La guerra silenziata in Yemen - Intervista a Dino Giarrusso (Le Iene)

11 / 4 / 2017

Dino Giarrusso è intervenuto al panel “Yemen: il costo umano di una guerra dimenticata”, tenutosi  al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, insieme a Laura Silvia Battaglia (giornalista freelance), Christine Monaghan (Watchlist.org) e Michele Trainiti (Medici Senza Frontiere). Giarrusso, conosciuto ai più come inviato de Le Iene, si occupa da diversi anni della drammatica situazione dello Yemen, sulla quale ha realizzato un’inchiesta in cinque puntate. Nel paese della penisola araba è in atto una sanguinosissima guerra civile che impersevera dal 2015 tra due fazioni: da una parte le forze degli Huthi, che controllano la capitale Sana'a e sono alleate con le forze fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, dall’altra le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, con sede ad Aden. Va fatto però un passo indietro, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, quando Ali Abdullah Saleh, il capo del paese da oltre trent’anni, ha lasciato il potere, a seguito delle proteste della cosiddetta “Primavera araba”, che in Yemen è stata guidata soprattutto dagli Houthi e dal gruppo Islah, all’interno del quale c’erano anche i Fratelli Musulmani yemeniti. In questo scenario sono intervenuti diversi attori internazionali, dal momento in cui la caduta di Saleh è avvenuta su pressione dei Paesi del Golfo e in particolar modo dell’Arabia Saudita. Il nuovo presidente Abdel Rabbo Monsour Hadi, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Egitto oltre che dai Paesi del Golfo, non è mai riuscito a prendere del tutto il controllo del Paese né ad avviare le riforme promesse. Dal 2011 in poi gli Houthi, appoggiati dall’Iran, hanno dato il via a una serie di proteste per chiedere la sua cacciata. Questo stato di instabilità ha portato l’Arabia Saudita, dal marzo del 2015, a optare per l’intervento militare diretto, mettendosi alla guida di una coalizione guidata dagli Stati del Golfo, dalla Giordania e dall’Egitto, che bombarda indiscriminatamente la popolazione. Lo scenario di guerra è diventato così molto simile a quello siriano: migliaia di morti, 2,5 milioni di sfollati, abusi e crimini di guerra. Ospedali e scuole sono ormai inesistenti, oltre la grave mancanza di acqua e una sempre più crescente carestia. A questo va aggiunto un particolare, ossia che l’Italia - grazie al governo Renzi - è uno dei maggiori fornitori di armi del Regno saudita, il primo a livello europeo, Regno che si rende responsabile di una serie infinita di violazioni dei diritti umani. Siamo quindi complici non di una guerra bensì di due guerre: da un lato quella interna al regno saudita, in altre parole quella contro l’opposizione che si batte per le libertà individuali; la seconda guerra invece riguarda lo Yemen e l’indiscriminata campagna di bombardamenti che Arabia Saudita e i suoi alleati sunniti stanno compiendo in quella regione. Ci troviamo di fronte all’ennesima grande guerra inutile, in cui siamo comunque coinvolti, esagitata dalla paranoia dell’Arabia Saudita che la potenza segreta dietro le forze ribelli nello Yemen sia l’Iran, il grande rivale nel Golfo: un conflitto quindi, in Yemen,  totalmente asservito alle logiche di mercato, pur di ottenere vantaggi economici - rispetto al petrolio - o nuove alleanze internazionali da poter giocare anche in futuro.

Come hai avuto modo di raccontare nel tuo intervento al panel di poco fa, lo Yemen è una guerra dimenticata, dal punto di vista umanitario, ma anche politico. Perché?

Questa è una domanda che mi sono fatto anch’io, quando ho iniziato ad occuparmene. È dimenticata soprattutto in Italia, perché in altri Paesi europei ed extra-europei se ne parla, quantomeno un po’ di più.

In generale è una guerra dimenticata, io credo, perché ci sono degli interessi economici molto forti. Ripeto: questa è una mia opinione, non è una verità accertata, anche se ci sono tante verità accertate nei miei servizi, che hanno stupito me stesso quando le ho scoperte studiando la questione. Il perché questa guerra sia dimenticata non possiamo darlo per certo, ma sicuramente ci sono degli interessi che proverò a spiegare. Ricordo che si tratta di un conflitto tra i più  cruenti che ci sono attualmente nel pianeta, e forse in generale dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti, sia per quel che riguarda il tipo di ferocia che viene usata negli attacchi sia relativamente al numero di persone coinvolte (si parla di decine di milioni di persone).

