Tunisi - Si chiudono i lavori sul climate change e contro le grandi opere

I comitati territoriali scrivono la carta di Tunisi. Un elefante si aggira per l’euro-mediterraneo.

30 / 3 / 2013

Al Forum Sociale di Tunisi si sono conclusi con due assemblee “di convergenza” i tavoli di lavoro sul cambiamento climatico e sulle grandi opere inutili e imposte.

Già nei giorni scorsi si sono intersecate le esperienze dei comitati contro le grandi opere: dalla lotta all’alta velocità in Marocco, nei Paesi Baschi e in Italia, dalle grandi navi a Venezia alle basi militari di Vicenza e Niscemi, dagli abitanti di Notre dames des Landes che si difendono dalla nascita del più grande aeroporto di Francia, a quelli di Stoccarda che stanno fermando la superstrada 212. Non solo esperienze e prospettive, quindi, ma anche pratiche di lotta hanno costituito oggi un dibattito vivo che guarda ad un percorso comune nello spazio euro-mediterraneo. Se cambiano i luoghi e le lingue, le storie tuttavia si assomigliano tutte: processi decisionali di partecipazione disattesi, speculazione politico-economica e militare, repressione ed uso della polizia per imporre processi devastanti per l’ambiente, i territori ed i loro abitanti.

Le storie di resistenza si sono unite oggi in un simbolo e in una “carta”, la Carta di Tunisi. Il primo è un elefante che incede lento, ma inesorabile, nella costruzione di una società altra che porta in groppa i loghi delle lotte territoriali, un simbolo che accompagnerà il percorso sino a Stoccarda 2013 quando, in luglio, i comitati contro le grandi opere si ritroveranno dopo le giornate veneziane dell’8 e 9 giugno, per continuare il percorso di allargamento e discussione. La carta di Tunisi non vuole rappresentare la formalizzazione di un percorso predefinito, una struttura ingessata, quanto piuttosto un manifesto di intenti in cui chi lotta contro le grandi opere inutili si possa riconoscere. Una forma di rete leggera che leghi tra loro i territori, salvaguardando contemporaneamente l’autonomia di decisione dei singoli comitati.

Contemporaneamente al tavolo sulle grandi opere si chiudeva oggi anche quello che in questi giorni ha discusso di cambiamenti climatici, presenti delegazioni da ogni angolo del mondo. Nel rivendicare democrazia e diritto di scelta sui propri territori e sulla propria vita, si è parlato di politica energetica, della necessità ormai improrogabile di abbandonare una volta per tutte l’uso di combustibili fossili, una delle cause principali del surriscaldamento globale. “oil must stay in the soil”, il petrolio deve restare nella terra, è stato lo slogan delle ONG sudamericane.

Si è parlato di cibo e di sovranità alimentare, in particolare grazie al contributo di Via Campesina, e della necessità di ridurre la filiera, di ricostruire la relazione tra produttori e consumatori, preservando la terra e l’acqua dalle speculazioni e dalle contaminazioni delle grandi corporation dell’agro-business, ricordando come l’aumento di un commercio schizofrenico porti solo a maggiore ingiustizia, sia ambientale che sociale.

Molti, inoltre, sia dal nord che dal sud del mondo, si sono battuti contro tutte le “false soluzioni” al cambiamento climatico (che oggi nemmeno i più arretrati ideologi neoliberisti riescono più a negare). Green economy, biofuel e proposte di geo-ingegneria come quelle di realizzare nubi artificiali per filtrare i raggi UV sull’artico, sono state indicate come pericolose, scuse utili solo a non cambiare una virgola del modello di sviluppo ed aprire nuovi profitti e nuovi mercati sulla natura e sulla vita. Esattamente come le modificazioni genetiche su piante indispensabili alla vita di milioni di contadini come il mais o la soia, oggi di proprietà di corporations multinazionali.

Le assemblee sono poi confluite in quella dei movimenti sociali, tra slogan e canti, con la consapevolezza che la giustizia climatica dipende solo da un rovesciamento del sistema e che questo dipende solo dai conflitti e dalle alternative concrete che ognuno sarà in grado di costruire sui propri territori.

Intervista con Tom attivista spagnolo di Ecologistas en acion che commenta l'assemblea finale sottolineando il nesso tra giustizia sociale giustizia ambientale,

Francesco Pavin lancia l'appuntamento di mobilitazione del 4 maggio 2013 in oaccsione dell'apertura al pubblico della base No dal Molin a Vicenza un esempio di grande opera che devasta il territorio in nome della presenza militare.

Tommaso Cacciari si collega al tema delle garndi navi, grandi opere galleggianti a tutti gli effetti e lancia la mobilitazione del 8 e 9 giugno a Venezia per dire che la laguna è un bene comune. Le grandi opere sono il prodotto di un modello di sviluppo, causa del cambiamento climatico e delle sue violente conseguenze su milioni di persone.

Le lotte contro una mobilità insostenibile fatta di grandi infrastrutture come i treni ad alta velocità e le superstrade accomuna la resistenza di molte comunità: ne abbiamo con parlato con gli attivisti No Tav baschi, con i marocchini che si oppongono alla linea TGV in costruzione nel paese, con i tedeschi che stanno bloccando la costruzione di Stuttgard21.

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Il grande tema della compravendita dei "crediti" sul carbonio dimostra quanto la finanziarizzazione si estenda allo sfruttamento ambientale, come ci racconta Tom Gold Tooth, nativo americano dell'Indigenous Environmental Network.

La centralità della difesa dell'acqua si deve collegare alla complessiva lotta per la difesa dei beni comuni, ci dice il Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua,