La candidatura presidenziale dello Zapatismo

Una riflessione di Raul Zibechi a proposito delle diverse reazioni che ha suscitato la possibilità della candidatura di una donna indigena alle elezioni presidenziali del 2018

17 / 11 / 2016

La decisione dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) di presentare alle proprie basi di appoggio e alle comunità di tutto il Messico la possibilità di promuovere la candidatura di una donna indigena alle elezioni presidenziali del 2018, ha provocato le più disparate reazioni, ma non ha lasciato indifferente nessuno. Nei giorni seguenti alla diffusione del comunicato “Che tremi nei suoi centri la terra” (14 ottobre), alcuni hanno sostenuto che fosse un modo per dividere la sinistra favorendo in questo modo la destra, ai quali si aggiungono coloro che li hanno accusati di abbandono dei principi che hanno caratterizzato la loro lotta per piegarsi invece alle logiche delle elezioni, fino a quelli che hanno dichiarato di lasciare da parte i loro principi entrando nel processo elettorale.

Alcuni giorni dopo è apparso un altro comunicato, firmato solo dal Subcomandante Insurgente Galeano, che polemizzava con alcuni detrattori senza nominarli. Conviene leggere attentamente il comunicato per comprendere gli obiettivi del movimento e non soffermarsi solo sulle polemiche e sulle interpretazioni.

Quello che viene proposto con la candidatura è “iniziare una consultazione in ognuno dei nostri popoli per smantellare dal basso il potere che ci impongono dall’alto e che ci offre un panorama di morte, violenza, spoliazione e distruzione”. Alcune righe sotto viene chiarito che “la nostra lotta non è per il potere, non lo cerchiamo, bensì chiameremo i popoli originari e la società civile a organizzarsi per bloccare questa distruzione, rafforzarci nelle nostre resistenze e ribellioni, ovvero nella difesa della vita di ogni persona, ogni famiglia, collettivo, comunità o quartiere. Costruire la pace e la giustizia rinforzandoci dal basso, da dove siamo ciò che siamo”.

La donna indigena candidata alla presidenza, sempre che le comunità raggiungano un accordo, sarà la portavoce di un “consiglio indigeno di governo” che darà la parola a tutti gli angoli della società con lo scopo di “costruire una nuova nazione per tutte e tutti, di rafforzare il potere anticapitalista dal basso e a sinistra”.

Fino a qui sembrano delineati i principali obiettivi della candidatura promossa dagli zapatisti.

Il primo di questi obiettivi ricalca la lettura della realtà messicana, che può essere estesa anche al resto del mondo. Negli ultimi otto anni la guerra al narcotraffico dichiarata dall'ex presidente Felipe Calderón (2006-2012), ha comportato 120 mila morti e 30 mila desaparecidos durante un periodo di piena democrazia. Qualcosa di inedito in America Latina, dove genocidi come quello messicano hanno avuto luogo sotto regimi che non si dichiaravano democratici.

Inoltre, sono convinti che “l’offensiva contro i popoli non cesserà, ma che vorrebbero farla crescere fino a cancellare ogni traccia di ciò che siamo come popoli della campagna e della città”. Come già avevano espresso durante l'incontro “El Pensamiento Crítico frente a la Hidra Capitalista”, nel maggio del 2015, osservano come una tempesta si stia abbattendo contro i popoli. In questo contesto nasce la proposta della candidatura elettorale. Si può solo aggiungere che le classi dominanti messicane, come quelle di buona parte del mondo, sono divise e in alcuni momenti in forte contrasto tra loro, il che aumenta la decomposizione del sistema e la violenza contro i popoli.

Il secondo aspetto da tenere in considerazione è che né gli zapatisti né il CNI entrano nel sistema elettorale. Non presentano alcun candidato a deputati o senatori, né sindaci né governatori. Solo una candidata alla presidenza. Questo punto è di cruciale importanza. I risultati del voto non sono importanti, ma lo è ciò che intendono far emergere nei loro comunicati.

