Turchia, due giorni di protesta due paesi

21 / 1 / 2014

Piazze piene contro la nuova legge liberticida del governo Erdogan che mette nel mirino internet e per chiedere verità e giustizia per l'omicidio del giornalista Hrant Dink, a sette anni dall'assassinio.

Sabato sera le vie del centro di Istanbul sono tornate campo di battaglia: a scatenare la guerra questa volta una nuova legge su internet in discussione al parlamento. Il progetto di legge stabilisce un controllo più severo dei contenuti del web, limitando l’accesso ai siti di condivisione di filmati e dando al governo il potere di ottenere le attività di ogni utente conservate per due anni. In base a queste nuove disposizioni, giustificate dalla necessità di tutelare i minori e oscurare le pagine che incitano all’odio razziale, etnico o religioso, il governo potrà ordinare la chiusura di una pagina web senza l’ok previo della magistratura e il server che la ospita dovrà oscurarla entro quattro ore. Le aziende che ospitano i siti web dovranno poi aderire a un nuovo organismo, “l’Unione dei provider”, sottoposto al controllo del ministero delle Telecomunicazioni e quello dei Trasporti che terrà una banca dati delle pagine visitate da tutti gli utenti turchi negli ultimi due anni.

Provvedimenti che rappresentano un’ulteriore restrizione alle libertà individuali, una tomba per attivisti e la censura della libera informazione. Insorgono i partiti d’opposizione, che leggono un’iniziativa del genere alla luce della necessità di limitare la diffusione delle notizie sullo scandalo che ha travolto il governo a pochi mesi dalle elezioni, insorge anche la Confindustria turca, che parla apertamente di rischio censura, e insorgono naturalmente i cittadini turchi, che a migliaia sabato si sono radunati in diverse città del paese. A Istanbul le circa duemila persone che in forma spontanea hanno confluito a piazza Taksim, appena aperti gli striscioni e subito dopo i primi slogan vengono accerchiate e respinte con scudi e “toma”, gli ormai famosi blindati dotati di cannoni ad acqua. Ma la gente non ci sta, da punti diversi dell’enorme piazza e da Corso Istiklal partono altri slogan, cortei, fischi, si cerca di aggregarsi, di far sentire il proprio dissenso. E’ sabato sera, in pieno centro, nell’ora di punta , migliaia di persone passeggiano o sono sedute ai tavoli esterni in quest’ inverno tiepido che assomiglia di più alla primavera, e in pochi minuti le strade si trasformano in campo di battaglia: rimbombano gli scoppi dei gas lacrimogeni, ruggiscono i motori dei blindati lanciati a tutta velocità, si alzano le fiamme dalle barricate, scroscia l’acqua dagli idranti, forze di polizia si spostano a frotte da un punto all’altro, scoppiettano le pallottole di gomma, si vedono trascinare via i primi arrestati, la gente si piega sotto i gas, arrivano le prime ambulanze. La resistenza dura alcune ore, si sposta in diversi punti di Istiklal, che per l’ennesima volta vedo ricoperta di acqua e di bossoli di lacrimogeni, con la pavimentazione divelta e i resti delle barricate in fumo. Mi chiedo: e domani?

Domani sembra un altro paese, la Turchia in cui manifestare è possibile, un paese che fa i conti con i propri scheletri nell’armadio. Sono passati 7 anni da quando Hrant Dink, giornalista e scrittore turco di origine armena, viene assassinato con tre colpi di pistola alla gola a Istanbul, davanti alla sede del suo giornale Agos. La mano che premette il grilletto fu quella di un ultra-nazionalista turco ai tempi ancora minorenne, ultimo anello di una catena molto ramificata sulla quale non è mai stata fatta luce. Per il paese fu uno shock, in centomila accorsero ai suoi funerali e a tutt’oggi la sua commemorazione è uno degli appuntamenti più sentiti dal popolo turco. La richiesta di giustizia per questo delitto incarna il desiderio di un paese di proseguire sul cammino della democrazia e della libertà, superando le divisioni e mettendo fine alle violenze. In migliaia anche domenica 19 gennaio quindi, hanno sfilato in corteo da Piazza Taksim al luogo del delitto, composti e commossi, chi portando fiori, chi cantando, chi piangendo, chi urlando, chi ascoltando con attenzione gli interventi dalla testa del corteo. Imponente lo spiegamento di forze di polizia, disposti ovunque in tenuta antisommossa, decine e decine di blindati collocati sin dalla mattina a presidiare l’intero percorso del corteo, ma questa volta non avvengono scontri, le persone incredibilmente possono radunarsi e sfilare, unirsi nei cori, agitare bandiere e striscioni dall’inizio alla fine. Questo accade nonostante inevitabilmente sulla commemorazione convergano anche le ragioni delle proteste che hanno attraversato la Turchia da quest’estate, che serpeggiano tra gli slogans e sui cartelli, mentre assieme alle tante foto di Hrant spiccano anche quelle di Ethem, Abdullah, Ali Ismail, Ahmet, Mehmet, le giovani vittime della violenza utilizzata dal Governo durante le proteste di Gezi Park.

“Domani” sembra davvero un altro paese.

Istanbul, 19.01.2014

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