“trasformare trasformandosi” intervista a Gilmar Mauro leader dei Sem Terra

“Cambiate tutto, rovesciate il tavolo, costruite nuove forme, sperimentate. Così è nato il movimento”.

21 / 3 / 2014

Pubblichiamo questa interessante intervista con Gilmar Mauro, uno dei fondatori del Movimento Sem Terra, che riflette sullo stato dell'arte del proprio movimento e su di quelli che hanno animato la scena politica e sociale brasiliana negli ultimi tempi. Periodo di grande trasformazione per il Brasile attravesato dalla shock economy dei grandi eventi, il prossimo venturo i mondiali di calcio.

Nelle metropoli le contraddizioni sono esplose con grandi manifestazioni, con tumulti, con tensioni che hanno messo sotto accusa le scelte economiche e sociali della presidente Dilma.

Nelle campagne il processo di occupazione dei terreni, di auto gestione, di costruzione di nuovi modelli di vita comunitari è continuato, con avanzamenti in alcuni stati ed arretramenti in altri.

Tutto procede ma non basta è ora di fare il punto generale per un salto di qualità dei percorsi di lotta e dei movimenti, questo il senso, gli spunti e le suggestioni che emergono dall'intervista. Buona lettura.

“La nostra maggior vittoria è stata aver costruito un’organizzazione di contadini che ha riscattato la storia della lotta per la terra, è durata tanto tempo, ha mantenuto l’unità interna ed è diventata un punto di riferimento, anche internazionale”, così riflette, a mo’ di bilancio, Gilmar Mauro, dirigente storico di uno dei maggiori movimenti sociali del mondo (Carta Capital, 10 febbraio del 2014).

Tra il 10 e il 14 febbraio il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra  (Mst) ha tenuto il suo sesto congresso a Brasilia, forse il più importante dei suoi trenta anni, perché questa volta il doveva definire nuove rotte. Tra i 12 e i 15mila delegati hanno partecipato all’incontro, che si è distinto, com’è abituale nel movimento, per la solida organizzazione, basata sulla disciplina e il lavoro collettivo, ma anche per il carattere festoso, la mistica che si è manifestata lungo tutto l’evento con canzoni, rappresentazioni e performance che hanno dato quel tocco di emozione che si è convertito in segno di identità dell’organizzazione contadina. Un enorme accampamento autogestito, con tutti i servizi a carico del movimento, ha accolto i delegati.

Prima di concludere il sesto congresso, i delegati hanno marciato fino al Palazzo di Planalto, dove ci sono stati scontri con la polizia. Una nutrita delegazione del Mst è stata ricevuta da Dilma Rousseff giovedì 13 febbraio. Di fronte all’ampia lista di richieste insoddisfatte presentata dai Sem terra, che accusano il governo di aver concesso insediamenti al minor numero di contadini dal tempo della fine della dittatura, la presidente ha risposto con un laconico: “Dateci tutte le informazioni che potete su ciò che si sta facendo male, faremo dei cambiamenti”.

sem2Era la prima volta che la presidente riceveva i Sem terra, che avevano lamentato di essere stati ricevuti varie volte da Lula e perfino dal conservatore Fernando Henrique Cardoso. Tre giorni dopo, nel suo programma settimanale alla radio, “Un caffè con la presidente”, Rousseff si è detta felice che quest’anno il Brasile diventerà il maggior produttore mondiale di soia con un raccolto record stimato di 90 milioni di tonnellate, un risultato che toglierebbe il primato agli Stati Uniti.

Poi la presidente ha aggiunto: “Il raccolto record 2013-2014 è il risultato dello sforzo congiunto dei nostri produttori, dello sviluppo di nuove tecnologie per le campagne e anche dell’aiuto dato dai programmi del governo agli agricoltori del paese” (Xinghua, 17 febbraio 2014). Dilma ha fatto notare che, per poter conservare tutto il raccolto, il suo governo ha messo a disposizione per i prossimi cinque anni una linea di crediti per circa 10 miliardi e 400 milioni di dollari destinati alla costruzione di silos. Proprio il contrario di ciò che chiedono i Sem terra, per i quali l’agro-business è il principale problema.