Il punto centrale è ciò che intendono per “potere dal basso” con il quale vogliono smontare il potere dall'alto. Elencano: “propri mezzi di comunicazione, polizie comunitarie e forze di autodifesa, assemblee e consigli popolari, cooperative, l’esercizio e la difesa della medicina tradizionale, l’esercizio e la difesa dell’agricoltura tradizionale ed ecologica, i rituali e le cerimonie proprie per ripagare la madre terra e continuare a camminare con lei e in lei, la semina e difesa delle semente native, forum, campagne di diffusione e attività politiche e culturali. […] Questo è il potere dal basso che ci ha mantenuti vivi”.

La candidatura è rivolta a questa società o contro la società. Per renderla più forte, più visibile a coloro che stanno in basso e, se non interpreto male, per far sì che altri e altre si organizzino. Gli interventi del Subcomandante Insurgente Moisés nell'incontro del 2015 sono stati un continuo e ripetuto appello all'organizzarsi, ad “un'organizzazione per la costruzione e organizzarsi per proteggere ciò che già si è costruito”, “perché è necessario organizzarsi per potersi liberare del sistema capitalista”. Ma anche per affrontare ciò che Galeano ha definito come la catastrofe/tempesta che sta sopra i popoli.

Un chiarimento necessario. Gli zapatisti e il congresso indigeno non intendono organizzare gli altri. Ogni settore sociale deve organizzarsi come vuole e come può. Intendono solo aiutare, portare un contributo affinché questa organizzazione sia possibile, ma non sostituendosi a qualcuno. È una questione di principio. Un intervento di Moisés alla chiusura dell'incontro “CompArte”, il 29 luglio di quest'anno a Oventik, lo specifica chiaramente.

“C’è chi pensa che dobbiamo uscire e andare a lottare per i maestri e le maestre. Se così si pensa, allora non si è capito nulla. Perché ciò vuol dire aspettare che qualcuno venga e lotti al posto mio. Noi zapatiste e zapatisti non abbiamo chiesto a nessuno di venire a lottare al posto nostro. Ogni lotta è di ciascuno, e ci dobbiamo sostenere reciprocamente, ma non prenderci il posto di lotta altrui. Chi lotta ha il diritto di decidere dove porta il suo cammino e con chi camminare. Se ci si mettono altri, non è più un sostegno, è un soppiantare. Il sostegno è rispetto e non direzione né comando”.

La terza riflessione si collega al problema che ha riguardato sempre tutti i processi rivoluzionari e che si potrebbe riassumere in una domanda: come ci si relaziona e si lavora con gli altri movimenti e organizzazioni i cui obiettivi non coincidono con i nostri e che hanno i propri modi di agire, ma che soffrono le stesse nostre oppressioni?

Victor Toledo, sulla base di una ricerca dell'università Iberoamericana di Puebla, stima che solo in cinque stati del Messico ci sono “più di mille nuovi progetti”, che comprendono dai caracol zapatisti alle cooperative indigene di caffè organico e altri, e molti altri esempi di autogestione comunitaria (La Jornada. 13 settembre 2016). In tutta l'America Latina, nel mondo, sono decine di migliaia le iniziative che includono milioni di persone, le quali stanno rendendo possibile la resistenza al neoliberismo e al capitalismo.

Questo mondo non capitalista e anticapitalista esiste, anche se disperso, in piccole isole e arcipelaghi. Non si tratta dunque di inventarlo, bensì di potenziarlo. O come si dice nel comunicato, costruire il nuovo mondo “rinforzandoci dal basso”, che secondo il dizionario a volte si dice tessere e scuotere oppure ronzare. Un sinonimo di “tremare”, come si legge nell'inno messicano. Se noi “los de abajo” tremiamo, ci scuotiamo, provocheremo uno tsunami politico capace di disarcionare le classi dominanti. Questo sembra essere il messaggio di fondo della candidatura di una donna indigena alla presidenza.

Traduzione a cura della redazione dell'Associazione Ya Basta! Êdi Bese!

Tratto da: Naiz: