La “caccia a mosche e tigri” continua - VI sessione plenaria del PCC

31 / 10 / 2016

Rafforzare la disciplina in seno al Partito: questa la tematica fondamentale della VI sessione plenaria del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese conclusasi il 27 ottobre scorso a Pechino, dopo tre giorni di riunione a porte chiuse.  Il "conclave rosso" - come è spesso definito per l’altissimo livello di segretezza - si è concentrato principalmente sulla lotta alla corruzione, definendo il rigido controllo del Partito (从严治党) come tema centrale della sessione plenaria appena conclusa.

Il comitato officiale ha poi annunciato ufficialmente che il XIX Congresso del Partito si terrà nel secondo semestre del 2017. Questa occasione vedrà il ricambio di molte poltrone al vertice. Solo Li keqiang e Xi Jinping infatti manterranno le cariche, mentre gli altri cinque membri del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico, il massimo organo decisionale, dovranno lasciare il seggio per raggiunti limiti d’età (68 anni è la soglia stabilità per i membri del Comitato Permanente del Politburo). Nella prassi attraverso cui viene selezionata la dirigenza cinese, sono i leader uscenti che stabiliscono quelli entranti. È dunque ragionevole ritenere che la classe dirigente nominata l’anno prossimo sarà composta da soggetti leali a Xi Jinping e che quest’ultimo cementificherà ulteriormente il suo potere. 

Vi è poi un’altra novità che riguarda lo stesso Xi: egli è stato elevato al grado di "nucleo" del Partito Comunista Cinese. 

Tale dicitura è stata introdotta per la prima volta da Deng Xiaoping all’indomani dei fatti di Tienanmen del 1989. Rimosso l’allora segretario del Partito, Zhao Ziyang - accusato di simpatizzare per i manifestanti - Deng, in lungo discorso pronunciato il 16 giugno, definì se stesso "nucleo della seconda generazione di collettivo dirigente" e Jiang Zemin "nucleo della terza". L’intento era quello di ricreare una certa stabilità politica anche - e soprattutto - all’interno del Partito, ma altresì di conferire a Jiang Zemin l’autorità necessaria per portare avanti le riforme economiche. La dicitura “nucleo del collettivo dirigente” vuole sottolineare come il segretario generale altro non sia che un primus inter pares all’interno di gruppo dirigenziale; essa mira quindi a prevenire un'inappropriata concentrazione di potere, scongiurando così il verificarsi di una deriva autoritaria già sperimentata in epoca maoista. 

Otre a Jiang Zemin, anche il suo successore, Hu Jintao, era stato prescelto dal Piccolo Timoniere. Xi Jinping è dunque il primo dirigente a non essere direttamente indicato da uno dei padri fondatori della Repubblica Popolare Cinese ma, a quanto pare, tale mancanza non ha minato la sua autorità e oggi egli appare meno un primus inter pares, che primus inter inferior

Xi Jinping non ha perso tempo nell’assumere le più alte cariche del Partito-Stato. Durante il XVIII congresso, tenutosi nel novembre del 2012, oltre alla nomina di segretario generale del Partito, Xi ha assunto anche quella di presidente della Commissione Militare Centrale del Partito, anticipando i tempi rispetto a Hu Jintao, il quale aveva dovuto attendere tre anni prima del conferimento di tale carica. Per di più, già nei primi mesi del suo mandato, Xi Jinping ha cementificato il suo potere ponendosi a capo di quattro commissioni che hanno l’ultima parola sugli aspetti strategici più importanti della vita politica, sociale ed economica, sottraendo al primo ministro il monopolio esclusivo sulle politiche economiche. 

Ma è sicuramente la lotta alla corruzione il cavallo di battaglia dell’attuale segretario generale.  

