Lunedì 24 ottobre circa 1900 migranti sono stati ridistribuiti nei 280 CAO, Centri di accoglienza e di orientamento, previsti dalle prefetture francesi per alloggiare a tempo indeterminato i richiedenti asilo. Solo 45 autobus sono partiti sui 60 previsti il primo giorno di sgombero della bidonville. Martedì circa un migliaio le partenze registrate, mentre oltre la metà degli accampati non si allontanava da ciò che resta del campo in via di demolizione, sotto i riflettori invadenti e permanenti dei giornalisti accreditati dalla prefettura che ha organizzato un programma di veri e propri tour accompagnati. Assistiamo alla distruzione della "jungle" in diretta, allo sfollamento militarizzato con il suo registro dei numeri in cui si contano posti e autobus, mentre si ignora il destino sempre più drammatico di chi cerca di raggiungere la costa inglese.
Tutto parte col fumo alle spalle del mezzo km attualmente più fotografato d’Europa. Quello dove si concentrano centinaia di metri di barriere metalliche per filtrare, regolare, controllare la circolazione delle persone, decine di mezzi della polizia e interminabili file di uomini, donne e bambini, ragazzi con bagagli, zaini, valigie e borse diretti da qualche parte in Francia. In villaggi, paesi o città più o meno grandi di cui la maggior parte di loro scopre il nome all’arrivo. Una lezione di geografia lunga quanto il tragitto in autobus. Quasi tutti i legami e le relazioni costruite durante la permanenza nell’accampamento vengono rotte, pochi sono quelli che riescono a non dividersi sia per mancanza di posti sia per ragioni amministrative o di status giuridico.
Da mercoledì le partenze si sono fatte sempre più rare,
molti rifiutano di andarsene o di partecipare al viaggio organizzato dal
ministero degli Interni e hanno deciso di accompagnare l’agonia della "jungle"
e gli ultimi momenti di vita collettiva. Aspettano la Polizia e come ogni sera
proveranno ancora a passare, continueranno a tentare di salire sui mezzi in
transito spostandosi di qualche km, o tornando nei soliti posti una volta
scemata l’attenzione mediatica e la presenza di foto-video reporter e polizia.
La fase coercitiva dell’evacuazione è comunque cominciata ben prima
dell’operazione "umanitaria". Il fatto stesso di controllare la zona
con ordinanze prefettizie nel quadro della legge d’emergenza e il conseguente
accesso al campo delle forze dell’ordine (tutti i corpi, comprese quelle in
civile come la BAC, Brigade Anti-Criminalité), seguite poi dai mezzi di
demolizione (dell’impresa Vinci, la stessa che ha in appalto l’evacuazione
della ZAD, Zone à défendre contro la grande opera di devastazione
ambientale a Notre Dame-des-Landes), non è certo un invito alla
"libera scelta" di restare in Francia.
Infatti, chi si oppone alla partenza teme di finire nei CRA (Centro di
detenzione amministrativa) al momento saturi; sussiste, quindi, un ulteriore dubbio
rispetto alla prospettiva del tempo di permanenza nei CAO che restano un luogo
di alloggio temporaneo, dove i migranti che decidono di richiedere l’asilo
sanno che corrono il rischio di essere respinti in Italia o in Grecia dove
hanno rilasciato le loro impronte digitali.
La sicurezza per buona parte degli abitanti della "jungle",
almeno un terzo, si riduce al rimanere nella capanna fino all’ultimo e poi
cercare un nascondiglio nei dintorni in attesa di realizzare l’obiettivo per il
quale hanno rischiato la vita tante volte. Una minima parte sceglie di tornare
a casa con il fondo destinato al ritorno volontario.
E quando arriva il momento di andarsene, davanti ai bulldozer scortati dai CRS
si cerca riparo ed è la ragione che ha spinto in queste notti qualche centinaio
di minori a farsi ospitare nelle moschee della "jungle".
MSF, Médecins sans frontières ha denunciato la modalità dei controlli
ai migranti che vengono registrati ed ha smesso di indirizzare i minori al
censimento a cui sono destinati: una verifica sommaria, a vista e in meno di 5
minuti, che dipende da un solo agente del personale britannico il quale valuta se
chi ha davanti "sembra davvero giovane" e minore di 18 anni.
