Tunisi - Differenza Euromediterranea

30 / 3 / 2013

In questi giorni la partecipazione al Forum ci ha dato la possibilità di scorgere e di intravedere una nuova prospettiva tramite la quale indagare nuove modalità, per meglio intercettare le differenze e le diversità proprie del contesto, complesso ed eterogeneo, dello spazio Euromediterraneo, che in questi giorni stiamo attraversando.

Gli incontri e le assemblee alle quali abbiamo partecipato, ci hanno consegnato un quadro contraddistinto dalla reale possibilità di intraprendere un percorso comune costituente.

Elemento sul quale riteniamo interessante soffermarci è la strumentalizzazione del principio di laicità,quale mezzo di controllo nella ridefinizione delle libertà personali. L'avvento della rivoluzione tunisina, ha determinato un vuoto di potere politico e sociale che, assieme alla riduzione di servizi pubblici, ha permesso a molti enti religiosi di appropriarsi della gestione di questi spazi. In tal modo la religione islamica, già radicata culturalmente in questi territori, è stata favorita nella sua possibilità di influenzare la regolamentazione di ogni momento della vita di ciascuno. Risulta pertanto evidente l'uso della religione quale strumento utilizzato dalla governance per tracciare nuovi perimetri che circoscrivono le possibilità di scelta e di azione. La religione risulta essere dunque, all'interno di questo processo di transizione, quell'elemento che inquadra e stigmatizza una serie di discriminazioni reduci di un retaggio culturale prevalentemente patriarcale.

É interessante vedere come tale pratica, seppur declinata in modo differente, tracci delle similitudini e delle analogie nella dimensione geopolitica dell'Euromediterraneo.

Dalla politica di “tacito” consenso della Lg. 194, che ha visto un abuso della figura dell'obiettore di coscienza limitando (e in alcuni casi impedendo) l'aborto tramite una complicità tra Vaticano e Stato Italiano, al caso greco che, succube di una politica di austerity imposta dalla Troika, ha sgretolato i servizi di welfare imponendo alle donne di pagare per il parto assistito. Al contempo lo stesso agire sul corpo e sulla vita della donna lo riconosciamo in Egitto dove, dopo la rivoluzione, vige la legge islamica della charia e nei racconti di tante donne tunisine che a causa della crisi sono costrette a lunghi spostamenti per lavorare e, per la propria sicurezza devono rinunciare alla libertà di scelta, per esempio indossando il velo.

Ci troviamo a confronto e dentro un' irriducibile complessità che continuamente ci stimola a cogliere le sue infinite sfumature; ci conduce a sospendere quel grado di impulsività che tende a colmare frettolosamente, per disporre di categorie ordinate e “sicure”, il lasso in cui naufragano interrogativi, con risposte già date, poco pensate, semplicistiche e unicausali. Ci obbliga a decostruire per creare spazio vergine per le idee, le impressioni, le sensazioni appena nate: siamo immersi in un grande spaccato di realtà che incanta per la sua molteplicità di sensi e che invita a sgranare gli occhi, ad aprire bene le orecchie e mettersi in relazione con il mondo, con all'opera tutta la nostra fame di conoscenza.

Di certo, un processo dinamico e flessibile non implica come conseguenza un'intrinseca debolezza, ma anzi una soggettività determinata, capace di creare un dialogo politicamente pregno di qualità.

Entrando in contatto con le narrazioni delle diverse e dense esperienze vissute in altri luoghi, abbiamo cercato di condividere le nostre e di farci contaminare dai profondi vissuti e dalle accese motivazioni che in altri paesi hanno fatto fiorire percorsi di contestazione e di cambiamento.

C'è un filo conduttore che nel World Social Forum è espresso sinteticamente nella parola “Dignità” in tutte le lingue. Le lotte per la trasformazione della società sono accomunate dalla necessità di conquistare parità di dignità, di diritti e di libertà per tutti/e. È qui che possiamo chiederci che forme prende e a cosa mira la regolazione e il controllo che il potere è riuscito ad esercitare, in particolare sancendo differenze e disuguaglianze e facendo sì che fossero interiorizzate.

Una donna, tanto quanto un uomo, in egual misura, è/dovrebbe essere un soggetto libero: di muoversi, di partecipare, di relazionarsi, di prendere parola nelle decisioni collettive e individuali... In questo contesto risalta la singolare contraddizione che caratterizza donne, che seppur coperte da veli a volte anche integrali, rimangono determinate nella difesa dei loro diritti e nella conquista della libertà.

