché in quanto ambiti della riproduzione sono la fonte qualitativamente maggiore per la valorizzazione capitalistica, dall'altra parte i movimenti hanno affermato con forza la proprietà comune di questi luoghi, il loro diritto a gestirli collettivamente e allo stesso tempo un'altra via per uscire dalla crisi che parla di redistribuzione della ricchezza. Oltre alla sfiducia completa nel loro ceto politico dirigente e al moto destituente che le moltitudini brasiliane hanno manifestato, i tumulti a Rio e a Sao Paulo hanno immediatamente aperto un campo del possibile, re-immaginando la politica e le relazioni sociali. L'invasione delle città e tutti percorsi di lotta che si ricomponevano in quei giorni di mobilitazione hanno dimostrato di avere un potere costituente, cioè di rottura e di costituzione di un'altra dimensione politica possibile.

Per esempio, gli investimenti spropositati per un grande evento come la Confederation Cup sono stati prelevati dalle spese sociale, come la sanità e i trasporti, per accrescere le entrate delle oligarchie del paese, degli investitori, di tutti coloro che non rappresentano il benessere generale: basta vedere come, appunto, tutta una parte della città di Rio sia recintata fuori o esclusa in maniera coatta dall'evento sportivo, come gli indigeni e le favelas (a cui sicuramente la presenza di turisti non gioverà per l'economia). La crisi del mondo agricolo e contadino, come inchiesta e documenta il Movimento Sem Terra,  è determinata  da politiche economiche atte a subordinare i lavoratori e i prodotti alle logiche del capitale finanziario, provocando un impoverimento delle persone e della terra in termini di produttività e biodiversità. Ed è qui che, riconoscendo il lavoro e il sapere vivo che producono quella ricchezza, i movimenti richiedono una sua redistribuzione in termini di reddito diretto ed indiretto. Alcune esperienze di lotta parlano con questi termini, implementando la pratica di cittadinanza come rivendicazione di diritti sociali che non si può staccare da una gestione collettiva delle risorse e della ricchezza socialmente prodotta. L'occupazione delle case, delle terre, l'istituzione della Comun di Jandira, la cooperativa indipendente COPAVI a Santa Maria d'Oeste vanno in questa direzione.

A questo proposito, è' sicuramente interessante soffermarsi sul nesso tra livello e diffusione moltitudinaria delle lotte e sviluppo capitalistico. Il Brasile è infatti uno dei paesi emergenti dei BRICS, il cui pil è in crescita nonostante la crisi globale, tutte le contraddizioni interne e le sacche di povertà metropolitane (come le favelas). Laddove questa ricchezza c'è e viene percepita, la rivendicazione immediata è che debba appartenere a tutti coloro che la fanno circolare e la producono; pertanto i movimenti si oppongono e difendono tutti gli spazi comuni, che nascono dalla cooperazione e dalle relazioni sociali come il welfare e la città, vedendo come un esproprio il tentativo di smantellarli e relegarli alla speculazione.

Per tutti questi motivi possiamo dire che il Brasile è  stato attraversato da pratiche di cittadinanza nuova, che rompono con l'ordine costituito e tramite dinamiche conflittuali si riappropriano della loro capacità di decisione democratica, potenzialmente alteristituzionale.

 Sport indipendente

 Com'è stato possibile che anche il calcio, visto dai più come una religione in Brasile, sia stato deflagrante per le mobilitazioni? Sicuramente il mondo calcistico è stato un dispositivo di controllo sociale che ha anche contribuito a creare un immaginario di mobilità ascendente, soprattutto per i giovani cresciuti nelle zone più povere del paese. Ma quello che in questi mesi è saltato è la connessione tra sport e giustizia, tra calcio e benessere per tutti. Nel momento in cui vengono imposti costi esorbitanti, tagli alla spesa sociale ed esclusione dalle zone dello stadio, il calcio inteso come grande evento perde ogni tipo di caratteristica sociale: l'aggregazione altra che permette di eliminare le disparità, stabilendo un tipo di rapporto orizzontale tra i suoi giocatori. Molte infatti sono le esperienze, tra cui anche della UISP, che all'interno delle favelas utilizzano il gioco sportivo per immaginare un modello di società includente, senza discriminazioni, in cui sia possibile concepire una cittadinanza in termini di partecipazione e uguaglianza. Sicuramente, anche questo fattore e il dislivello visto con il calcio mediatico e spettacolare hanno contribuito a far saltare l'immaginario sportivo, contribuendo a fare una ricomposizione sociale molto trasversale, dai giovani precari cognitivi ai lavoratori del primo e secondo settore e gli abitanti delle favelas.

 Questi possono essere solo alcuni dei  tratti comuni che ci fanno accostare il Brasile all'Euro-mediterraneo dei tumulti. Chiaramente, non pretendiamo di essere esaustivi e completi nel lavoro di reportage e inchiesta della Carovana, perché non sarà una semplice cronaca, quanto una continua contaminazione, scambio e creazione di relazioni tra due situazioni estensivamente distanti ma intensivamente ravvicinate, come le  lotte in Italia e l'attività costante di cooperazione indipendente dei centri sociali. 

E' con questo metodo che attraverseremo le città di Rio de Janeiro, Sao Paulo e Santa Maria d'Oeste, pronti a fermarci per capire, approfondire e condividere, ma sempre in movimento.

PROGRAMMA:

La Carovana inizia il 26 agosto 2013 e si concluderà il 6 settembre

PRIMA TAPPA Rio de Janeiro, dove si svolgeranno incontri con le realtà di base e i movimenti sociali per conoscere direttamente il pesante impatto sociale delle grandi opere costruite per i mega-eventi sportivi e i motivi della protesta

SECONDA TAPPA San Paolo da si svolgeranno incontri con il MST e realtà di base urbane attive nella lotta per i diritti sociali dalla casa all'istruzione

TERZA TAPPA  Assentamento Santa Maria, Paranacity, Stato del Paranà per visitare la Cooperativa COPAVI del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra, da cui Ya Basta importa lo zucchero "Açucar do Brasil"

Eventi

25/8/2013 > 9/9/2013