La Tunisia oggi, la voce di Salem Ayari (Segretario nazionale Union des Diplomés Chomeurs)

La prima intervista raccolta ad un attivista della sinistra che ci parla della situazione politica nel paese a tre anni dalla primavera di rivolta

14 / 8 / 2014

Ho cominciato il mio percorso politico nel 1998 all'interno dell'Uget, il sindacato degli studenti.

Durante il regime di Ben Ali, lo stato impediva l'assunzione dei giovani laureati che avevano alle spalle un'esperienza di militanza, in particolare nell'Uget. I concorsi per l'accesso al pubblico impiego erano controllati dal Ministero dell'Interno, che aveva dossier sui vari militanti e li escludeva automaticamente.

Nel 2005 io e altri quattro ex membri dell'Uget tenemmo un presidio di fronte alla sede del Ministero dell'Istruzione per denunciare tale discriminazione, ma fummo subito menati e arrestati dalla polizia. Decidemmo che la prossima volta avremmo dovuto essere in più di cinque, e fu così che nacque l'idea dell'Udc.

L'elevato tasso di disoccupazione, all'epoca del 12,5% secondo le fonti ufficiali, dipendeva da ben precise scelte di politica economica, le privatizzazioni in primo luogo. Il disimpegno da parte dello stato per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro è in linea con la direzione neoliberista imposta all'economia tunisina dal Fondo Monetario Internazionale a partire dagli anni '80.

Dato che il problema della disoccupazione è diffusissimo soprattutto tra i giovani tunisini, nel 2006 creammo un'organizzazione nazionale per i diplomati disoccupati, che per definizione non possono essere iscritti né al sindacato degli studenti né a quello dei lavoratori.

Stabilimmo un ufficio nazionale a Tunisi e quattro sezioni locali a Jendouba, Gafsa, Gabés e Kairouan. Presentammo alle autorità la pratica per venire riconosciuti come associazione legale ma la richiesta venne rifiutata, l'Udc è stata legalizzata solo nel giugno 2011. Prima della rivoluzione dovevamo organizzarci nella semi-clandestinità, quindi non era possibile tenere assemblee formali. Persino incontrarsi al bar per discutere poteva essere pericoloso. Ci si coordinava più che altro in modo informale via telefono e mail.

Le nostre pratiche di lotta consistevano principalmente nell'organizzazione di manifestazioni e presidi che venivano sistematicamente attaccati dalla polizia e finivano con scontri e arresti. Prima della rivoluzione riuscivamo a portare in strada al massimo un centinaio di persone, tutti militanti, quindi era facile per la polizia intervenire con la mano pesante.

Ci sono stati episodi in cui quantità impressionanti di poliziotti sono state mandate a disperdere presidi da dieci persone. Dal maggio del 2006 a oggi sono stato messo in stato di fermo e portato in questura 114 volte. A volte facevamo un presidio davanti a un ministero di mattina, venivamo fermati e poi rilasciati nel pomeriggio, dopodiché tornavamo davanti a un altro ministero per venire sbattuti in questura una seconda volta nell'arco della stessa giornata.

All'inizio le nostre richieste si concentravano soprattutto sulla lotta contro la discriminazione nei confronti dei militanti politici, ma progressivamente cambiammo strategia e ci rivolgemmo al problema della disoccupazione in generale, come simboleggiato dallo slogan “Diritti, dignità, lavoro”.

Nel 2008 ci fu una grande ondata di mobilitazioni e rivolte nel bacino minerario di Gafsa contro la corruzione e il nepotismo nelle pratiche di assunzione nelle miniere, e i nostri militanti non potevano che essere presenti.

Nel dicembre 2010 i primi a scendere in strada e a scontrarsi con la polizia furono i disoccupati, quindi facemmo in modo che tutti i nostri militanti fossero attivi in ogni regione. In quei giorni l'organizzazione delle manifestazioni fu molto orizzontale, in ogni città c'erano attivisti di vari gruppi che presero un po' in mano la situazione senza nessun tipo di coordinamento centralizzato.

Dopo la rivoluzione cogliemmo la momentanea assenza di repressione per stabilire quattro uffici regionali e 170 sezioni locali che ora hanno quasi 4.000 iscritti. Le nostre pratiche sono rimaste le stesse, la repressione poliziesca si è leggermente addolcita ma nella sostanza è la medesima.

La corruzione endemica nell'apparato statale è rimasta immutata e dal punto di visto economico non è cambiato nulla dopo la rivoluzione, anzi le cose sono peggiorate.

L'economia è ancora gestita in base agli ordini del Fmi e della Banca Mondiale.

Stiamo facendo pressione affinché venga approntato un nuovo assetto economico in grado di ridurre il tasso di disoccupazione. È necessario ripristinare il ruolo dello stato negli investimenti per lo sviluppo. Per quanto riguarda la ristrutturazione del debito sovrano, basterebbe guardare all'esempio di paesi latinoamericani come Uruguay ed Ecuador, ma l'attuale élite politica non ha nemmeno osato porre la questione al Fmi.