Intervista a Lorenzo Trombetta

Siria - Cosa sta succedendo?

Un paese diviso tra aree controllate dal regime, dai qaedisti, dalle varie milizie ribelli, dove i civili continuano a morire è lo scenario delle elezioni presidenziali di Assad, nello scenario di una strategia della tensione.

3 / 6 / 2014

Durante la Conferenza internazionale sulla libertà d'espressione - all'interno del world social forum di Tunisi -abbiamo avuto l'opportunità di incontrare Lorenzo Trombetta a cui abbiamo rivolto alcune domande sulla situazione siriana a pochi giorni dalle elezioni presidenziali convocate dal regime.

Oltre la coltre disinformativa che esiste sulla Siria. Qual è la situazione sul campo?

Uno stallo dinamico. Una situazione in cui i due fronti - quello dei ribelli tra l'altro è molto variegato e ci sono diversi attori che operano sul terreno non solo i ribelli e il regime - o meglio i vari fronti avanzano o ripiegano ma nel contesto generale non vi sono grandi stravolgimenti.

Poi se scendiamo più nel dettaglio, nei vari scenari vediamo che il regime grazie ai suoi alleati regionali Hezbollah libanesi, l'Iran, il sostegno russo è riuscito a consolidare una sua posizione nell'asse da Damasco alla regione costiera. Damasco è il centro del potere e la regione costiera è fedele tradizionalmente al potere di Damasco. Tutto questo passando per la regione centrale di Homs. Ad aprile, inizio maggio Homs, o meglio quel che ne rimane, è definitivamente caduta. Di fatto oggi il regime controlla in modo più o meno solido tutta questa area, da alcuni definita la "Siria utile" perchè strategicamente contiene i porti sul mediterraneo, l'ex polo industriale di Homs, Damasco e l'area che circonda il confine libanese. Queste zone  sono in mano al regime siriano sostenuto dall'Iran e dalla Russia.

Abbiamo poi un rafforzamento della presenza di  miliziani qaedisti, provenienti per lo più dall'Iraq ma anche dai paesi del Caucaso e da vari paesi mussulmani che inizia dalla regione irachena di Al Anbar. Da Fallujah  e Ramadi risalgono l'Eufrate fino a passare il confine siriano a Deir el-Zor e  arrivano a Raqqa il capoluogo settentrionale siriano, che è un po' la capitale ormai di questi qaedisti identificati con la sigla ISIS, che sta per Stato Islamico dell'Iraq e del Levante. La loro influenza arriva fino a Aleppo, Idlib anche se da gennaio a marzo il variegato fronte dei ribelli ha cercato anche di respingerli verso Est.

I ribelli: abbiamo una miriade di sigle e di formazioni che si muovono e cambiano leader e alleanze tra di loro anche nell'arco di pochi giorni, di poco tempo. Quindi è una situazione molto difficile, Possiamo in generale parlare di milizie sparse su ampi settori della parte nord, della parte centrale fino a Hama, fino a dove c'è il confine con la regione di Homs, nella parte meridionale di Dar'a al confine della Giordania, nella parte del Golan, occupato, a ridosso della linea di demarcazione tra Israele e Siria.

Poi c'è un quarto grande attore che sono le milizie curde che cercano di proteggere le tre aree a maggioranza curda che sono da est verso ovest quella al confine tra Iraq e Turchia, Kamichlié e Hassaké, una parte centrale di Ain al-Arab Kobani ed un altra a nord di Aleppo confinante con la provincia turca di Hatay.

Tra pochi giorni ci saranno le elezioni, formalmente le prime pluralistiche nel paese, come verrano utilizzate?

Verranno utilizzate per legittimare la presenza ai vertici dello stato, rimaniamo nei termini formali, del Presidente Bashar al-Assad, che può formalmente ripresentarsi anche nel 2021, quando scadrà il suo mandato presidenziale che sarà confermato il 3 giugno prossimo. Iran, Russia e tutti gli alleati minori della Siria potranno dire:  "vedete il popolo siriano - perchè tutti ormai parlano di popolo siriano -  sostiene il regime", quindi non è vero che "il popolo siriano è contro il regime, quello che è successo da tre anni a questa parte è evidentemente un complotto delle potenze occidentali e dei paesi arabi del Golfo che non hanno tenuto conto delle esigenze del popolo siriano e hanno sfruttato delle richieste legittime di parte del popolo per cercare di indebolire il legittimo governo del presidente Bashar al- Assad."

