Repressione e barriere tecnologiche per frenare la raccolta firme

La Vocera de los pueblos

Sulle orme di Marichuy, la candidata indipendente indigena alla presidenza del Messico

24 / 11 / 2017

San Cristóbal de Las Casas - C'è un uomo che canta nel grande zócalo di San Cristóbal. In Messico, neppure la politica può fare a meno di una colonna sonora di musica campera. Dietro di lui, un banchetto dove attiviste e attivisti dispensano volantini informativi e raccolgono firme. Siamo a due passi dal balcone dove, in quella indimenticabile notte del primo gennaio 1994, il subcomandante Marcos urlò "ya basta!" contro lo sfruttamento capitalistico dei popoli indigeni.

Le firme che il banchetto raccoglie sono tutte per lei: María de Jesús Patricio Martínez meglio conosciuta come "Marichuy". Una donna di 53 anni, indigena nahua ed esperta in medicina tradizionale, che il Cni, il Congreso Nacional Indígena, ha candidato niente meno che alla presidenza del Messico. Candidatura che in tanti hanno definito pretestuosa, inutile, utopistica, controproducente… ma una candidatura che, in ogni caso, fa paura.
"Le stanno provando tutte per impedirci di raccogliere le firme necessarie - ci spiega Marisol, una attivista indigena -. Si sono attaccati ad ogni pretesto. Ad esempio non possiamo scrivere nei moduli 'la candidata Marichuy' ma 'l'aspirante candidata' altrimenti invalidano tutto. E poi questa storia che le firma vanno raccolte elettronicamente e trasmesse entro lo stesso giorno, pena la loro cancellazione… In un Paese come il Messico dove la maggior parte degli indigeni fatica a farsi dare un documento di identità!"
La raccolta delle firma elettronica è una novità di questa campagna elettorale e, guarda caso, si applica solo alle nuove candidature, proprio come quella di Marichuy! I documenti e le relative firme debbono essere scansionate tramite un tablet - e non con uno qualsiasi, ma in uno di quelli di ultimo modello con l'aggiornamento di sistema, altrimenti l'app non funziona! - e quindi trasmessi entro la mezzanotte del giorno di raccolta all'ufficio preposto. In un Paese del nord Europa la faccenda potrebbe avere un aspetto pratico volto a facilitare le procedure democratiche, ma in Messico, dove la connessione è ancora un privilegio riservato a pochissimi, e, quando va bene, due ore di connessione ti costano due anni di purgatorio per le bestemmie che ti trovi a tirare, la questione assume tutto un altro significato, anche senza contare il costo non indifferente di un tablet di alta tecnologia. E come se non bastasse, l'app ci mette in media oltre 5 minuti per scansionare un documento e non lo "legge" se non è posto sotto un faro di luce bianca! "Qualche giorno fa - continua Marisol - siamo andati in un paese vicino. Abbiamo lavorato tutto il giorno e raccolto più di cento firme. Al momento di inviare tutto all'ufficio elettorale, la connessione è sparita. Non c'è stato verso di collegarsi alla rete in tutto villaggio. Internet è magicamente tornato a funzionare solo dopo che sono scaduti i termini di invio. Tutto da rifare, per noi! Sarà un caso?"

Eppure, tra le tante difficoltà, la candidatura 'impossibile' di Marichuy va avanti, sulla spinta entusiastica di tanti sostenitori, indigeni e non. La Vocera de los pueblos, la portavoce dei popoli nativi, viaggia per le polverose carreteras del Messico, fermandosi a parlare con coloro con i quali nessun politico aveva mai parlato prima. Sulla strada che va da Las Margaritas al caracol de La Realidad, la carovana di Ya Basta! Edi Bese! ha incrociato decine di cartelli che inneggiano a Marichuy. Qui, la Vocera gioca in casa. Siamo in territorio zapatista e, come ci spiegano altri cartelli, "Aquí manda el pueblo y el gobierno obedece". Qui comanda il popolo e il governo obbedisce.

Ed è al termine di questa strada che la carovana di Ya Basta giunge all'ultima sua meta: La Realidad.
La vita quotidiana del centro regionale zapatista che ha il compito di organizza la vita delle comunità autonome non sembra essere cambiata molto dall'ultima nostra visita. All'interno del caracol la Junta de buen gobierno continua con le sue attività di amministrazione, progettazione e sviluppo dei municipi di cui è competente; nel farlo, non manca di portare avanti il modello di democrazia diretta e di autonomia che le è proprio. I membri delle Giunte sono infatti nominati a rotazione, rispettando un criterio di parità della distribuzione di genere, tra i cittadini delle comunità zapatiste, unità più piccola dell'organizzazione rivoluzionaria. Il mandato di ciascuno è sempre revocabile nel momento in cui uno o una dei membri non rispetta i termini del lavoro dell'amministratore. Per queste ragioni parliamo di una struttura istituzionale non-statuale quando guardiamo agli zapatisti: la loro rivoluzione non ha mai voluto prendere il Potere, bensì creare qualitativamente una nuova maniera di prendere le decisioni collettive che dal basso si sviluppa verso l'alto, in una costante tensione tra queste due dimensioni.

