é difficile il controllo delle città e del territorio del nord Mali, dove i neri delle truppe maliane sono visti male dalla popolazione locale di pelle più chiara, meticci di discendenza araba.

Mali, il conflitto armato continua

i tuareg giocano un ruolo fondamentale

di Bz
24 / 2 / 2013

Giovedì un gruppo di militanti islamici ha attaccato la città di Gao, nel centro del Mali. I soldati dell’esercito governativo maliano sono rimasti inchiodati per sei ore nelle loro caserme dal fuoco di armi automatiche e di missili. Soltanto l’intervento dei soldati francesi ha costretto i ribelli a ritirarsi. Secondo il WSJ, questo attacco è la prova che i gruppi islamici hanno armi a sufficienza da poter tenere in piedi una guerriglia per anni.

Quello di giovedì è solo l’ultimo degli attacchi avvenuti nelle zone già liberate contro l’esercito maliano e le forze di intervento francesi (e degli altri paesi africani intervenuti). Tra l’8 e il 10 febbraio, sempre a Gao, sono avvenuti i primi due attacchi suicidi della storia del Mali. Nei giorni successivi i ribelli hanno attaccato una colonna di soldati del Ciad e un’altra colonna di soldati francesi, causando un morto nell’esercito francese, il secondo dall’inizio delle operazioni.

Altri combattimenti svengono segnalati nel nord del paese dove truppe del contingente militare del Ciad si sono scontrate con bande jihadiste rifugiatesi nelle montagne del nord est, a ridosso del confine con il Niger.

Scontri a fuoco, rappresaglie e uccisione sono segnalate dalla stampa africana in molte città riconquistate del Mali: molte cellule islamiche si sono mimetizzate nei quartieri amici, rimanendo in contatto con le organizzazione di riferimento. Una situazione che ha reso instabile e insicuro il controllo delle città e del territorio del nord Mali, dove i neri delle truppe maliane sono visti male dalla popolazione locale di pelle più chiara, meticci di discendenza araba.

A questa instabilità si è fatto fronte incaricando miliziani tuareg nelle attività di perlustrazione del territorio e di bonifica nelle città, ciò si è stato reso possibile da un accordo intervenuto tra esercito maliano – garanti i francesi e da ultimo l’emissario ONU  Romano Prodi – e i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad, che hanno messo nero su bianco quel che in fondo era nell'aria: loro svolgono le operazioni di 'pulizia' nelle città, stanando gli jihadisti in cambio di essere riconosciuti, come Movimento, in qualità di interlocutori per il futuro del Mali, dove si veda riconosciuta l’indipendenza dell’Azwad.

Questa parte dell’accordo sembra non tenere in alcun conto la posizione del governo di Bamako, che mai ha voluto dialogare ufficialmente con il Movimento, tanto che per anni è stato combattuto, tanto che una sua fazione islamista ha combattuto inizialmente a fianco dell’offensiva islamica nel nord del Mali. In questo gioco diplomatico il pallino è nelle mani dei francesi [e all’ONU], che si sono assunti il peso militare ed economico della force de frappe e che, con il successo militare ottenuto, possono giocare un ruolo importante nell'imporre condizioni per il futuro del Paese, che ha necessità di essere messo in sicurezza, oggi e per gli anni a venire.

Infatti, secondo quanto riporta la stampa internazionale, le milizie islamiche si sono ritirate nelle aree montuose e desertiche dell’Ifoghas, sconfinando in Libia, in Algeria, in Tunisia, nel Burkina, dove, già da tempo, avrebbero costruite delle vere e proprie roccaforti, con una grande dotazione di armi leggere ma con armamenti anche pesanti, quali missili e contraerea, sottratti agli arsenali libici, durante e dopo la rotta degli uomini di Gheddafi: tutta quest’area, grande 2 volte l’Italia, viene monitorata da droni ed arei spia americani di stanza in Niger. A questo scenario bellico va sommata la preoccupazione internazionale per il sostegno finanziario assicurato, fin dall’inizio del conflitto, agli jihadisti dagli emiri del Quatar, che, ora, si sarebbe concretizzato anche in un vero e proprio asilo diplomatico per alcuni dirigenti di Ansar Dine e del Mujao.

Tutti elementi che ci confermano, dunque, che le tensioni e il conflitto armato nel sahel sono ben lontani dall’essere risolti.

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