Noam Chomsky: "Incombono nuvole nere"

Intervista sulla guerra, la situazione a Gaza e la crescita dell'Isis in Iraq e il conflitto in Ucraina.

19 / 10 / 2014

A ottobre 2014 il Plymouth Institute for Peace Research ha chiesto a Noam Chomsky di commentare alcuni importanti sviluppi mondiali, tra cui la minaccia di una guerra nucleare, l’attuale aggravamento della violenza a Gaza e la crescita dell’ISIS in Iraq. Questi sviluppi tristi e pericolosi sono colpiscono particolarmente, considerato che sono coincisi con il centenario della prima guerra mondiale. Ciò ci offre un indizio non trascurabile a proposito di quanto governi e pubblici abbiano imparato da un secolo di guerre.

Quest’anno commemora il centenario della cosiddetta Grande Guerra. Quali sono le sue riflessioni?

C’è molta discussione a proposito dell’attribuzione della responsabilità/colpa per lo scoppio di questo orrendo conflitto e un generale accordo su un punto: ci fu un elevato livello di accidentalità e di contingenza; le decisioni avrebbero potuto facilmente essere diverse, evitando la catastrofe. Ci sono infausti paralleli con la catastrofe nucleare.

Un esame della storia dei quasi scontri con armi nucleari rivela quanto il mondo è arrivato vicino molte volte al virtuale auto-annullamento, tanto che sfuggirvi è stato quasi un miracolo, un miracolo che è improbabile si perpetui troppo a lungo. La storia sottolinea l’ammonimento di Bertrand Russell e Albert Einstein del 1955 che abbiamo di fronte una scelta che è “forte e spaventosa e ineluttabile. Dovremo mettere fine alla razza umana o dovremo rinunciare alla guerra?”

Una seconda osservazione non meno raggelante è l’alacrità della corsa alla guerra da parte di ogni schieramento, in particolare l’immediata dedizione degli intellettuali alla causa dei propri stati, con una piccola frangia di eccezioni notevoli, quasi tutte punite per la loro integrità e buonsenso; un microcosmo della storia dei settori istruiti e colti della società e dell’isterismo di massa che essi spesso esprimono.

Le commemorazioni sono iniziate quasi contestualmente all’Operazione Margine Protettivo. E’ una tragica ironia che Gaza sia sede di tombe commemorative della prima guerra mondiale. Quali sono state le ragioni vere – in contrasto con quelle retoriche – del più recente attacco di Israele contro Gaza?

E’ d’importanza critica riconoscere che quasi un decennio fa è stato elaborato un disegno che da allora è stato seguito regolarmente: si addiviene a un cessate il fuoco, Israele rende chiaro che non lo rispetterà e continua i suoi assalti contro Gaza (e l’appropriazione di tutto quel che vuole altrove nei territori occupati), mentre Hamas rispetta il cessate il fuoco, come Israele ammette, fino a quando l’intensificazione israeliana non provoca una reazione, offrendo a Israele il pretesto per un altro episodio di “falcio dell’erba” (nel raffinato gergo israeliano).

Ho esaminato in precedenti in altre occasioni; è insolitamente chiaro negli eventi storici. Lo stesso disegno vale nel caso dell’Operazione Margine Protettivo. Un’altra serie di cessate il fuoco era stata raggiunta nel novembre 2012. Israele l’ha ignorata come al solito; nonostante ciò Hamas l’ha rispettata. Nell’aprile 2014 Hamas, con sede a Gaza e l’Autorità Palestinese, della West Bank, hanno creato un governo d’unità, che ha immediatamente adottato tutte le richieste del Quartetto (Stati Uniti, Unione Europe, ONU e Russia) e che non compreso alcun membro di Hamas. Israele si è infuriato e ha lanciato un’operazione brutale nella West Bank, estendendola a Gaze e prendendo di mira principalmente Hamas. Come sempre c’è stato un pretesto, ma che non regge a un esame. Alla fine le uccisioni a Gaza hanno scatenato una reazione di Hamas, seguita dal ‘Margine Protettivo’.

I motivi della furia di Israele non sono oscuri. Per vent’anni Israele ha cercato di separare Gaza dalla West Bank, con il pieno sostegno degli Stati Uniti e in patente violazione degli Accordi di Oslo, firmati da entrambe le parti, che dichiarano che le due sono una singola entità territoriale indivisibile. Un’occhiata alla carta geografica spiega i motivi. Gaza offre l’unico accesso al mondo esterno per la Palestina; senza libero accesso a Gaza, ogni autonomia che potesse essere concessa a una qualche frammentata entità palestinese nella West Bank sarebbe, in effetti, imprigionata.

I governi di Israele, Gran Bretagna e Stati Uniti sono certamente spaventati dall’apparizione dell’ISIS, una nuova ‘minaccia’ che offre loro nuove scuse per la guerra e la repressione in patria. Quali sono le sue riflessioni sull’ISIS e il più recente bombardamento dell’Iraq?

Le notizie sono limitate e dunque quello che possiamo concludere è necessariamente costruito su prove sparpagliate. Per me è così: l’ISIS è una vera mostruosità, una delle molte orripilanti conseguenze della mazza statunitense che, tra altri crimini, ha aizzato conflitti settari che a questo punto possono aver distrutto definitivamente l’Iraq e stanno facendo a pezzi la regione. La sconfitta quasi istantanea dell’esercito iracheno è stata un evento assolutamente sconvolgente. Si trattava di un esercito di 350.000 uomini, pesantemente armati e addestrati per più di un decennio dagli Stati Uniti. L’esercito iracheno aveva combattuto una guerra lunga e feroce contro l’Iran negli anni ’80. Non appena si sono trovati di fronte poche migliaia di militanti scarsamente armati gli ufficiali comandanti sono fuggiti e anche i soldati demoralizzati sono fuggiti con loro o hanno disertato o sono stati massacrati.

Ormai l’ISIS controlla quasi tutta la provincia di Anbar e non è lontano da Baghdad. Con l’esercito iracheno virtualmente svanito i combattimenti in Iraq sono nelle mani delle milizie sciite organizzate dal governo settario e che stanno attuando crimini contro i sunniti alla pari di quelli commessi dall’ISIS. Con la cruciale assistenza dell’ala militare dei curdi turchi, il PKK, i peshmerga curdi iracheni tengono apparentemente a bada l’ISIS. Sembra anche che il PKK sia la forza più significativa nel salvare gli yazidi dallo sterminio e stia fermando l’ISIS in Siria, compresa la cruciale difesa di Kobane.

Contemporaneamente la Turchia ha intensificato i suoi attacchi con il PKK con la tolleranza, se non il sostegno, degli Stati Uniti. Pare la Turchia sia soddisfatta nel vedere i propri nemici – ISIS e curdi – uccidersi a vicenda a vista d’occhio oltre il confine, con probabili conseguenze terribili se i curdi non riusciranno a sostenere gli attacchi dell’ISIS a Kobane e oltre.

Un altro grande avversario dell’ISIS, l’Iran, è escluso dalla “coalizione” statunitense per motivi politici e ideologici, così come lo è naturalmente il suo alleato Assad. La coalizione a guida statunitense comprende alcune dittature petrolifere arabe che esse stesse appoggiano gruppi jihadisti in competizione tra loro. La principale, l’Arabia Saudita, è stata a lungo la fonte principale di finanziamento dell’ISIS e delle sue radici ideologiche, non una faccenda minore.

L’ISIS è una progenie estremista delle dottrine saudite wahabite/salafite, esse stesse una versione estremista dell’Islam e una versione missionaria, che utilizza grandi risorse petrolifere saudite per diffondere i propri insegnamenti in gran parte del mondo mussulmano. Gli Stati Uniti, come in precedenza la Gran Bretagna, hanno teso ad appoggiare l’Islam radicale fondamentalista in contrasto con il nazionalismo laico e l’Arabia Saudita è stata uno dei principali alleati degli USA da quando la dittatura di famiglia si è consolidata e nel paese sono state scoperte grandi risorse petrolifere.

Il giornalista e analista oggi meglio informato sulla regione, Patrick Cockburn, descrive la strategia statunitense, così com’è, come una costruzione da Alice nel Paese delle Meraviglie, contro l’ISIS e i propri nemici e che incorpora debolmente dubbi alleati arabi e un limitato sostegno europeo. Un’alternativa consisterebbe nell’aderire alla legge nazionale e internazionale, fare appello al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e poi seguirne la guida e cercare vie politiche e diplomatiche per uscire dal pantano o almeno mitigare i propri errori. Ma ciò è impensabile nella cultura politica statunitense.

Mentre aumentano le operazioni militari in Iraq, la NATO destabilizza ulteriormente l’Ucraina. Quali sono i suoi pensieri a proposito del conflitto USA-Russia per procura e sul suo potenziale per una guerra nucleare?

E’ uno sviluppo estremamente pericoloso, che è andato fermentando sin da quando Washington ha violato le sue promesse verbali a Gorbaciov e ha cominciato a espandere la NATO a est, propri ai confini con la Russia, e minacciando di incorporare l’Ucraina che ha un grande significato strategico per la Russia e naturalmente ha stretti legami storici e culturali.

C’è un’analisi sensata della situazione sulla principale rivista del sistema, Foreign Affairs [Affari Esteri], dello specialista in relazioni internazionali John Mearsheimer, intitolata “Perché la crisi Ucraina è colpa dell’Occidente”. L’autocrazia russa è lungi dall’essere innocente, ma qui si torna ai commenti precedenti: siamo già arrivati pericolosamente vicini al disastro in passato, e stiamo di nuovo giocando con la catastrofe. Non è che manchino possibili soluzioni pacifiche.

Un pensiero finale a proposito di una nube nera e minacciosa che incombe su tutto ciò di cui discutiamo: come i proverbiali lemming, stiamo marciando risolutamente verso una crisi ambientale che può ben rimuovere altre preoccupazioni in un futuro non troppo distante.

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Articolo tratto da www.znetitaly.org -  Fonte originale: zcomm.org

Articolo originale: The Plymouth Institute for Peace Research

traduzione di Giuseppe Volpe 2014 per ZNET Italy