Ma allora, se non c'è nessun palazzo di inverno da conquistare, che senso ha la candidatura della vocera indigena? Gli zapatisti hanno voluto allargare ulteriormente il limite del loro orizzonte fuoriuscendo dalle montagne del Chiapas. Senza ombra di dubbio, gli zapatisti non hanno mai peccato di settarismo e di localismo, ben consci del fatto che il Chiapas cambia se si trasforma il Messico e il mondo. La sfida della candidatura, allora, è un passo in avanti in questa direzione in quanto punta all'estensione dell'esperimento dell'autonomia, della democrazia radicale e dell'autogestione. Tutti gli attivisti di appoggio con i quali abbiamo parlato non si riferiscono mai a Marichuy come la candidata: preferiscono sempre il termine vocera perché presuppone che lei sia portavoce di qualcuno, in questo caso di una collettività. L'importante non è vincere le elezioni, o averle come obiettivo strategico, ma dare avvio ad un processo di organizzazione dei popoli indigeni nel quale ciascun soggetto possa intervenire direttamente. Dietro Marichuy si trova il Consejo Indigena de Gobierno, assemblea dove siedono due portavoce - un uomo e una donna - di ciascun popolo coinvolto nel processo. La stessa vocera è sottoposta a costante vigilanza e deve rendere conto delle sue decisioni a quei delegati scelti dal basso, a loro volta vincolati al mandato che ha dato loro il popolo di riferimento. Nel caso Marichuy non dovesse essere eletta o addirittura non essere idonea ai criteri di candidatura, cosa succederebbe? "Resterebbe ciò che abbiamo costruito finora: un esperimento di autonomia a livello nazionale che configge con lo Stato e il capitalismo", ci spiega un compagno zapatista. Una contraddizione in più nel seno del dominio globale del neoliberalismo e del Messico. Un contropotere più esteso territorialmente e più forte.

Di qui vediamo il filo rosso che unisce la proposta della candidatura della vocera dei popoli con le ultime iniziative proposte dall'Eznl. Ad esempio, la conferenza del ConCiencias, e ancora prima quella del CompArte, non hanno come obiettivo la semplice rete degli accademici e degli esperti disciplinari di un argomento. "Senza la riappropriazione dei saperi, dell'analisi del mondo, degli strumenti cognitivi con i quali potenziare se stessi e vedere le contraddizioni della realtà, come possiamo dirci autonomi?", spiega il compagno zapatista. In poche parole, in assenza di una nuova antropologia che pieghi i saperi all'utilità dell'uomo e della natura, e non a quella del capitale, non si potrà mettere in atto un processo rivoluzionario.

Sarebbe un errore, però, attribuire la svolta politica ad una forzatura zapatista. Certo, l'intuizione parte dai Caracoles e dell'Ezln, ma è subito condivisa e fatta propria da una vasta realtà di soggetti sociali e politici, anche da parte di coloro i quali si sono allontanati dalle comunità zapatiste oppure hanno sempre convissuto negli stessi territori senza, però, mai partecipare direttamente alla lotta. Ovviamente, la progressiva inclusione di altri non è stata un processo liscio e lineare.

"All'inizio, la proposta degli zapatisti, fatta propria dal Cni, ha suscitato parecchie perplessità. Non possiamo vincere, perché la partita in cui gioca questa democrazia è truccata. Ed inoltre, non ce lo permetterebbero mai. Non sappiamo neppure se riusciremo a raccogliere i voti per arrivare ad una candidatura ufficiale, in queste condizioni. Pensa che un attivista europeo ci aveva regalato un moderno cellulare capace di scansione i documenti e la polizia ce lo ha sequestrato, invalidando pure tutte le firme raccolte, appellandosi ad una legge che vieta l'intromissione di capitali stranieri nella politica elettorale del Messico. Magari la facessero valere anche per gli Stati Uniti, questa legge".

A parlare è una attivista che lavora stabilmente da tre anni con le comunità zapatiste della Lacandona. Non scriveremo il suo nome. Il Messico ha notoriamente l'espulsione facile e la nostra amica ci ha chiesto l'anonimato. "Ho capito il perché di questa candidatura solo lavorando fianco a fianco dei tanti comitati che in questi ultimi mesi sono sorti a favore di Marichuy. Ho visto donne e uomini, indigeni ma non solo, farsi ore e ore di coda in attesa che l'app decidesse di funzionare e poter digitalizzare la firma; ho visto comitati che prima lavoravano per conto proprio e su un singolo problema, fare rete, discutere e mettere in comune le lotte; ho visto organizzazioni sindacali e associazioni ambientaliste scendere in campo assieme rendendosi conto che le ingiustizie che devastano l'ambiente sono anche quelle che sfruttano il lavoro; ho visto formasi comitati a sostegno della vocera in Stati del Messico in cui neppure sanno cosa sia lo zapatismo; ho visto persone disilluse tornare alla politica con gioia, macinare utopie e urlare che un altro mondo non soltanto è possibile ma anche indispensabile".

Comunque la si pensi, la candidatura "impossibile" di Marichuy ha dato una scossa alla stantia politica messicana. L'ultima domanda, a questo punto, è: a cosa porterà tutto questo? "Lo sappiamo già cosa sta arrivando - conclude la nostra amica attivista -: una ondata di repressione come non se ne vedeva da tempo. Il Messico è una frontiera del capitalismo globale. Narcotraffico, Stato ed economia sono sempre più commistionati l'uno con l'altro. La violenza, sia quella legale della polizia che quella terroristica dei narcos, è l'arma con la quale rispondono alle lotte sociali. C'è da aver paura, certo, a sostenere la vocera ma è quello che è giusto fare e sempre al nostro posto ci troveranno".