Suruç - Campi profughi tra solidarietà curda e arroganza turca

21 / 12 / 2014

Ancora campi e ancora storie di vita.

Dopo la presa di tre quartieri ad est di Kobane e della zona del monte Sinjar da parte delle forze dello YPG e YPJ la speranza e la voglia di tornare a casa degli 80mila profughi aumenta sempre più.

Oggi 4 famiglie ospitate a Suruç hanno deciso di ritornare a Kobane, nelle proprie case e dai loro padri e mariti che stanno combattendo l’ISIS.

La vita di chi rimane nei campi rimane però difficile e dimenticata da enti, istituzioni ed organizzazioni esterne alle municipalità curde. 

A Suruç si trovano 6 campi profughi di cui 5 in gestione alla municipalità e solamente uno in mano al governo turco. 

Uno dei cinque campi curdi, l’ultimo in ordine di costruzione, è al momento quello con più disagi, mancano infatti gas e elettricità.

Durante la nostra visita al campo chiamato Shied Kadw, in ricordo e onore di un combattente dello Ypg caduto a Kobane, non riusciamo ad incontrare i responsabili della struttura ma camminando attraverso le strade infangate e piene di pozzanghere e corsi d’acqua non ci è difficile incontrare e  parlare con le persone che vivono il campo.

Una donna, il cui marito si trova a Kobane a combattere, ci racconta come si deve vivere senza luce, riscaldamento e gas nell’inverno curdo che in queste notti raggiunge come minima i 3 gradi.

Il cibo è paragonato a ciò di cui si cibano gli animali e viene portato e servito da volontari due volte al giorno ma troppe volte le quantità sono insufficienti per sfamare tutt*. 

La maggior parte dell’acqua non è potabile o difficile da reperire, ci sono dei rubinetti comuni in mezzo al campo dove, nonostante il freddo, bambini e donne si lavano e lavano i propri vestiti.

Le tende, simili a quelle degli altri campi, non hanno allaccio energetico e nessun tipo di riscaldamento. 

Sopra ad ogni telo campeggia il logo del parlamento del Kurdistan Iracheno, un uomo ci spiega che i fondi ed il materiale per la costruzione di questa sistemazione arrivano dai territori curdi che si trovano nello Stato dell’Iraq, infatti grazie a questi aiuti sono state comprate le tende ed installato un’impianto elettrico in grado di garantire elettricità ad ogni postazione.

Se da una parte del confine arrivano aiuti e sostegno pratico, dalla parte turca arrivano solo militari e problemi.

Infatti il governo di Ankara non consente, se non dietro ad un ulteriore pagamento del Kurdistan iracheno, l’allacciamento della linea elettrica del campo alla rete nazionale di distribuzione energetica. 

Finora, a tre mesi dall’inizio del conflitto, la Turchia non ha ancora riconosciuto ai profughi curdi lo status di rifugiati e anche per questo motivo non sta intervenendo nell’emergenza che in queste settimane vede 80mila persone, arrivate dal territorio di Kobane, vivere sul confine turco.

Il Presidente Erdogan ed il Primo ministro si erano espressi così verso la tematica: ‘Volevate un’entità curda? Ora, godetevi lo Stato islamico!’.

Insieme alla Turchia mancano ancora all’appello Ong ed enti umanitari, infatti all’oggi a Suruç si incontrano solo giornalisti internazionali, free lance e volontari. 

Nel campo Shied Kadw ora si trovano 3800 persone fisse e 1600 in attesa della costruzione di un nuovo campo ad est di Suruç.

All’interno si trovano due strutture che fungono da scuola e poco altro, una leggera pioggia rende inagibile le strade e l’assenza di fonti di calore strema gli abitanti, sopratutto i più piccoli, che con secchielli o con le mani vanno a raccogliere sassi e ghiaia nei vicini campi nella speranza di asciugare il terreno. 

I volontari di questo campo, quasi tutt* del partito curdo BDP, ci dicono che qui manca tutto e che c’è bisogno della solidarietà ed il lavoro di tutti, anche e soprattutto dall’estero.

Staffetta Italiana Rojava calling

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