Rigido controllo del Partito (从严治党), tema centrale di questa sessione plenaria, è infatti uno dei costituenti dei "quattro omnicomprensivi" (四个全面). Questo concetto con molta probabilità rappresenterà il contributo ideologico proprio di Xi che verrà inserito nello statuto del Partito e nella Costituzione della RPC, così com’è stato per quelli dei leader precedenti (la teoria di Deng Xiaoping; le "Tre Rappresentatività" di Jiang Zemin e la "Visione di sviluppo scientifico" di Hu Jintao). I quattro omnicomprensivi sono: costruire una società moderatamente prospera; rafforzare le riforme; governare la nazione secondo la legge; controllare in modo rigido il Partito. Ma, mentre si sente parlare da tempo dei primi tre principi, il "rigido controllo del Partito" è il marchio che contraddistingue il governo di Xi Jinping e i quattro anni appena trascorsi ne hanno visto la piena implementazione. 

Appena nominato segretario generale del PCC, Xi Jinping aveva annunciato che avrebbe condotto una pulizia all’interno del Partito, coinvolgendo sia le "mosche" - i quadri dei livelli di base - che le "tigri" - i dirigenti dei più alti livelli. Così è stato. Dal 2012 ad oggi, la campagna anticorruzione e di moralizzazione ha investito tutti i livelli dell’apparato Partito- Stato e, tra le vittime più di spicco, si annoverano Zhou Yongkang - ex capo degli Apparati di Sicurezza e membro del Politburo dal 2007 al 2012, condannato all’ergastolo nel 2015 - e Huang Xingguo, capo del Partito di Tianjin, silurato di recente. Inoltre, nel corso di questa sessione plenaria, il Comitato Centrale ha approvato l'espulsione di altro quattro funzionari, ovvero dell'ex vice capo del partito di Pechino, Lyu Xiwen, e di due ex funzionari di alto livello dell'esercito cinese, Fan Changmi e Niu Zhizhong, nonché dell'ex capo del Partito Comunista della provincia nord-orientale cinese del Liaoning, Wang Min. In particolare, nel mese scorso il Liaoning era stato al centro di un grosso scandalo di frode nel processo di elezione dei membri all'Assemblea Nazionale del Popolo locale, il parlamento cinese, e il caso era stato definito dall'agenzia Xinhua "senza precedenti dal 1949", ossia dalla nascita della RPC.

In breve, quella in atto sembra essere una vera e propria guerra che coinvolge tutti i gradi dell’apparato Partito-Stato ed è a oggi la più lunga e duratura di altre iniziative simili intraprese in passato. 

Che la corruzione fosse dilagante e costituisse uno dei principali motivi di dissenso da parte del popolo nei confronti della leadership era chiaro ed evidente da tempo, ma resta il dubbio che questa campagna sia di fatto una purga per eliminare i propri oppositori politici e cementificare il potere o, in altre parole, "kill two birds with one stone", come si mormora. Se da una parte quattro anni di lotta alla corruzione hanno sì ridotto drasticamente le spese superflue, d’altro canto hanno contribuito a creare un clima di terrore, in cui la gente ha timore persino di organizzare il banchetto per le proprie nozze, come lamentano alcuni. In proposito, un recente studio ha messo in guardia su un suo possibile effetto boomerang: un sondaggio condotto dall'Institute of Governance and Public Affaris dell'Università Sun Yatsen di Canton, che ha sentito il parere di oltre ottantamila cittadini in tutto il Paese sui quattro anni di campagna anticorruzione, rivela che questa campagna potrebbe diminuire la fiducia del popolo nei confronti dei vertici del Partito. 

Tuttavia, il plenum appena conclusosi dimostra come il Partito sia determinato ancor più di prima a continuare lungo la strada intrapresa. Allo stesso modo, l’attività degli organi di propaganda non accenna a diminuire e le città cinesi continuano ad essere tappezzate da slogan come "Due studi, un’azione" (两学,一做) - studiare lo statuto del partito e i discorsi di Xi Jinping, e "comportarsi da degno membro del Partito". C’è dunque da aspettarsi un ulteriore inasprimento. Per alcuni, il tanto decantato "sogno cinese" potrebbe presto rivelarsi un incubo.