Report #1 - L'Isis minaccia la Turchia di Erdogan

Report della delegazione napoletana di GlobalProject al confine turco-siriano

22 / 2 / 2015

Ieri sera attorno alle 20.30 tornavamo in macchina verso Mesyanter il villaggio alla frontiera dove stiamo dormendo da tre giorni e lungo la strada siamo stati fermati dall’esercito turco che ci ha intimato di tornare a Suruç. Dopo aver finto un effettivo retrofront siamo tornati al villaggio attraverso le strade interne che uniscono l’uno all’altro i villaggi alla frontiera. 

La situazione ci è parsa immediatamente anomala e tesa. Il passaggio continuo di mezzi militari quasi totalmente assenti nelle ore precedenti, il rumore degli aerei della coalizione e probabilmente dell’esercito turco e gli spari a Kobane lasciavano intuire che stava accadendo qualcosa. 

Le persone del villaggio ci hanno immediatamente spiegato che gli spari sono una pratica tendenzialmente usuale dell’esercito turco per impedire il passaggio in entrata e in uscita alla frontiera di Kobane. Ci hanno spiegato che l’esercito aveva imposto una sorta di coprifuoco, che era impossibile uscire dal nostro villaggio così come da quelli adiacenti perché era praticamente “circondato”. 

La notte all’interno del villaggio è trascorsa tranquilla, come ogni sera due giovani hanno fatto i turni attorno alle case per assicurare la protezione degli stessi, non per le condizioni eccezionali, ma di routine. Al risveglio, il nostro ospite del villaggio ha chiarito gli eventi della notte trascorsa. 

L’Isis avrebbe minacciato la tomba di Sultan Selimn, un luogo sacro dell’impero ottomano importantissimo per la cultura turca. A questa minaccia, che per la prima volta da quando è cominciata l’offensiva del Daesh riguarda la Turchia fino ad ora esplicitamente complice dell’Isis, i soldati di Erdogan hanno risposto inviando sul posto 700 uomini per mettere in sicurezza le reliquie con una rapida operazione militare di nome Sah Firat (operazione Eufrate), uomini che poi si sono immediatamente ritirati. 

Per arrivare sul posto i turchi sono entrati a Kobane chiedendo l’autorizzazione allo Ypg per passare attraverso la città liberata. 

Questa informazione è chiaramente smentita da tutte le fonti ufficiali turche ma confermata da tutte quelle curde. D’altra parte noi stessi stanotte abbiamo visto decine di mezzi militari andare verso la porta principale di Kobane che si trova a pochi metri da Mesaynter. 

La prima considerazione che ci viene da fare è che questa è la prima volta che l’Isis sfida apertamente l’amico Erdogan e il popolo turco in generale, e che questa operazione cambia sicuramente in profondità gli equilibri che fino a ora sembravano immodificabili nei rapporti tra Turchia e Daesh. Basti pensare che fino a ieri i carrarmati turchi presenti alla frontiera erano ancora puntati su Kobane (come mostra la foto in copertina). 

La seconda considerazione che ci appare altrettanto evidente è che su questi territori indipendentemente dalle ridefinizioni possibili i compagni e le compagne dello YPG e dello YPJ continuano a rappresentare un anticorpo efficacissimo e una costante garanzia contro gli sconfinamenti continui dell’Isis. 

Va detto infatti che la battaglia delle truppe di autodifesa curde non si è fermata con la liberazione di Kobane ma continua almeno su due fronti importantissimi. Si tratta della città di Jaraboulous, a ovest di Kobane, sul Fiume Eufrate, vicino al quale si trova una postazione militare dello YPG, Shuyuukh. 

In questa cittadina i curdi combattono contro il Daesh ancora in offensiva e non distante dal sito che la Turchia difende. Ad est di Kobane si trova l’altro fronte, quello di Tel Abiad, la cui battaglia è inasprita dal fatto che la maggioranza della popolazione nella cittadina turca confinante, Akakcale, è in maggioranza araba, accanto a turchi e curdi, e non mancano sostenitori dell’Isis. 

La vittoria su questi due fronti garantirebbe la continuità territoriale dei tre cantoni della Rojava da Efrin a Qamishli.

Questi due fronti sono funzionali non solo alla stabilizzazione politica e territoriale dell’esperienza di autogoverno del Rojava ma anche all’apertura di un corridoio che permetta la ricostruzione della città di Kobane di cui oggi restano quasi solo polvere e macerie. 

La resistenza completamente indipendente delle truppe di autodifesa e per questo ancora assolutamente necessaria perché i governi occidentali nonostante l’enorme debito che hanno nei confronti dei curdi e della loro lotta all’Isis ancora non mostrano concreto interesse alla vicenda del Rojava, non essendo ancora riusciti a fare sufficiente pressione sulla Turchia per l’apertura di un corridoio a Suruç per togliere la frontiera dalle mani della gestione arbitraria dei soldati di Erdogan.

Maggiori informazioni:

Rojava calling su FB