Una svolta storica

Per oltre un anno i Sem terra hanno discusso il bilancio della loro situazione a trenta anni dalla creazione del movimento. Hanno individuato i principali problemi che il movimento deve affrontare e hanno tracciato le linee di azione per superarli. Edgar Jorge Kolling, pedagogo e membro del settore dell’educazione del movimento, in un documento di preparazione al congresso intitolato “Reinventare il Mst perché continui ad essere il Mst”, ha messo in evidenza che “il nostro movimento sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia: la riforma agraria è bloccata” (MST, 21 ottobre 2013).

Kolling fa una lettura molto sottile della realtà politica brasiliana e del ruolo che gioca il Mst. Assicura che la riforma agraria è uscita dall’agenda politica e che, con gli aiuti milionari del governo, l’agro-business avanza a passi da gigante. Nel frattempo, l’opinione pubblica, influenzata dai grandi media, è soddisfatta o concorda con questo modello e non comprende che sono in discussione due progetti per le campagne: l’agro-business e l’agricoltura contadina.

L’analisi della situazione del movimento è straordinariamente incisiva e non fa sconti: “Le famiglie senza terra disposte a lottare per la terra sono ormai poche, specialmente nel centro-sud del Brasile. Nelle regioni del nordest e del nord, dove si concentra la maggioranza di quelle famiglie, la lotta per la terra ha ancora un certo respiro, malgrado negli ultimi anni ci sia stata anche lì una diminuzione”.

L’analisi è molto significativa perché è proprio nelle regioni dove è nato il movimento che ora il Mst presenta le maggiori debolezze. Al momento di guardare verso l’interno, Kolling ha segnalato che “percepiamo una grande distanza tra la definizione politica della Riforma Agraria Popolare e il suo sviluppo da parte delle famiglie insediate. Non sono pochi gli insediati che privilegiano le monocolture, piantano semi transgenici, usano pesticidi e infine riproducono il pacchetto di programmi perverso dell’agro-business che il Mst combatte”.

Al contrario, le famiglie insediate che producono in modo agro-ecologico sono una minoranza, visto che, secondo il dirigente, il movimento non si impegna quanto necessario a promuovere negli insediamenti un modello tecnologico differente. Per questo ha proposto di “collocare gli insediamenti al centro dell’azione del Mst e di costituirli come un esempio di organizzazione della produzione e del lavoro e un esempio di coerenza nella scelta del modello produttivo e tecnologico”.

Gli insediamenti, circa 1.500 in tutto il paese, dovrebbero essere luoghi dove si vive bene, in equilibrio con la natura e la comunità. “Che nei più di mille municipi in cui siamo presenti servano di esempio nella disputa per l’egemonia”, annota Kolling.

Si tratta di una svolta rispetto a quel che è stato il movimento nei primi tre decenni. Una lettura realista e valida, anche se scomoda. Che rivela come il movimento sia vivo, vale a dire, abbia la volontà di superarsi e non accomodarsi alla situazione. Soprattutto perché anche tra gli insediati predomina una visione positiva dell’agro-business, che sta vincendo la battaglia per la terra. Nel 2011, il primo del governo di Dilma, sono state insediate appena 22 mila famiglie, il numero più basso degli ultimi 20 anni.

Per cambiare questo rapporto di forze, il Mst propone di “bere dal proprio pozzo”, come dice una massima di quella teologia della liberazione che ebbe un ruolo fondamentale nella nascita del movimento. Per questo, verso la fine del 2011, i Sem terra hanno scatenato un processo collettivo di dibattiti che è stato canalizzato verso il congresso, attraverso incontri, seminari, corsi, riunioni di lavoro. Migliaia di contadini sono stati coinvolti.

I risultati possono essere di arricchimento e proiettare il movimento in avanti per altri 30 anni: “Prendere misure per fare dei cambiamenti nella struttura organizzativa, nelle forme di lotta, nei metodi di direzione, identificare i nostri limiti, gli avanzamenti e le sfide”, annota il pedagogo dei Sem terra.

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Una nuova riforma agraria

La svolta è maiuscola. Il movimento è nato occupando terre incolte dei possidenti, resistendo su quelle terre e sudando per trasformarle in spazi per vivere. Da lì la parola d’ordine “Occupare, resistere, produrre” che, fin dai primi incontri, il Mst ha adottato. In questo lungo periodo, uno dei segni di identità, come ricordano le foto di Sebastián Salgado, era il momento dell’occupazione, quando, con falce in mano e i volti concentrati, i contadini abbattevano i recinti ed entravano nelle tenute.

Gli accampamenti con i teli di plastica neri sui bordi delle strade, dove per anni vivevano per mobilitarsi e ottenere l’espropriazione dei latifondi, annunciavano ai viaggiatori che lì si lottava per la terra.“Non si riesce più a espropriare il latifondo improduttivo e a ripartire la terra tra le famiglie”, ragiona Cedenir de Oliveira, del Coordinamento Nazionale del Mst. Quella riforma agraria è stata superata dalla nuova realtà.

Ora serve che il movimento “sia portatore di un modello di agricoltura centrato sulla produzione agro-ecologica di alimenti, su un sistema di cooperazione agricola e associato a piccole agro-industrie, un sistema che rispetti l’ambiente e garantisca la salute dei produttori e dei consumatori di prodotti agricoli ma che, a sua volta, contribuisca alla conquista della sovranità alimentare del paese”.

Per fare questo passo, il movimento deve “dialogare con la società”, associarsi con la popolazione dei piccoli municipi rurali, la più colpita dalle fumigazioni e dalla mancanza di lavoro provocata dall’automazione che continua a espellerli verso le periferie urbane.

Di questo tratta, fondamentalmente, il nuovo programma del Mst che i Sem terra chiamano Riforma Agraria Popolare. È la medesima logica di sempre, però adattata all’inarrestabile espansione dell’agro-business: giganteschi investimenti di banche e multinazionali che hanno provocato l’aumento geometrico del prezzo della terra, il che rende impossibili le espropriazioni da parte dello Stato. Quegli investimenti si sono diretti verso le monocolture come quelle della soia, della canna da zucchero e degli eucalipti, a danno delle coltivazioni alimentari, per produrre mangimi, combustibili e carta.

“Con il suo potere economico, l’agro-business impone a tutta la società quella produzione di monocoltura, facendo pressione affinché le banche concedano più crediti a queste coltivazioni che ai prodotti che non sono scambiati nelle borse valori internazionali”, ragiona Miguel Stédile, membro della Direzione Nazionale. Quella è la ragione per cui l’area agricola destinata agli alimenti diminuisce tutti gli anni. Buona parte del riso e dei fagioli che costituiscono il piatto tradizionale dei brasiliani ora viene importata dal Messico e dalla Cina perché gli appezzamenti di terreno che li producevano sono stati sostituiti dall’agro-business.

Per questo il movimento è impegnato a realizzare il dialogo e l’alleanza con la società intorno alla sovranità alimentare. Produzione diversificata e agro-ecologia, sommate alle infrastrutture sociali nel campo (scuole, strade, ambulatori, spazi per il riposo e l’intrattenimento), sono la parte essenziale del nuovo programma con il quale il Mst spera di conquistare alleati, specialmente nelle città.

Questa svolta è imposta, oltre alle ragioni di fondo dibattute nel congresso, da cambiamenti più sottili ma non meno problematici per il futuro del movimento. Alla fine dell’anno passato, il governo federale ha emanato la Misura Provvisoria 636, che comprende una disposizione che può mettere fine alle conquiste di trenta anni di lotta per la terra.

Secondo questa disposizione, le terre degli insediati dalla riforma agraria, che fino ad ora sono pubbliche con diritto all’usufrutto da parte delle famiglie, saranno titolate come proprietà privata, per cui gli insediati saranno in condizioni di vendere il proprio appezzamento. È un progetto che è stato promosso già due decenni fa dal governo di Fernando Henrique Cardoso e che le due gestioni di Lula non avevano potuto realizzare.

“L’argomentazione è che, concedendo il titolo di proprietà, l’agricoltore cesserebbe di essere un dipendente del governo e delle politiche pubbliche”, spiega Débora Nunes del Coordinamento Nazionale (Mst, 18 febbraio 2014). Molte famiglie desiderano avere un titolo di proprietà ma in realtà il problema si potrebbe risolvere con un titolo di concessione dell’uso della terra che includa anche il diritto all’eredità ma non alla vendita. “La vendita delle terre della riforma agraria permette un aumento della concentrazione della terra”, dice Nunes.