Gli avvocati del supporto giuridico non hanno ottenuto l’accesso "per
motivi di sicurezza" né alla bidonville e al Centre Jules Ferry, né alla
zona di registrazione dei migranti, e non è stato possibile verificare se in
questa operazione di "protezione dei migranti" la selezione viene
effettuata nel rispetto del diritto. Le scene descritte dai presenti più che
scandalose sono terribili: si viene scartati o messi da parte senza neanche
rispondere alle domande. Per legge, le persone che si dichiarano minori hanno
diritto ad essere ricevute ed a fornire tutti i dettagli che potrebbero
aiutarle nella procedura di ricongiungimento familiare. Chi ha dei documenti da
presentare per far valere i suoi diritti deve insistere e impuntarsi, sperando
che qualcuno lo ascolti per non finire nella fila "normale" che
significa partenza diretta per il CAO e iter amministrativo da ricominciare da
capo. A volte un dettaglio che, nel contesto generale, può sembrare accessorio,
la dice lunga sulla "protezione" che lo Stato pretende di garantire:
i nomi e cognomi dei migranti vengono registrati al computer da un militare (in
civile) che li trascrive per come vengono pronunciati. Si oscilla costantemente
tra un remake di Vichy e un altro di Ellis Island.
C’è grande tensione da parte dei più giovani che non sanno
cosa può accadere di ora in ora. Martedì e mercoledì le donne ospitate nel
Centre Jules Ferry hanno organizzato una manifestazione per chiedere
l’accoglienza in Gran Bretagna, non sanno cosa riserva loro lo smantellamento
del campo di Calais, non vogliono restare in Francia perché hanno mariti o
parenti in Inghilterra che intendono raggiungere. Per la terza notte
consecutiva migliaia di migranti dormono ancora all’aperto senza alcun riparo.
La sera la polizia ha rastrellato le centinaia di persone ammassate sotto le
coperte tra borse e valigie, in prossimità del capannone utilizzato per
registrare le partenze. I migranti sono respinti con la violenza nella "jungle"
distrutta.
Centinaia di migranti si accampano sotto i ponti e molti minori circolano in
città a Calais.
Le autorità pubbliche hanno voluto il campo di Calais per
"decoro" e "dignità", perché hanno spinto migliaia di
migranti installati in città e nella vecchia "jungle" a sistemarsi
occupando un terreno dove poi si è creata la bidonville. L’emergenza come
metodo e l’incuria dei servizi dello Stato permettono l’operazione
"umanitaria" senza rispetto delle leggi che inquadrano in particolare
la protezione dei minori. La stessa logica oggi serve a cacciarli, per aiutarli
li si chiude in un ghetto e sempre per aiutarli li si sgombera.
Da giovedì non è permessa alcuna presenza nell’area della "jungle".
Le autorità hanno comunicato all’AFP (Agence-France-Presse) che 5.596 migranti
sono stati "messi al riparo" dall’inizio dello smantellamento e della
demolizione.
Comincia, ora, la fase degli arresti e della caccia all’uomo.
Non c’è dubbio che la confusione regna e che i previsti
6.500 "volontari" su 8.200 recensiti (l’80% delle presenze) che
sarebbero intenzionati a lasciare la più grande bidonville europea in meno di
una settimana sono un’invenzione di Cazeneuve, ministro dell’Interno del
governo Hollande. Ma anche di quelle associazioni usate dalla prefettura per
"monitorare" la "jungle" che hanno agevolato l’operazione
di propaganda elettorale. Tutto sotto controllo, assicurano, ma fino a quando?
Calais resterà un luogo dove convergeranno i migranti dal Sud dell’Europa.
L’evacuazione della "jungle" presentata come un "dovere morale
nei confronti dei minori isolati", per non parlare del forzato "incoraggiamento
a chiedere asilo in Francia" o a "rivedere il (proprio) progetto
migratorio", sono formule vuote e mediatiche che evitano di far fronte
strutturalmente alla questione posta dalla chiusura delle frontiere come unica
prospettiva offerta a chi arriva in Francia.
In questi ultimi quindici anni, tutti i dispositivi di "accoglienza"
messi in campo secondo un modello di gestione dell’emergenza, invece di
assumere totalmente il sistema esistente di protezione e di diritti a garanzia
dei migranti e renderlo operativo, si sono rivelati fallimentari. Questo ha
indotto i successivi governi francesi ad adattare il linguaggio alle esigenze
elettoralistiche, evitando di potenziare le strutture per l’accoglienza e, di
fatto, a non cambiare l’atteggiamento di netto rifiuto nei confronti di
un’ospitalità dovuta.
Per questo oggi esiste una situazione aberrante come quella
di Calais con l’evidente responsabilità politica a carico dell’intero arco
politico che ha lasciato all’abbandono, in condizioni umanamente degradanti,
decine di migliaia di persone in transito verso l’Inghilterra. Situazione che
non verrà risolta con l’evacuazione forzata della "jungle", né con la
deportazione in posti sconosciuti della metà della sua popolazione.
Resta un solo auguri , il saluto di ogni giorno passato nella "jungle":
"Good luck my friend"!