Marocco - Il caso degli ex operai Moulins du Littoral

1 / 7 / 2016

Domattina gli ex lavoratori dell’azienda agroalimentare Moulins du Littoral si presenteranno davanti al Ministero della Giustizia marocchino per il presidio contro il loro licenziamento abusivo, avvenuto nel 1998. Il presidio ha luogo ogni giorno, pioggia o sole, esattamente dal 2 luglio 2014 ed è quindi ormai al secondo anniversario. Moulins du Littoral era una “vecchia fabbrica”, un tassello del tessuto industriale marocchino che ha preceduto il piano di aggiustamento strutturale e la nuova generazione di manifatturiero orientato all’export e legato agli investimenti esteri. Le “vecchie fabbriche”, concentrate soprattutto sull’asse costiero Casablanca-Kenitra, sono state per molto tempo il baluardo della presenza sindacale in un settore privato altrimenti caratterizzato da alti livelli di informalità e disorganizzazione dei lavoratori. In queste fabbriche le condizioni di lavoro erano generalmente migliori rispetto al manifatturiero di nuova generazione, e di conseguenza molte hanno chiuso i battenti nel momento in cui i padroni hanno ritenuto opportuno trasferire gli investimenti in settori più profittevoli.

La società è stata fondata nel 1955 da ebrei marocchini ed il sindacato vi si è impiantato negli anni ’60. Aveva tre stabilimenti, ad Agadir, Casablanca e Rabat. La legislazione del lavoro era rispettata e i salari permettevano agli operai, tutti uomini e prevalentemente migranti interni provenienti dalle campagne, di mantenere le loro famiglie a un relativo livello di benessere. La proprietà della società cambiò due volte, nel 1963 e nel 1984. A dire degli operai, il proprietario arrivato nel 1984 non era veramente interessato alla produzione ma voleva utilizzare il terreno dello stabilimento di Rabat per manovre speculative. Ridusse progressivamente il numero della mano d’opera da 150 a 50 lavoratori. Nel 1996, vendette il terreno della fabbrica per finanziare investimenti in altri settori. Nel contratto di vendita, c’era una clausola che imponeva la “liberazione” del terreno entro il 1998.

La maggior parte degli operai aveva oltre vent’anni di anzianità e quindi gli spettavano legalmente indennità di licenziamento di tutto rilievo, ma come spesso accade in Marocco il proprietario non era disposto a pagarle. Di fronte alla prospettiva di perdere tutto, i lavoratori occuparono lo stabilimento, trasferendosi all’interno con le loro famiglie e abitandoci dal settembre 1998 al luglio 2000. Nella notte del 14 luglio 2000, la polizia e le forze ausiliari sgomberarono l’occupazione con la forza. I lavoratori portarono allora il caso in tribunale al fine di ottenere il pagamento delle indennità. Vinsero il processo in primo grado nel 2002 e in appello nel 2004. È da marzo 2004 che attendono l’applicazione della sentenza senza vedere un centesimo.

Come ripetono costantemente i militanti della sinistra sindacale, i legami personali, spesso familiari, tra molti padroni marocchini e gli alti funzionari dello stato fanno sì che il facile ricorso alla repressione ai danni dei lavoratori si accompagni alla tolleranza di macroscopiche violazioni della legislazione del lavoro a favore delle aziende. La lotta degli operai, ormai anziani, è continuata a oltranza con varie iniziative, sfociate nel presidio quotidiano tuttora in corso. Si dice scherzosamente che ormai fanno parte del mobilio del Ministero della Giustizia. Molti di loro, pur essendo in età pensionabile, sono privi di pensione perché non hanno raggiunto i contributi sufficienti.

Il caso Moulins du Littoral è indicativo della vita di vessazioni a cui sono sottoposti i membri delle classi subalterne nel terzo mondo e in Marocco in particolare, che come abbiamo visto [1] è caratterizzato da condizioni anche più dure degli altri paesi Nord Africani. I dati sulla copertura della previdenza sociale non sono affidabili ma è risaputo che sia molto bassa, i sussidi di disoccupazione non esistono, le violazioni dei diritti legali nel privato sono più la norma che l’eccezione e la percentuale di impiego nel settore informale è stimata al 40% (in Tunisia è al 30%). Tale contesto ben spiega l’impressionante tenacia con cui gli anziani operai reclamano il rispetto dei loro diritti legali da quasi vent’anni, dopo due anni di occupazione della fabbrica, due processi e due anni di presidio quotidiano. Nel frattempo, dei cinquanta, sette sono morti per cause legate alla vecchiaia e uno si è suicidato sotto il peso dell’esasperazione.

[1] http://www.globalproject.info/it/mondi/marocco-oltre-i-miti-della-stampa-italiana/20207