A due anni di distanza, le situazioni nei vari Paesi, travolti dalle proteste sono molto diverse ma vi si notano dei tratti comuni.

La Tunisia nel caos

Sciopero generale e un milione di cittadini nelle piazze.

di Bz
9 / 2 / 2013


Ieri una manifestazione di popolo, accompagnata da uno sciopero generale che ha paralizzato il Paese – le agenzie si rimbalzano la cifra di molte centinaia di migliaia di persone, alcune azzardano un milione - ha seguito il funerale dell'esponente dell'opposizione Chokri Belaid, assassinato sotto casa da un commando, a conclusione sono seguiti incidenti e scontri a Tunisi ed in altre città del Paese, con gruppi organizzati di giovani che hanno affrontato la polizia, hanno assaltato i commissariati e le sedi del partito Ennahda, con uno strascico di feriti ed arresti.

Già i giorni precedenti ci hanno mostrato una Tunisia in pieno caos.

Caos per le strade, con decine di manifestazioni in tutto il Paese, assalti a edifici pubblici e una dura risposta della polizia, ed un bilancio di un morto e centinaia di feriti.

Caos politico, con Ennahda – il partito al Governo - che ha sconfessato il suo primo ministro Jebali, che ha forzato la mano annunciando le dimissioni del governo, per sostituirlo con uno di tecnici, senza averne discusso con il partito.

Caos istituzionale, perchè l'iniziativa di Jebali non rispetta la prassi costituzionale, che prevede un passaggio parlamentare, che il premier ha saltato, sia pure sotto la pressione degli eventi, tanto che il presidente della Repubblica, Monce Marzouki, ha dichiarato che nella proposta di scioglimento dell'Assemblea costituente, avanzata dal Governo, sente odore di golpe.

Caos investigativo, visto che le indagini sull'omicidio, almeno ufficialmente, non hanno fatto passi in avanti, anche se è stato arrestato l’autista di Chokri Belaid ed indiziati sono i Servizi interni, controllati dal partito di governo Ennahda, che, ora risulta spaccato in almeno 2 fazioni, che, semplificando, afferiscono all’islam moderato e a quello più radicale.

Caos per le intimidazioni e le violenze delle squadracce delle varie Leghe per la protezione della rivoluzione islamica, che, negli ultimi mesi, hanno imperversato, spesso sotto l'occhio benevolo di una parte delle forze dell'ordine.


Sono passati poco più di due anni da quando manifestazioni e proteste di grande intensità e forza hanno iniziato a ripetersi con continuità in Nord Africa e in Medioriente, generando dei cambiamenti storici con pochissimi precedenti, tanto che nelle sue prime fasi, la cosiddetta “Primavera araba” venne paragonata alle rivolte del 1989 in Europa Orientale e fu descritta come il movimento delle popolazioni arabe contro dei vecchi e corrotti regimi in favore di un cambiamento partecipativo – ricordiamo il ruolo delle piazze, che ha anticipato, per molti aspetti, il fenomeno politico delle occupy e/o delle accampadas negli USA ed in Europa - democratico, laico, generazionale.

Fu Al Jazeera, il canale TV di proprietà dell’emiro del Qatar, a diffondere le immagini delle proteste e a dare ampio spazio alle ragioni dei manifestanti, furono i social network a rimbalzare le notizie, le indicazioni, le parole d’ordine delle mobilitazioni, di città in città, dalla Tunisia al Barain. Dittatori come il tunisino Zine El-Abidine Ben Ali, l’egiziano Hosni Mubarak e il libico Muammar Gheddafi, alla guida dei loro paesi da decenni, vennero cacciati dalla forza delle multitudini arabe, dalle milizie armate e sostenute sia dalla galassia alqaedista sia dall’appoggio europeo. e furono sostituti da governi elettivi.


A due anni di distanza, le situazioni nei vari Paesi, travolti dalle proteste, sono molto diverse ma vi si notano dei tratti comuni. Le grandi mobilitazioni della ‘primavera araba’ – generate da un profondo cambiamento sociale, economico e generazionale, che guarda, in larga parte alle libertà, al modello di vita occidentale - hanno imposto una transizione politico-istituzionale senza avere forze politiche strutturate, spesso forti, soltanto, dello spontaneismo e della partecipazione moltitudinaria nelle metropoli.

Queste modalità, questa diffusa partecipazione, questa potenza sociale costituente si sono rivelate, contemporaneamente, quali una grande ricchezza ed un grande pericolo. Infatti nei Paesi arabi dove il vento della ‘primavera’ ha spazzato o relegato in un angolo i vecchi rais di governo e della politica, ovunque, con modalità e intensità diverse, si sono aperti nuovi spazi per la diffusione di movimenti islamici radicali e per gruppi legati ad al-Qaida, che propongono ed impongono l’ordine e la disciplina della sharia contro il caos istituzionale, la corruzione e la ‘degenerazione dei costumi’ indotti - a loro dire - dalle rivolte filo occidentali e, con queste proposte, con l’uso della forza, sono riusciti a contare, a prevalere nella società anche in quegli Stati, dove – i radicali islamici - erano, prima, relegati ai margini della vita politica e sociale.

Contro questa deriva sono riprese un po’ dappertutto, ma con grande forza e risonanza, in Egitto e Tunisia, le manifestazioni multitudinarie, gli scontri in piazza – e questa è l’enorme ricchezza – che ci segnalano come la ‘primavera araba’ non sia stata solo una ventata passeggera ma come sia in corso una vera Rivoluzione, con tutti i suoi flussi e riflussi, i suoi limiti e delusioni, le sue innovazioni e potenzialità, che si è radicata nelle modalità del vivere quotidiano dei cittadini, molto più evidente nelle arre metropolitane, che è insofferente alle rigide imposizioni islamiche, che rivendica le libertà individuali come ‘status civile’ irrinunciabile. E questa trasformazione, antropologica, sociale e multitudinaria si innesta su una pregressa - ora in caduta libera - crisi economica, diversa in ciascun Paese, che ‘libera’ enormi masse di popolazione povera ed impoverita, composte per la maggior parte di giovani sotto i 30 anni, uomini e donne: sono loro che riempiono le piazze e che guidano le manifestazioni, gli scontri, anche con comportamenti da chasser, da black block; sono loro che affermano con determinazione che indietro non si vuole e no si può tornare, che la rivoluzione continuerà.

Bz