“Somos todos americanos”

Un cambiamento epocale nelle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba

19 / 12 / 2014

“No al bloqeo”, “resistir un minuto màs”. Slogan, certo, ma che alla fine hanno portato a Cuba, ai fratelli Castro un ritorno di immagine potente e suggestivo, in un epoca in cui tutti i miti sono caduti nella polvere e le ideologie si sono infrante. Laggiù nei magici Caraibi il minuscolo Davide ha – nei fatti – battuto il gigante Golia gonfiando il cuore di ogni sano antimperialista: Gianni Minà avrà bevuto senz’altro una bottiglia di ron Matusalem stravecchio in compagnia di un profumato Coiba. Anche noi ci associamo, è bene che sia finita così dopo 54 anni di affronti a brutto muso, durante i quali tutti i mezzi sono stati usati per piegare la caparbietà del popolo cubano, che più che del povero socialismo in un solo paese è orgoglioso della propria indipendenza e libertà.

In una dichiarazione congiunta, a Washington e all’Avana, alle 12 del 16 dicembre Obama e Raul Castro, hanno pronunciato la frase ‘somos todos americanos’ aprendo ufficialmente le relazioni diplomatiche, che già da alcuni anni si rincorrevano nei meandri oscuri della diplomazia internazionale, già vi erano stati segnali e mezze dichiarazioni, prontamente riconsiderate, da parte degli USA, per le proteste, le minacce pesanti delle lobby anticastriste fortemente legate agli ambienti conservatorie militari, presenti trasversalmente nel partito repubblicano e democratico. Questa volta Obama - che vuole segnare la fine del suo duplice mandato con dei cambiamenti significativi e simbolici -, forte delle prerogative del presidenzialismo statunitense, ha prima regolarizzato 5 milioni di ‘latinos’ in clandestinità formale da anni, procurando una nuova fetta elettorale al prossimo candidato democratico e poi ha riallacciato i rapporti diplomatici con Cuba, aprendole i canali commerciali e le transazioni finanziarie internazionali, lanciando la palla in Parlamento per la revoca dell’embargo. Un passaggio questo di Obama preparato insieme al suo ministro degli esteri il cattolico John Kerry, che nella sua carriera ha coltivato, con più visite, i buoni rapporti con il Vaticano di papa Francesco, in particolare con il segretario di stato mons. Piero Parolin, nunzio per tanti anni in Venezuela e grande esperto di America latina.

Che la svolta fosse matura e che rappresentasse soltanto la radicata ma obsoleta ossessione anticomunista era nei fatti, nei rapporti politico economici di tutta l’America latina, nella penetrazione nell’area sud americana e caraibica della concorrenza cinese, nella apertura delle frontiere e dell’economia nella stessa Cuba. Non era più possibile far finta di non vedere milioni di vacanzieri statunitensi aggirarsi per l’Avana, avendo aggirato il divieto di transito passando per il Canada o il Messico; così come non poteva passare inosservata la fornitura di un nuovo frigorifero cinese a tutte le famiglie cubane; tanto più ha pesato il sostegno economico diretto del Venezuela e indiretto degli altri paesi sud americani come il Brasile, l’Argentina, Equador e Bolivia, contraccambiato dalle brigate di insegnanti, medici e tecnici cubani.

Una importante tappa simbolica vinta da Cuba, dunque, questa del riconoscimento e del ripristino delle relazioni diplomatiche con gli USA. Ora rimane da vincere la tappa successiva che è quella del passaggio da una economia da guerra fredda, da una strutturazione sociale blindata e sotto stretta tutela, da una selezionata e ridotta comunicazione e socializzazione dei rapporti sociali interni e internazionali, da una ‘protezione paternalista’ dell’indotto sociale ed economico della globalizzazione a tutto quello che conosciamo nei nostri paesi, nella nostra società. La società cubana saprà resistere al ciclone pervasivo dell’economia mondo, come ha saputo attrezzarsi contro i cicloni che ogni anno l’hanno attraversata, facendo, grazie a piccoli accorgimenti, danni irrisori rispetto a quelli che vengono provocati nel sud degli Stati Uniti? Questa è la scommessa nel gioco che si è definitivamente aperto.

I cubani, tutti, dall’uomo di strada al potente funzionario, dicevano e dicono peste e corna dei Fidel e del Partito ma tu – ovvero noi – puoi solo ascoltare e portare a loro rispetto: solo loro – i cubani – sanno come erano, come stavano, quello che sono, che potranno diventare; solo loro possono decidere il loro futuro. Questo era il refrain che sentivi ripetere ovunque tu andavi a Cuba, ora sarà interessante vedere come si evolverà la situazione politica interna, ora che è venuto meno il ‘tormentone’ del bloqeo e del grande nemico distante poche miglia dal Malecon, che hanno funzionato, molto, da collante nazional popolare in grado di far bypassare difficoltà materiali e importanti traumi politici.

On the Road Again