Sulla rotta ribelle dei mapuche - Trawun in Wallmapu

15 / 1 / 2018

In questi giorni le rotte ribelli dell'Associazione Ya basta! Êdî bese! e Ya Basta! Marche ci hanno portano nei territori della Patagonia argentina, prospettive e spazi sconfinati a cui non siamo abituati ma che affascinano immediatamente.

Da anni Ya basta! Êdî bese!  segue con interesse le azioni del popolo mapuche per il recupero del  territorio ancestrale e delle tradizioni, sostenendole con campagne di informazione e progetti. 

In questa occasione siamo stati invitati dalla comunità mapuche Pillan Mahuiza a partecipare al "trawun" (assemblea), insieme ad altre realtà mapuche, associazioni ambientaliste e media comunitari, convocato per condividere, discutere e trovare qualche percorso comune contro la  minaccia rappresentata dal progetto idroelettrico che incombe sul territorio. 

L'incontro, che è durato due giorni, ha dato inoltre l'opportunità ai partecipanti, mapuche e non mapuche, di condividere le esperienze di criticità sociali e ambientali che soffrono i territori e di discutere del clima di repressione a cui sono sottoposti tutti coloro che direttamente o indirettamente si occupano di questi argomenti.

Pillan Mahuiza si trova nella precordigliera delle Ande, a pochi chilometri dal Cile, in un territorio recuperato nel 1999 lungo il rio Corcovado. La costruzione di una diga per produrre l'energia elettrica necessaria al funzionamento di una miniera nelle vicinanze porterebbe all'allagamento di buona parte della valle e alla distruzione della comunità. 

Inizialmente occupata da Moira Millan, sola con i figli piccoli, adesso ospita tre generazioni della sua famiglia ed è aperta a volontari e amici che vogliono proporre e condividere progetti, come il laboratorio di bio edilizia che ha portato alla costruzione di alcuni edifici e di un forno con materiali naturali - legno, paglia, fango -  in armonia con l'ambiente circostante, un orto con serra per la coltivazione biologica, uno spazio di incontro e riunione per donne indigene.

L'incontro, durato due giorni, ha dato inoltre l'opportunità ai partecipanti, mapuche e non mapuche, di condividere le esperienze di criticità sociali e ambientali che soffrono i territori e di discutere del clima di repressione a cui sono sottoposti tutti coloro che direttamente o indirettamente si occupano di questi argomenti. 

1 - Repressione contro i mapuche e rapporto con movimenti e società civile

Il punto principale e più sentito sia dai mapuche delle comunità che dai non mapuche solidali è stato senz'altro quello della repressione esercitata in varie forme. 

Una  campagna di screditamento e persecuzione, che agisce su vari fronti, condotta direttamente o indirettamente da forze istituzionali e media, che si articola su vari fronti, dalla 

costruzione/diffusione di notizie false all'attribuzione dell'appartenenza al gruppo definito terroristico RAM, (Resistenza Ancestral Mapuche) a cui vengono attribuiti attentati incendiari e operazioni di sabotaggio contro le grandi imprese transnazionali.

Questo avviene per gli attivisti delle comunità Mapuche più in vista, i sostenitori solidali, come per esempio gli attivisti della radio Petu Mogelein (un progetto Ya Basta), che vengono accusati dei reati più inverosimili, dai quali devono difendersi sia sul piano giudiziario che mediatico e vivono costantemente in una situazione di precarietà, sempre in pericolo di subire perquisizioni, interrogatori o arresti da parte della polizia con l'accusa di essere protagonisti o supporter della Ram.

Criminalizzandoli, il governo cerca di creare il vuoto attorno ai Mapuche e costruisce un clima di paura a cui essi stessi reagiscono mettendosi sulla difensiva, adottando norme di sicurezza anche fra noi partecipanti all'assemblea. 

Effettivamente le misure di controllo e di 'spionaggio' sono facilmente percepibili in occasione di qualsiasi incontro pubblico o non pubblicizzato che tratti questi argomenti; negli ultimi tempi si sono verificati alcuni casi di internazionalisti sostenitori della usa mapuche, bloccati all'aeroporto (tra i quali anche un italiano).

2 - Rapporto con i movimenti e sinistra istituzionale.

Durante l'incontro si è parlato molto anche dei rapporti con i movimenti e i partiti della sinistra tradizionale, che pur appoggiando alcune rivendicazioni, spesso le strumentalizzano per fini elettorali e di scontro politico, senza che in realtà ci sia una reale comprensione delle rivendicazioni e delle concezioni ideali e spirituali che ne stanno alla base, dovuta anche alla scarsa conoscenza del mondo Mapuche con la sua complessità, cultura e tradizioni.

Nonostante queste criticità è stata avvertita la necessità di percorsi comuni e di alleanze, che si sono palesati con una grande partecipazione alle iniziative di piazza per la protesta in occasione della sparizione di Santiago Maldonado, bianco solidale, ma che poi non hanno avuto lo stesso seguito con l'uccisione di Rafael Nahuel, mapuche ribelle.

Nella wallmapu, territorio mapuche, si concentrano così tanti aspetti che riguardano l'attacco all'ambiente e alla vita umana, riscontrabili nei contenuti delle rivendicazioni delle comunità, che uniti alla loro determinazione li pongono idealmente alla testa dei movimenti ambientalisti e di tutela dei diritti umani contro gli scempi del capitalismo estrattivista. Nel vasto territorio della Patagonia sono frequenti gli impianti di fracking, le miniere a cielo aperto, dighe e centrali idroelettriche, industrie agroalimentari con il loro modello di sfruttamento della terra basato sulla chimica e le coltivazioni su larga scala geneticamente modificate.

Da parte di tutta l'assemblea è stata quindi sottolineata la necessità di essere uniti e incrementare alleanze nelle stesse lotte, popolo Mapuche e non Mapuche, coscienti che tali alleanze spaventano il potere e che uniti si può vincere.

È per questo che tutti i governi che si sono succeduti negli anni, senza differenza fra quelli di destra o di sinistra, hanno reagito con una repressione così violenta, accusando di terrorismo le comunità in resistenza e di fiancheggiamento chi appoggia le loro lotte.

3 - Beni comuni, devastazioni ambientali, saccheggio delle risorse.

Il pericolo denunciato dalla comunità Pillan Mahuiza già nel 2015, si fa più concreto dopo la presentazione ufficiale del progetto della diga idroelettrica che sommergerebbe il territorio della comunità e di altri insediamenti, con un danno ambientale di enormi dimensioni. Il progetto che potrebbe creare fratture all'interno del consiglio provinciale, viene gestito direttamente dal governo centrale che ha potere decisionale sulle questioni energetiche. 

La discussione assume elementi di analisi tipici della cultura mapuche, che antepongono le motivazioni culturali a quelle ecologiste e ambientaliste: salvaguardare la vita del fiume che è sacra e più importante della loro stessa vita individuale. Se il fiume e la terra tutta sono malati e devastati non c'è possibilità di vita nemmeno per gli esseri umani, si ammalano anch'essi. Per chi vive nelle comunità l'assenza o la contaminazione dell'acqua pregiudicano l'esistenza degli esseri umani. 

In un caso analogo, quello della diga sul rio Chubut già in costruzione, l'impianto ha sottratto acqua all'abbeveramento degli animali, ai territori indigeni e alle loro coltivazioni per utilizzarla al servizio di un insediamento minerario.

Altro progetto a grande impatto ambientale, iniziato ma fermato dopo la denuncia della comunità  Cañio, è un progetto turistico che prevede  la costruzione sul territorio della comunità  di 19 piste da sci, attività che darebbe il via alla deforestazione del bosco nativo e aprirebbe la strada alla speculazione edilizia sulle terre circostanti.

Il territorio interessato è posseduto dalla comunità da prima della demanializzazione delle terre, ma non c'è mai stato il riconoscimento del diritto di proprietà da parte delle amministrazioni locali o nazionali.

Viene presentato inoltre il caso di un progetto di miniera d'oro nella mesa, contestato dalla maggior parte della popolazione che si sta organizzando per una decisa contestazione. Spesso chi non si oppone attivamente ali progetti minerari lo fa solamente per bisogno economico, attirato dalla possibilità di un posto di lavoro. Per ovviare a questo è necessario passare a un diverso modello economico e di sviluppo, alternativo e sostenibile, come nel caso di alcuni progetti realizzati in altre situazioni dove è stata incentivata la produzione agricola locale, è nato un mercato di produttori ed è stato aperto un ristorante gestito dalle donne locali.

Un'altra problematica evidenziata, presente nella zona di Santa Fe, è quella della coltura della soia transgenica  che si basa sull'utilizzo massiccio di fertilizzanti e di pesticidi, spesso diffusi con gli elicotteri. Nel caso in esame l'evidenza dell'aumento di malattie e casi di tumore fra la popolazione locale ha innescato una protesta da parte della popolazione, iniziata con una raccolta firme che ha portato a un incontro con le istituzioni della provincia e l'impresa, in cui sembra si sia aperta una possibilità che cessi l'irrorazione di sostanze tossiche dall'alto. Anche in questo caso sono state fatte minacce di morte contro i figli di un'attivista.