Questa sarà più o meno la retorica che sarà utilizzata. Ovviamente apparentemente pare inutile, pare una retorica fasulla eppure abbiamo visto come questa abbia convinto, negli ultimi tre anni e mezzo, molti osservatori scettici in particolare dai paesi del BRICS. Paesi questi che continuano, per varie ragioni ovviamente di politica estera propria, a guardare con interesse a questa versione dei fatti. Quindi da questo punto di vista sarà un passo importante per la legittimazione formale di Assad. Anche presso le cancellerie occidentali, che sebbene continuino a dire che queste elezioni non hanno significato, paesi che hanno una politica meno aggressiva degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna- politica retorica intendo non fattuale - possono comunque essere sedotti da un richiamo alla legittimità formale. Molti osservatori e gli stessi decisori politici non vanno a leggersi le regole costituzionali e legali con cui il regime siriano ha organizzato queste elezioni, quindi molti potranno credere che formalmente sono le prime elezioni pluralistiche dopo cinquant'anni. Quindi forse sarà difficile dire no, non è valido, non è un segnale che dobbiamo prendere in considerazione.

Ricordiamo che nessun partito si contenderà lo spazio elettorale. C'è il Presidente Bashar al- Assad, che è sostenuto dal partito Baath al potere almeno fino al 2012, poi di fatto continua ad essere al potere,  nel senso che il Parlamento in Siria continua ad essere dominato da questo partito. Anche senza entrare adesso nel dettaglio della costituzione del 2012 e dalla legge elettorale del marzo scorso, il regime ha fatto sì che i due candidati, che hanno potuto superare lo sbarramento, la cui proposta di candidatura è stata accettata dal parlamento baahtista, sono dei candidati che di fatto non hanno alcun peso politico, non sono dei dissidenti, non sono degli oppositori, non si presentano come una rottura o in opposizione a Bashar al- Assad. Servono solo come decoro per dire che queste sono delle elezioni pluralistiche, che per la prima volta i siriano non dovranno recarsi alle urne per dire "si vogliamo Bashar al- Assad" ma avranno la possibilità di scegliere tra tre candidati. 

Torniamo alla situazione reale della popolazione, per esempio come sono cambiate le condizioni di vita della popolazione ad esempio nelle zone controllate dalle milizie quaddiste?

Sono peggiorate rispetto a come erano durante l'occupazione, il controllo, la presenza delle truppe del regime siriano. Questo oscurantismo qaedista, questa barbarie, i crimini che commettono e il modo con cui cercano di amministrare questo territorio, è un modo alieno alla tradizione siriana e che spinge gran parte della popolazione o alla fuga o a sperare che torni addirittura il regime, il che la dice lunga su quanto questo cancro qaedista stia nuocendo non soltanto alla rivolta del 2011, a quello che ne è seguito ma in generale alla Siria e al suo tessuto sociale.

C'è anche da ricordare che sebbene alcuni quadri del qaedismo, mi riferisco all'ISIS, siano stranieri e quindi si aprono tutte le possibili interpretazioni su chi comanda, chi indirizzi questi stranieri a commettere questi crimini, a comportarsi di fatto come una forza di contro-insurrezione, c'è poi una presenza piuttosto significativa di qaedisti siriani all'interno di questi gruppi e c'è da chiedersi da dove vengono, che formazione hanno avuto, a quali scuole culturali di pensiero sono cresciuti. Questo, anche per ricordare che non soltanto in Siria il qaedismo, l'oscurantismo jihadista, che oggi viene descritto in qualche modo come un cancro peggiore delle dittature ed in qualche modo favorisce la dittatura laica nella sua retorica di presentarsi come l'unica alternativa possibile, nasce, viene incubato, coccolato in decenni di regimi autoritari, sostenuti anche dall'Occidente.

Questi giovani di venti, trenta anni non vengono da Marte, non vengono soltanto dalla Cecenia o dallo Xinjiang cinese. Sono siriani, sono libanesi, sono tunisini, sono marocchini, di tanti paesi arabi islamici che hanno vissuto delle situazioni di povertà, di estremismo, di marginalizzazione, di assenza di prospettive, di disoccupazione, di disadattamento.

Se uno cerca di ragionare, di non appiattire il racconto soltanto alla cronaca locale, momentanea, a raccontare un qaedismo che uccide, arresta e fa rimpiangere Assad, bisogna chiedersi chi utilizza di fatto questo qaedismo, chi ha lo ha fatto crescere nel proprio paese. Tra l'altro ricordiamo che molti leaders qaedisti islamisti siriani sono stati liberati nelle amnistie presidenziali dal 2011 in poi. Mentre Assad arrestava attivisti, dissidenti laici, della sinistra storica siriana e non, liberava gradualmente tutta una serie di fondamentalisti islamici che erano già stati usati dai servizi di sicurezza siriani quando c'era bisogno di andare a fare un Jihād contro le truppe anglo-americane in Iraq. Su questo ci sono numerosi documenti e racconti che comprovano questo flusso dalla Siria verso l'Iraq, grazie ai servizi di sicurezza di Damasco. Una volta rientrati, una volta raccolti nuovamente questi jihadisti, il regime li ha imprigionati ma li ha usati comunque poi quando gli servivano. Sebbene non sia possibile provare un filo diretto, una collaborazione organica tra regime e qaedismo c'è però una convergenza di interessi culturali ed almeno a livello percentuale si registra una connivenza di alcuni quadri di questi qaedisti almeno con un passato vicino al regime.