L’unica ragione possibile di questa “disattenzione” rispetto al conflitto in Yemen è legata al fatto che chi promuove questa guerra ha partnership commerciali importanti con Italia, Germania, Inghilterra ed altri Paesi. In un momento di note difficoltà economiche in Europa si tende quindi a non voler scontentare partner commerciali di rilievo, come l’Arabia Saudita.

Non è l’unica ragione. Forse parlare di un criminale e di un dittatore assoluto come Assad fa anche più notizia, la Siria è più vicina, vi sono parti del mondo contrapposte in quel conflitto. Però è anche vero che in Siria vi è una situazione di cui parliamo; ne parliamo in questi giorni, ne abbiamo parlato in passato, vista la drammaticità della situazione. Dello Yemen se ne parla come se fosse una guerra minore, anche se purtroppo non lo è. Dietro ogni guerra c’è un interesse economico, ma anche dietro il tipo di attenzione che si concede alle diverse guerre ci sono degli interessi economici. Questa è l’unica spiegazione che sento di darmi.

Stiamo assistendo in questi giorni ad una nuova escalation della guerra globale che si sta combattendo in Siria, con i bombardamenti americani verso la base di Shayrat e l’uso di armi chimiche in provincia di Idlib da parte del regime di Assad. Da un lato assistiamo ad un vero e proprio “mercato delle emozioni”, che tende a creare un dibattito pubblico “drogato” solo quando avvengono episodi eclatanti, dall’altro c’è un’interiorizzazione della guerra. Forse, in quest’ultimo caso, perché manca un movimento capace di opporsi alla guerra nelle piazze, di bloccare i dispositivi, commerciali e militari, da cui essa ha origine. Cosa ne pensi su questi aspetti?

Una cosa che posso suggerire è quella di andarsi a vedere le cifre del mercato delle armi ed al mercato della guerra in particolare. Si tratta, al pari del petrolio, dl mercato più ricco che esista sulla Terra. Proviamo a sdrammatizzare, pur rimanendo seri rispetto all’argomento: da domani c’è qualcuno che scopre un sistema per avere energia illimitata e pulita per tutti. In teoria sarebbe il paradiso, ma in realtà sarebbe la fine di ogni convivenza civile, perché parte del pianeta è legata al petrolio e parte dell’intera economia mondiale si regge su esso. Paradossalmente il petrolio è quello che ha retto l’equilibrio mondiale fino a questo momento. Lo stesso paradosso possiamo applicarlo anche alla guerra: se da domani finissero tutte le guerre ci sarebbero decine di milioni di disoccupati in più e verrebbe meno uno dei più grandi affari che oggi coinvolgono l’umanità intera.

Il punto è questo: il movimento pacifista, che in questo momento non esiste o è meno forte rispetto ad alcuni anni fa, dovrebbe ribaltare proprio lo scenario che ho appena descritto. Perché la schiavitù è finita? La schiavitù è durata oltre tremila anni e, nonostante il mondo contemporaneo la consideri una barbarie, rappresentava un enorme appare nelle epoche passate. Bisogna considerare la fine della guerra, o una sua limitazione, come una rivoluzione epocale, al pari della fine della schiavitù.

Per immaginarci un mondo senza guerra dobbiamo pensare ad un altro tipo di mondo, perché la catena non si rompe da sola: finita la guerra in Afghanistan c’è stata quella in Iraq, poi la Siria, lo Yemen, di cui, come dicevo prima, nessuno parla. Trump ha sganciato i missili in Siria, mentre il giorno prima c’era stato un attacco con i gas nel quale erano morti 12 bambini, se non sbaglio. Una cosa atroce, ma mi chiedo: quanti hanno visto le immagini dei bambini morti in Yemen, che sono numericamente sono molti di più? Purtroppo queste cose le abbiamo documentate, ma questo non ha causato una risposta da parte di Trump, Putin o chicchessia. Questo perché, nella guerra in Yemen, il carnefice è più “amato” e le vittime sono meno importanti. L’atrocità di quello che ho appena detto ci dovrebbe far riflettere, però purtroppo i fatti ci dicono che questa è la verità attuale.