Anche in questo caso è il modello economico che è sotto accusa: questo tipo di agricoltura, oltre ad essere tossica, non necessita di manodopera, così la campagna si svuota. È necessario un cambiamento radicale con un ritorno della gente alla campagna a un tipo di agricoltura ecologica compatibile con l'ambiente.

C'è un filo conduttore che collega tutti questi casi diversi: lo sfruttamento capitalistico della terra e delle risorse, messo in atto senza considerazione per la vita umana, come l'utilizzo dell'acqua ad uso produttivo a scapito delle comunità lasciate all'asciutto, uso di metodi repressivi per chi si oppone ai progetti. Da minacce personali, anche di morte, come succede a Moira Millan, ad accuse di aggressioni armate, senza prove attendibili, come nel caso di Javier Cañio, al fine di indebolire anche psicologicamente i soggetti che sono più attivi nel denunciare e lottare

4 - Concetto di plurinazionalitá, democrazia

Nel dibattito si è parlato a lungo di come articolare e definire questo concetto di plurinazionalitá riguardo alla condizione del popolo mapuche e degli altri popoli originari dell'Argentina. 

C'è bisogno di un territorio per concepire questo concetto? Nel caso dei mapuche si può parlare forse piuttosto di sotto-nazionalità perché non vivono solo in comunità separate ma ovunque all'interno di Argenitina e Cile, sia in campagna che in città.

In ogni caso viene sottolineato come i mapuche non aspirino a un'ibridazione, ma vogliano mantenere la loro identità pur mantenendo un unico paese. Essi auspicano inoltre che la gente, soprattutto i giovani, torni a vivere sul territorio. 

In argentina il 90% della popolazione vive in città: c'è un territorio gigantesco vuoto. Chi sono i proprietari di tutto questo territorio? Le imprese multinazionali e le industrie estrattive. Questo è il modello economico dell'America Latina.

Molti argentini sono preoccupati e si sentono minacciati da questa idea di due popoli nello stesso paese. Anche in Bolivia per esempio era cosi. Ma se finisce il conflitto finiscono anche la preoccupazione e il senso di minaccia. Si tratta di un problema molto argentino, non viene dal popolo mapuche. E d'altronde ci sono grandi diversità anche all'interno dei popoli originari: in Messico e in Bolivia per esempio le posizioni sono molto differenti

È comunque una tematica che riguarda tutti i popoli che lottano per la libertà. Il popolo mapuche deve poter decidere per se stesso. Com'è possibile concepire che sia altrimenti? Eppure ci sono almeno 5000 popoli nel mondo oppressi da un pugno di stati

La rivendicazione mapuche di essere una nazione è una rivendicazione politica. Sono o accusati spesso di non credere nella democrazia ma non è così, sono profondamente democratici, solo che la loro non è verticale e rappresentativa bensì orizzontale, partecipativa e diretta, e la loro società è strutturata secondo le loro credenze spirituali 

Se diamo spazio allo stato, lo stato si riproduce. Non possono chiedere uno stato plurinazionale bensì un'altra cosa. Lo stato nazione fa parte del passato, è una struttura che sta tramontando.

Sta nascendo qualcosa di nuovo. Loro chiedono consiglio alla terra su cosa fare, non a un "capo" o a un "guru"

La risposta è il recupero della terra, non lo stato nazione. Il territorio conserva la memoria ed era territorio mapuche da sempre. Il male sono le recinzioni, la proprietà privata, il capitalismo.

La soluzione è la libera determinazione collettiva, un concetto diverso da quello di autodeterminazione, che è invece un processo di liberazione singola e individuale. Non è tanto l'indipendenza che è importante, deve essere un processo collettivo per essere rivoluzionario.

Spesso però da parte dei non mapuche non c'è una reale comprensione del carattere innovativo e radicale del processo rivoluzionario  che i mapuche con le loro pratiche mettono in atto contro il capitalismo estrattivo. Ci sono molte somiglianze con i curdi e gli zapatisti che si sono presi l'autonomia con un processo armato, non grazie a concessioni dall'alto; la libera determinazione e il recupero del territorio non possono essere frutto di un processo di  concessioni da parte dello stato.

Alla fine dei due giorni di trawun, l'assemblea ha deciso di scrivere un comunicato condiviso da tutte le comunità e le associazioni presenti, indirizzato a chi vuole realmente conoscere la realtà mapuche e la sua lotta.