Kobane, un anno dopo

Oggi è l'anniversario della liberazione di Kobane, luci e ombre di quanto successo nel corso dell'anno

26 / 1 / 2016

Sono passati 365 giorni dalla liberazione di Kobane.

Sono cambiate tante cose, tanto è successo, e non possiamo nascondere luci e ombre nell'evolversi della situazione in tutte le aree del Grande Kurdistan.

La vittoria di Kobane è stata seguita, nei mesi successivi, da altre importanti conquiste: da Hassakah a Shengal, passando per la continua e costante ripresa di villaggi e città nelle pianure desertiche del nord della Siria, alla più recente vittoria a Tishrin e il passaggio dell'Eufrate, mettendo così nel mirino Jarabulus e le ultime roccaforti del Califfato a ridosso del confine turco.

In quest'ultimo anno abbiamo imparato a conoscere i curdi e la loro rivoluzione. Siamo stati al loro fianco quando si trattava di raccontare al mondo intero le loro storie e da cosa scappavano. Abbiamo ammirato il coraggio e l’amore dei combattenti e delle combattenti dello YPG e YPJ.

Li abbiamo aiutati materialmente e abbiamo portato la loro voce nei nostri spazi, rendendo la loro lotta e la loro rivoluzione un tema che riguardasse  tutti, contribuendo così a rendere i curdi, e il confederalismo democratico, l'unica alternativa valida alla guerra civile siriana.

Ancor di più oggi siamo di fronte ad una situazione in cui il mondo intero s’interroga su come porre fine all'endemico problema del terrorismo che ciclicamente colpisce le nostre capitali, ignorando completamente chi già da tempo esplicitamente si erge tutti i giorni come unico baluardo di fronte a questo tipo di fenomeno: non solo pensando ad una vittoria militare ma proponendo altresì una soluzione politica alle dispute che attraversano le linee di frattura di tutto il Medio Oriente. Dalla Libia all'Iraq, l'unico argine al dilagare del fondamentalismo islamico è ormai palese che non siano efficaci le politiche securitarie messe in atto da governi fantoccio, da generali vestiti da presidenti o da tavole rotonde dove le uniche parole spese riguardano il numero di bombardieri da schierare nelle basi medio-orientali e non una vera e propria soluzione politica al conflitto. A tale proposito sembra sempre più assordante il silenzio dei leader europei sull'ambigua posizione della Turchia.

E' da oltre un anno che la presenza di attivisti prima sul confine turco-siriano, poi nelle città del Kurdistan turco documenta e denuncia la totale complicità del governo turco con le milizie del Califfato. Ed è qui, in queste aree che il conflitto siriano ha preso una nuova direzione: quella della guerra all'autonomia dei curdi. Kobane ha dimostrato, a tutto il mondo, la forza di questo popolo senza Stato, che ha saputo superare l'idea stessa di Stato, proponendo un nuovo paradigma politico, rivoluzionario, capace di scombinare tutti i disegni egemonici non solo dell'area ma anche del mondo occidentale. Kobane ritorna quindi come un monito, come un precedente importante, che ha dato coscienza ed ha aperto gli occhi al popolo curdo stesso. La resistenza della città al confine turco-siriano ha creato un immaginario politico e culturale che sarà difficile soffocare, infatti, la presa di coscienza dei propri mezzi e capacità ha fatto sì che il popolo curdo si rialzasse in piedi e ricominciasse a chiedere, con gran forza, diritti e democrazia. Non solo nella Rojava assediata dallo Stato Islamico, ma anche in Turchia.

Quello che sta succedendo nel sud-est dell'Anatolia dallo scorso luglio è un sintomo. Sintomo di questa rinascita: come se una fiamma che per anni è rimasta al minimo avesse ripreso vigore e forza. La lunga serie di soprusi delle forze di polizia, che in questi anni non hanno fatto che aumentare, legate al costante aumento della conflittualità politica soprattutto grazie alla crescita esponenziale del potere politico ed economico dell'entourage del Presidente Erdogan e dell’apparato militare di cui dispone e di cui ha guadagno il rispetto e il controllo, hanno fatto sì che la situazione esplodesse. Le bombe di Stato, gli omicidi politici, le manifestazioni represse e l'arresto del dissenso hanno inasprito la situazione, già molto instabile.

Erdogan, utilizzando una famosa citazione del generale prussiano Von Clausewitz “la guerra non è che la continuazione della politica se non con altri mezzi”, ha deciso di utilizzare proprio la guerra come proseguimento della sua personale politica contro i curdi, solo con altri mezzi. Niente di più vero, alla luce dei fatti degli ultimi mesi. Il numero inverosimile di arresti legati alle operazioni di polizia; l'imposizione di regime di coprifuoco in quartieri e intere città, come Diyarbakir e Cizre solo per citarne due esempi clamorosi, per settimane o addirittura mesi ci parla di un cambiamento netto di strategia che, in ultima analisi, si ricollega a contrastare apertamente la vittoria di Kobane e tutte le altre vittorie che il popolo curdo ha saputo conquistare negli ultimi mesi. Per stessa ammissione del Primo Ministro turco Davutoglu, fautore e ideologo delle linee guida del Governo turco, si evince come la vittoria di Kobane sia stata un punto di svolta anche per l'establishment turco stesso verso i curdi e le loro rivendicazioni di autonomia. Per questo non possiamo che essere ancora di più dalla parte di chi combatte le ingiustizie e di chi combatte lo Stato Islamico, in altre parole la massima espressione del terrorismo internazionale di matrice islamica odierna.