In fondo la strategia della tensione non l'ha inventata Assad, il fatto di infiltrare alcune organizzazioni terroristiche per usarle a propri fini non è uno scenario così estraneo al Nord Africa, ripenso, per esempio, alla guerra sporca condotta dai servizi di sicurezza algerini a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. Assad non ha fatto altro che attingere ad un'esperienza non soltanto araba, ovviamente, ma mi riferisco al mondo arabo per limitarci. Questo per cercare di spiegare che se Al-Qāida oggi si presenta come male peggiore rispetto ad Assad, se guardiamo tutto con una maggiore distanza sono due facce di una stessa medaglia.

Un' ultima domanda quanto riguarda quanto la guerra ha devastato questo pezzo di mondo. Abbiamo già avuto modo con le Carovane sulle rotte dell'Euromediterraneo di vedere la drammatica situazione di chi lascia la Siria. Ma per chi resta qual'è la situazione?

La maggior parte degli sfollati si trovano addensati attorno ai centri urbani o a quel che ne resta. Il regime controlla gran parte della popolazione. Anche se a livello territoriale non controlla la maggioranza del paese, essendo la popolazione siriana concentrata sempre più attorno ai grandi centri urbani, che sono per lo più, a parte Raqqa, in mano al regime, o almeno parzialmente in mano al regime, oggi possiamo dire che la gran maggioranza degli sfollati dalle zone rurali colpite maggiormente  si trova sotto il controllo del regime.

Homs la terza città siriana un tempo è oggi la più distrutta, ne resta in piedi solo un terzo.

Alcuni quartieri di Aleppo sono fortemente danneggiati. La città è divisa: due terzi in mano alle milizie anti-regime e un terzo, o forse qualcosa di più, è in mano alle truppe lealiste.

Hama è una città assediata dove le forze lealiste hanno retto dei muri ai vari ingressi della città, c'è il coprifuoco dalle 7 di sera alle 7 della mattina, solo i residenti possono entrare e uscire, E' una cittadina medioevale dove ad una certa ora le porte si chiudono e nessuno può entrare o uscire.

Deir El Zor,  capitale dell'oriente siriano sull'Eufrate è assediata dall'ISIS da una parte e dal regime dall'altra. Due entità che anche in questo caso non si fanno la guerra e i ribelli cercano di resistere a questo assedio, ma sempre con maggior difficoltà. E' una città molto provata, martoriata con quartieri interamente distrutti, il suo simbolo il ponte sospeso sull'Eufrate è distrutto.

Raqqa è una città controllata dall'Isis, dai qaedisti, il regime bombarda e continua a bombardare anche degli obiettivi civili. Circa un mese fa i ribelli qaedisti hanno potuto eseguire una preghiera collettiva nello stadio comunale di Raqqa, un obiettivo abbastanza riconoscibile dall'alto dall'aviazione del regime ma hanno potuto pregare con tutta calma senza che nessun barile bomba gli cadesse addosso.

I barili bomba continuano a piovere, anche ad Aleppo. I quartieri orientali ed anche a nord sono continuamente colpiti da questi barili bomba. Il bilancio non verificabile in maniera indipendente sul terremo, ma abbastanza documentato da attivisti siriani sul terreno recita circa 5000 persone uccise in 5 mesi, cioè 12 al giorno tra cui cui 567 bambini e 283 donne per i barili bomba e i bombardamenti tradizionali del regime. Ad Aleppo non si muore solo per mano del regime, ci sono anche morti per degli ordigni artigianali costruiti con delle bombole di gas da campeggio, montate su proiettili e lanciati come mortai che vengono lanciati in maniera casuale contro la parte controllata dal regime. E questi sebbene abbiano una potenza distruttiva meno pesante terrorizzano la popolazione civile che si trova dall'altra parte.

Dar'a il capoluogo della regione meridionale al confine della Giordania è quasi per metà distrutta, si continua a combattere all'interno della città e i civili soffrono in entrambi i casi. Ultimamente un sit-in di gente filo-regime è stato bombardato con un mortaio sparato da ribelli  e ci sono stati circa 20 morti tra cui dei minori.

Damasco è per certi versi una città controllata e stabilizzata dal regime ma ultimamente i ribelli hanno ripreso a bombardare alcune postazioni del regime. Lo stesso regime ha posto alcune rampe di lancio anche all'interno della città vecchia ed in alcuni casi i ribelli dicono di voler colpire questi obiettivi ma i mortai non sono così precisi e così si colpiscono obiettivi civili e ci sono vittime civili.  In alcuni non ci sono rampe di lancio ma ci sono obiettivi meno visibili e comunque vengono colpiti i quartieri residenziali.

La situazione è molto variegata a seconda delle città che prendiamo ad esame.

Nelle aree rurali  si combatte o si bombarda in maniera molto più indiscriminata. È più facile per il regime bombardare a tappeto e al tempo stesso per i ribelli però è più facile compiere delle operazioni di resistenza contro i i mezzi, i  convogli che cercano di andare da una parte o l'altra.