La protesa nelle strade

Iran - Dall’onda verde alla mareggiata

Desideri oltre il controllo

16 / 6 / 2009

La piazza Azadi, simbolo principale della rivoluzione del ’79, poche volte è stata così gremita. Alla fine, nonostante il rifiuto dell’autorizzazione, ogni paura è stata vinta e una massa enorme di persone, ancora una volta molte donne, ha sfilato nel cuore di Teheran arrivando poi a paralizzare interi porzioni della città.

È stata una risposta netta ed emozionante a chi ha etichettato in questi giorni i contestatori come pochi delinquenti. Due o forse tre milioni di persone che hanno riproposto in strada la loro voglia di protagonismo con determinazione e senza alcuna forma di violenza. Purtroppo la grande giornata di martedì è stata drammaticamente segnata dalla morte di alcuni ragazzi colpiti da proiettili. Proviamo però a fare qualche passo indietro.

Queste ultime sono state giornate in cui stati d’animo tra loro profondamente diversi si sono susseguiti con un velocità molto elevata. Si è passati dalle feste e dai cortei pre-elettorali, segnati da un’atmosfera tutto sommato gioiosa, alla durezza delle contestazioni degli ultimi giorni, dalla convinzione della vittoria di Mousavi alla cruda realtà dei contestati risultati elettorali e dunque della riconferma di Ahmadinejad. In questa situazione estremamente complessa e spesso difficile da decifrare a causa dei forti limiti imposti agli scambi delle informazioni, si possano individuare due terreni di ragionamento. Il primo, forse anche per importanza, ha a che fare con ciò che succede nelle strade di Teheran da almeno due settimane. La grande presenza di iraniani nelle strade della città si è espresso in due forme decisamente diverse.

Nei giorni prima delle elezioni la presenza massiccia di ragazzi nelle manifestazioni di sostegno ai candidati esprimeva in termini quasi sempre festosi il desiderio di fare la propria parte nel contesto elettorale e di utilizzare la situazione di relativa tolleranza per esprimere comportamenti che nello spazio pubblico erano inimmaginabili fino a qualche settimana prima. Anche quando cori, slogan, cortei e blocchi stradali esprimevano dissenso generale verso i limiti ad alcune libertà politiche e civili, ciò che si percepiva era un clima di ottimistica attesa. Ora il contesto è fortemente mutato. Le contestazioni e gli scontri diffusi per la città sono segnati dalla rabbia e il rancore di molti giovani verso le politiche degli ultimi anni si trasforma in atteggiamenti  violenti verso i quali la risposta delle forze dell’ordine è altrettanto violenta. Non sono solo le barricate, i cassonetti incendiati e i duri scontri a darci l’immagine della radicalizzazione delle contestazioni, ma lo è pure la trasformazione degli slogan utilizzati. Da quelli sarcastici nei confronti di Ahmadinejad come “Ahmadi bye bye” o “non vogliamo il governo delle patate” (il riferimento è la presunta distribuzione di patate che il presidente ha fatto in zone rurali per accaparrarsi voti), a slogan cantati negli anni della rivoluzione come “uccido chi uccide i miei fratelli”  e cori come “morte ai taleban che siano a Kabul che siano a Teheran”.

L’imponente corteo di martedì si presenta forse come punto di congiunzione tra questi due spiriti della contestazione. Un corteo al quale hanno partecipato diverse generazioni di iraniani e persone di tutti i ceti sociali, i quali hanno contestato i risultati delle elezioni inneggiando alla vittoria di Mousavi e ribadito il desiderio di forti trasformazioni nella distribuzione delle ricchezze provenienti dalla vendita del petrolio e nel terreno dei diritti civili e politici. 

Nei piani della politica istituzionale ed intorno ad alcune figure chiave  possiamo cercare il secondo terreno di ragionamento.  Ahmadinejad, appoggiato dal leader supremo Khamenei, ha festeggiato dicendo di essere il presidente di tutti gli iraniani, ha detto che continuerà la sua battaglia contro la corruzione e ha aperto più che uno spiraglio ai rapporti con gli USA dichiarando di essere pronto a invitare Obama a un tavolo di trattative.

I suoi sono stato toni moderati, ma rimane il fatto che intorno alla sua figura ruotano gli esponenti della classe politico-religiosa più conservatrice, figure che lavorano da sempre per rallentare le progressive innovazioni che si sono imposte nella società iraniana. Nel fronte moderato o cosiddetto riformista, e quindi da personalità come Rfsanjani o Khatami,  dalla notte elettorale in poi è giunto soltanto un pesante silenzio. Un silenzio spezzato dalla partecipazione di Mousavi al corteo di oggi e da alcune dichiarazioni del presidente del parlamento Larijani, il quale ha denunciato alcuni atteggiamenti della polizia. Quello che molti esperti ipotizzano è che ci sia uno scontro di potere all’interno della classe politica. Alcuni giudicano le mosse di Ahmadinejad e del leader spirituale Khamenei come un tentativo di mettere in un angolo personalità politiche e religiose che, per quanto interni all’apparato istituzionale del regime islamico, potrebbero rappresentare una sponda politica preziosa per la popolazione all’oggi al quanto disorganizzata e priva di una prospettiva politica organica. In queste ore ciò che prevale è un’atmosfera di nervosa attesa. Ci sono notizie dell’ipotesi che ci siano raid per sequestrare tutti i satelliti dalle case per continuare l’isolamento del paese e i basiji continuano le ronde notturne in molti quartieri per intimidire i residenti.

Il mondo conservatore esclude la ripetizione delle elezioni, i riformisti faticano a trovare spazi di visibilità per pronunciarsi, gli scontri  e diverse forme di manifestazione continuano senza sosta e di certo non possono più essere sottovalutate. Comunque vada l’intensa ed appassionata  partecipazione popolare alla vita del paese ci dà la fotografia di una società dinamica, sveglia e ostinata a far entrare i propri desideri nell’agenda dei detentori del potere politico.