Si apre una difficile analisi che pone al centro la dicotomia tra la “libera scelta” dei soggetti e il “controllo sui corpi” attuati dai meccanismi istituzionali/religiosi. Ovunque il potere incide sull'ampiezza del range di libertà che viene più o meno concesso, ed è un processo così infido, che se scarsamente controbilanciato dalla consapevolezza della comunità, si instaura in maniera inesorabile come codice morale condiviso e personale: una volta interiorizzato tale codice, la libera scelta sarà davvero libera? Sovviene un vago ricordo del familiare concetto di “libero arbitrio”, ma non basta.

Queste norme culturali non ledono la libertà di tutti allo stesso modo. È questo il punto per noi importante. Porsi delle domande sul velo, significa prendere in mano il problema incandescente della disparità. Sono solo le donne, in quanto donne, a dover fare o non fare determinate cose: noi siamo qui, siamo donne, e sappiamo di non poter fare le stesse cose che fanno gli uomini. Il velo, come trasmissione di un valore culturale e religioso, non è oggetto di critica in sé, ma il nodo essenziale è che questo costituisca uno dei fattori che sanciscono la differenza in base al genere, dato che le donne devono seguire un maggior numero di norme e imperativi.

È con questo discorso (il quale riconduce alla domanda ancora più antica del “perchè la donna?”), che ci siamo rese conto dell'impossibilità di una spiegazione forzatamente univoca, e che al momento possiamo appassionarci e interessarci più alla comprensione che a prendere strade troppo nette: esclusa quella in cui abbiamo da sempre creduto e per la quale lottiamo, e cioè l'imprescindibilità dell'uguaglianza dei diritti, che naturalmente non riduce nemmeno di un frammento la ricchezza della complementarietà.

Indubbiamente aver attraversato queste giornate ci permette di tornare alle nostre realtà con l'intensificazione della consapevolezza che le donne, nonostante vengano dipinte stereotipicamente come vittime, in realtà in molte situazioni dimostrano la capacità di autodeterminarsi, organizzarsi in rete creando ed agendo il conflitto per sottrarsi ai dispositivi di controllo e coercizione e affermandosi nelle loro conquiste.

Resta aperta l'enorme suggestione della trasversalità degli ambiti di lotta in cui le donne devono e vogliono agire: pensare ai diritti delle donne vuol dire battersi per la difesa dei territori, per la salvaguardia dell'ambiente, contro la guerra, per i diritti di welfare, per i beni comuni e per la libertà di movimento.

A seguire le prime interviste realizzate nel corso del FSM,

Si è tenuta questa mattina una manifestazione davanti al ministero "Des affaire de la femme" per protestare contro l'abuso sessuale perpetrato nei confronti di una bimba, in un asilo pubblico situato nei pressi del ministero.

Tale grave fatto denunciato dalla madre al Ministero stesso è stato a lungo ignorato. Questa è l'ennesima riprova di una politica che disattende le reali esigenze proprie delle donne tunisine.    

 Tra le Associazioni promotrici del dibattito anche "Women on Waves". L'associazione nasce nel 1999 in Olanda ed ha come obbiettivi la prevenzione delle gravidanze indesiderate e la lotta per la legalizzazione del diritto all'aborto nel mondo.

Women of Waves affianca alla promozione dell'educazione sessuale una clinica mobile all'interno di una barca che salpa dai paesi dove l'aborto è illegale, permettendo alle donne di interrompere la gravidanza praticando l'operazione in acque internazionali dove non sono in vigore leggi anti-abortiste. Questo grazie all'aiuto di medici specializzati. L'azione dell'associazione poggia anche su una campagna informativa ed un numero verde che aiuta le donne ad interrompere la gravidanza da sole in modo sicuro atttraverso un medicinale generico acquistabile in tutti i paese del mondo.

Abbiamo sentito una delle attiviste di Women on Waves che era presente al FSM.


Nel terzo video incontriamo Asmaa Aly, blogger e femminista egiziana, che descrive la situazione in Egitto dopo la rivoluzione araba e l'entrata in vigore della Charia.

Qui vi proponiamo l'intervento di Aminata Traoré attivista del Mali nel suo intervento all'dibattito "Donne che percorrono l'inimmaginabile: il caso del Mali e il ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto".