Stati Uniti e alleati colpiscono gli obiettivi Isis in Siria

Gli Stati Uniti attaccano con aerei da combattimento, bombardieri e missili Tomahawk lanciati dalle navi da guerra, intanto confermano il coinvolgimento delle nazioni arabe nell'offensiva.

23 / 9 / 2014

Gli Stati Uniti hanno deciso e poco dopo, insieme ai vari alleati raccolti, hanno cominciato a bombardare le postazioni detenute dallo Stato Islamico in Iraq e in Siria: si tratta del primo attacco fatto da una coalizione creatasi per contrastare l’Isis. 

Inizialmente non è stato nè reso pubblico né confermato quali erano gli obiettivi precisi, giacché fino ad oggi i bombardamenti contro l’Isis in Iraq venivano motivati soprattutto come operazione tesa a proteggere il personale diplomatico e militare americano installato nel Nord dell'Iraq o come sostegno delle forze irachene impegnate a contrastare l'avanzata dell'Isis nella regione della strategica diga di Mosul e verso la città di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno.

Nella notte appena trascorsa è stata messa a ferro e fuoco tutta l'area circostante alla città di Raqqa, roccaforte dell’Isis, nel nord-est della Siria: gli americani e gli alleati hanno iniziato a mettere sotto pressione il territorio siriano occupato dai jihadisti, dopo 180, se non di più, attacchi aerei in Iraq.

Attacchi aerei sono stati effettuati anche contro le postazioni di Al-Qaeda in Siria, aggiungendo che molteplici attacchi sono stati indirizzati verso la provincia occidentale di Aleppo, uccidendo almeno sette persone, sia combattenti che civili.

Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani che raccoglie informazioni, attraverso una rete di attivisti presenti sul territorio, decine di combattenti dello Stato Islamico sono stati uccisi o feriti.

Nell’operazione militare non c’è alcun coinvolgimento di paesi europei, ma stanno fiancheggiando gli Usa paesi come l’Arabia Saudita, gli Emirati arabi, la Giordania, il Bahrein e il Qatar.

Il presidente Barack Obama considera un successo diplomatico aver coinvolto determinati paesi arabi, così da dimostrare alle popolazioni della regione che non è la solita guerra tra Occidente e Oriente.

In effetti, parrebbe così, se non fosse che l’unico motivo che ha spinto alcune nazioni arabe a bombardare l’Isis è la diatriba secolare tra sciiti e sunniti.

Su questo scontro il presidente Obama vuole trarre il massimo vantaggio e nei giorni scorsi ha ottenuto dal Congresso un finanziamento di 500 milioni di dollari per formare e armare, nei prossimi mesi, un gruppo di ribelli siriani.

Allo stesso tempo però il governo statunitense non ha invitato tutti i paesi del Medio Oriente a entrare nella nuova alleanza, ne ha coinvolti una parte, tranne quelli che vogliono forse davvero sconfiggere lo Stato islamico sul campo.

Sarebbe troppo compromettente agli occhi dell’opinione pubblica mondiale stringere un patto con l’Iran, così come parrebbe brutto armare i ribelli curdi - dopo che sono stati etichettati dalla Casa Bianca come rivoltosi da sedare – e comunque creerebbe una situazione d’imbarazzo con la Turchia, così come sarebbe oltremodo difficile giustificare un accordo con il presidente siriano, che sino a pochi mesi fa era nel mirino degli Usa.

Quindi la domanda rimane sempre la stessa, così come la risposta, ossia che non c’è alcuna base solida da cui si è partiti o qualcosa di certo da costruire; ma semplicemente che lo Stato Islamico non rappresenta al momento una minaccia così seria per l’Occidente e che gli attacchi, così come la costruzione di questa coalizione, non sono altro che un modo per speculare e trarre vantaggi economici.