Percorsi da costruire

In trenta anni di esistenza, questa è stata la prima occasione nella quale il congresso del Mst ha promosso un tavolo di confronto sulla partecipazione delle donne. Secondo Nivia Regina, del Coordinamento Nazionale, il Mst sta comprendendo che “la lotta delle donne è una condizione essenziale per la trasformazione della società”. Il primo passo, secondo lei, è superare l’idea, consolidata nella storia delle lotte contadine, secondo la quale il posto delle donne è quello di essere semplicemente le amanti dei protagonisti delle lotte.

Secondo Conceição Dantas, della Marcia Mondiale delle Donne, la mancanza di riconoscimento si deve allo stretto nesso tra il capitalismo e il patriarcato, perché il capitale trae benefici dalla divisione sessuale del lavoro che colloca le donne negli incarichi meno valorizzati. “Un buon esempio è il lavoro di selezione della frutta, nel quale le donne sono obbligate a usare pannoloni perché non possono assentarsi nemmeno per andare al bagno”, ha detto Adriana Mezadri, del Movimento delle Donne Contadine (Mst, 13 febbraio 2014).

È solo uno dei dibattiti che attraversano il Mst. Anche prima del congresso il movimento è entrato in pieno nel dibattito politico di un anno elettorale dove ci saranno manifestazioni durante il Mondiale, giacché il 75 per cento dei Brasiliani sono contro gli investimenti fatti per le mega-opere (Exame, 18 febbraio 2014).

Joao Pedro Stédile, coordinatore e principale figura pubblica del movimento, riconosce che non c’è alcuna riforma agraria né ci sono nuovi insediamenti. Sostiene che quel che manca sono “cambiamenti nel regime politico che non rappresenta nessuno”, oltre ai cambiamenti economici (Brasil de Fato, 4 febbraio 2014). Stédile si è mostrato favorevolmente sorpreso dall’emergere nelle manifestazioni di giugno 2013 di un nuovo movimento giovanile, perché quelle proteste “hanno riportato la politica nelle strade”. Tutto il movimento tiene viva la mobilitazione sociale e partecipa a un fronte sociale con la Centrale Unica dei Lavoratori.

Stédile però non auspica che ci siano proteste durante il Mondiale di calcio. “Preferisco che le mobilitazioni comincino dopo, perché durante il Mondiale possono confondere la gente, che il Mondiale lo vuole, e possono ridurre le manifestazioni a proteste solamente contro quanto è stato speso per le opere”. Su questo punto, coincide con il governo del PT, partito al quale in fondo Stédile appartiene. Anche così, tuttavia, è convinto che “i veri cambiamenti non dipendono più dal calendario elettorale, ma dalla capacità dei lavoratori di costruire un programma unitario”.

Come in ogni grande organizzazione, anche nel Mst ci sono sensibilità diverse, sebbene non esistano correnti organizzate. In molti sensi, il movimento è un esempio di disciplina e, in modo molto particolare, di capacità di formazione e studio per i suoi militanti. “Non è che la richiesta di riforma agraria sia diminuita ma ora gran parte dei lavoratori ha la possibilità di trovare lavoro, non rimane più in un accampamento come avveniva negli anni Novanta”, riflette Gilmar Mauro.

Mauro prende i problemi di petto. “Mi piacerebbe che avessimo la forza per fare una riforma agraria da soli ma questo non è realistico. Allora il Mst deve lottare e negoziare”, riflette. È convinto che tanto il Mst come le altre associazioni di lavoratori devono cercare altri modi di organizzarsi perché non riescono a raggiungere l’insieme dei lavoratori.

“La sfida è quella di costruire organizzazioni di un altro tipo. Questo modello organizzativo del Mst è una specie di camicia stretta per un bambino che è abbastanza cresciuto, la camicia adesso gli crea difficoltà nel muoversi. Abbiamo bisogno di rifare la camicia”. Mauro crede che “la sfida sia costruire delle organizzazioni più orizzontali, più partecipative”. Ai giovani, dice: “Cambiate tutto, rovesciate il tavolo, costruite nuove forme, sperimentate”. Così è nato il movimento.

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