Libia - Assalto al consolato Usa

13 / 9 / 2012

A Tripoli e Bengasi andranno 200 marines delle forze «anti-terrorismo» per proteggere i cittadini e gli interessi degli Stati Uniti. E nel cielo della Libia torneranno i droni Usa, ha annunciato ieri la Cnn. Pentagono e Casa Bianca hanno dato la loro autorizzazione. I velivoli senza pilota cercheranno, per eliminarli, i responsabili dell'attacco al consolato americano a Bengasi in cui l'altra sera sono rimasti uccisi l'ambasciatore Usa Chris Stevens e altri tre americani.

Per il network televisivo non ci sarebbero più dubbi. Le proteste contro il film anti-Islam del regista-agente immobiliare israeliano Sam Bacile sarebbero state solo un pretesto, una copertura per un attacco pianificato da al Qaeda per vendicare il numero due dell'organizzazione, Abu Yaya al-Libi, ucciso alcuni mesi fa. Ne è convinto il think tank britannico «Quilliam Foundation», citato dalla Cnn, secondo il quale in Libia non ci sono state altre proteste significative contro il filmaccio dello semi-sconosciuto Sam Basile, che martedì aveva scatenato contestazioni anti-americane anche in Egitto.L'attacco «è stato compiuto da circa 20 militanti, preparati per un assalto militare», sostiene «Quilliam». Sarebbe avvenuto in due ondate, con la prima che ha spinto i funzionari americani a lasciare il consolato per un luogo più sicuro e la seconda contro quest'ultimo. Il think tank afferma di avere fonti molto affidabili. Sotto accusa ora è il gruppo jihadista Ansar al Sharia (i partigiani della legge islamica), legato ad al Qaeda, che avrebbe colpito per vendicare al Libi, ma anche per rimarcare l'undicesimo anniversario dell'attacco kamikaze alle Torri Gemelle. Se ne parla anche nel video messaggio - dal titolo «La verità è arrivata e la menzogna è morta» - diffuso da al Qaeda per l'11 settembre e nel quale appaiono il leader Ayman al-Zawahiri e il suo portavoce americano Adam Gadahn. Il filmato è stato trasmesso il giorno dopo della diffusione di un altro video in cui Zawahiri elogia il suo vice al-Libi, ucciso a giugno in seguito a un raid condotto da un drone Usa. Ansar al Sharia è una milizia attiva in quell'est della Libia che ha partorito numerosi jihadisti poi entrati in azione in Afghanistan e Iraq.

Jihadisti che sono tornati a combattere a casa contro Gheddafi, questa volta con la benedizione e le armi di Washington e dei suoi alleati.Come sia stato ucciso l'ambasciatore Chris Stevens ieri sera non era ancora chiaro. La dinamica è tutta da accertare. Sarebbe morto durante l'evacuazione dal consolato, la sua auto forse è stata colpita da un razzo. Non è chiara neanche l'uccisione degli altri tre americani. Due marines sono stati colpiti durante la sparatoria avvenuta in una casa dove era stato trasferito lo staff del consolato. Del terzo si sa solo che era un diplomatico. L'ultimo ambasciatore americano a essere stato ucciso in servizio era stato Adolph Dubs, morto in Afghanistan nel 1979. Stevens, era un diplomatico sul quale l'Amministrazione Obama puntava molto per coordinare i suoi interventi politici ed economici in Libia. Parlava arabo e francese e prima di entrare a far parte del corpo diplomatico americano aveva lavorato come avvocato nel commercio internazionale. Stevens aveva operato anche a Gerusalemme, Damasco, in Siria, al Cairo, in Egitto, a Riad, in Afghanistan ed era già stato in Libia due volte: dal 2007 al 2009 come numero due della missione diplomatica, e poi da marzo a novembre 2011 come rappresentante speciale presso il Consiglio di transizione nazionale anti-Gheddafi. Lo scorso maggio era arrivato a Tripoli accolto a braccia aperte dai «nuovi» dirigenti libici. Un diplomatico di primo piano che, forse, era stato individuato dai qaedisti come un bersaglio grosso.

Il leader libico Mohammed Magaryef ha chiesto scusa agli Stati Uniti e al resto del mondo, ma Washington intende proteggere i suoi interessi usando i marines e i droni e chiede l'accertamento delle responsabilità. «Quello che è successo ieri (martedì), coincide con l'11 settembre e ha un significato chiaro», ha dichiarato Megaryef, presidente del Congresso generale nazionale, la più alta autorità politica del Paese. «Rifiutiamo categoricamente che il nostro territorio sia utilizzato come terreno per operazioni di vendetta», ha aggiunto. Poco dopo, in un comunicato diffuso alla stampa, Megaryef ha puntato il dito anche contro i sostenitori dell'ex regime di Gheddafi, ucciso nell'ottobre 2011.

Secondo il responsabile libico, l'attacco al consolato di Bengasi è coinciso con altri tentativi «di far fallire l'esperienza democratica in Libia». Magaryef accusa il passato regime mentre dovrebbe guardare alla Libia che sta costruendo. Un paese dove a parlare sono soprattutto i capi delle milizia tribali in lotta tra di loro e i religiosi più fanatici. Appena qualche settimana fa il ministro dell'interno ha dato le dimissioni dopo aver, di fatto, dato il via libera alla demolizione di due santuari sufi da parte di militanti salafiti che accusano i mistici islamici «di praticare la magia»«Il risultato delle recenti elezioni politiche in Libia è stato letto in modo errato - diceva ieri sera Ghassan Khatib, esperto di Libia e docente di storia contemporanea araba all'università cisgiordana di Bir Zeit - tanti hanno visto nella vittoria del fronte liberale uno sviluppo di eccezionale importanza e lo hanno messo a confronto con la conquista del potere degli islamisti in Egitto e Tunisia dopo le rivoluzioni contro i dittatori Hosni Mubarak e Ben Ali. Il risultato delle legislative è stato il frutto delle divisioni tra gli islamisti e non il segno della forza dei laici. Troppo divisi al loro interno, lacerati dalle diffidenze reciproche tra i loro leader, gli islamisti sono usciti sconfitti dal voto. Ma i laici non erano e non sono i più forti. Al contrario le organizzazioni religiose diventano le più influenti nel Paese e possono contare su ingenti finanziamenti che arrivano da vari Stati arabi e islamici. Soldi che finiscono per alimentare l'estremismo religioso». Alle Amministrazioni americane però i fanatici religiosi, di ogni fede, sono sempre piaciuti.