Una donna di sangue e lingua indigena si candiderà, indipendente, alle elezioni presidenziali 2018

2 / 1 / 2017

E' ufficiale. Il Congresso Nazionale Indigeno ha detto si “all’assurda proposta” della candidatura indipendente di una donna indigena alle elezioni presidenziali messicane del 2018.

Dopo due giorni di riunioni serrate al Cideci, oggi, 1 gennaio 2017, la conclusione della seconda tappa del quinto congresso ha dato il risultato. I delegati dei 43 popoli indigeni (sui 65 riconosciuti nel paese) hanno festeggiato il 1 dell’anno sui pullman che accompagnava loro nei punti di ospitalità, perchè la riunione conclusiva del 31 dicembre ha avuto tempi lunghi ed è finita molto tardi. Qualcosa di più importante di una festa era in discussione. 

23 anni dopo la sollevazione zapatista una proposta audace e spiazzante è nata dalla fulgide menti delle donne e uomini con il passamontagna. Senza sparare un colpo, stavolta, giocano la contraddizione più grossa sul piatto ovvero partecipare alle elezioni. Certo non come Zapatisti ed EZLN ma come Congresso Nazionale Indigeno, decidendo di investire su un soggetto politico che ha avuto bisogno di 20 anni per uscire dall’anonimato della resistenza silenziosa, poichè non considerata dai media, è passare all’attacco della rivendicazione più grossa possibile: entrare nella tornata elettorale rompendo certezze e minando gli equilibri del rimbalzo del potere tra i vari partiti, che come ricordato dal SupGaleano in questi giorni, cambiano nomi e colore ma restano la stessa cosa. Una proposta che nasce nel solco del (neo)zapatismo e nel protagonismo sempre maggiore delle comunità in resistenza più che dell’EZLN, per quanto la stampa e l’isteria politica possano far dire.

Un modo diverso di fare è alla base della candidatura: la delegata del CNI che riassume gli accordi presi ricorda come il 75% delle comunità ha accettato la proposta (su 525 che si sono consultate 430 han detto si e 80 stanno finendo la discussione), che l’idea nasce per rompere i tentativi di divisione e frazionamento delle popolazioni indigene che i partiti e il capitalismo operano in maniera sistematica, e che la donna che sarà candidata non godrà di una delega in bianco, ma potrà essere sostituita se le condizioni lo chiederanno, e che non si partecipa alla elezioni per il potere ma per difendere i cieli e la terra del Messico.

Come si è arrivati alla proposta e all’accettazione già l’ho scritto qualche tempo fa, e meglio di me ha fatto Luis Hernandez Navarro sulle pagine della Jornada. 

Facendo un paragone, forse un pò forzato, è come se in Italia, alle prossime elezioni, si candidasse una donna migrante senza permesso di soggiorno come primo ministro. Solo in quella dimensione si può capire perchè il SupGaleano ad ottobre definì la proposta “assurda”.

Da oggi la sfida è aperta, stare indipendenti dentro le elezioni rifiutando il potere politico e le istituzioni. La partita si gioca in uno spazio chiamato autonomia, che nato dentro la rivolta zapatista è diventata opzione d’interesse per molte e molti nel Messico. E’ anche chiaro che il maggior investimento dell’EZLN nei confronti del CNI è legato alla poca sostanza politica creatasi nel rapporto con la società civile e i tradizionali gruppi politici messicani. Investire sul CNI è stato un passo iniziato nel 1996, ma ha avuto certamente un accelerazione negli ultimi anni. Il tempo della resistenza batte forte nelle comunità originarie, e pian piano anche il lessico e le posizione politiche si sono avvicinate alle proposte zapatiste. Proporre e non imporre, convincere e non sconfiggere sono il 5° e 6° principio del “camminare domandando” dell’EZLN, ed è quello che è successo nei 20 anni di CNI.

Il SupMoi dice che le condizioni nel paese oggi sono peggiori di quelle di 23 anni fa, e che “i nostri fratelli del CNI hanno deciso di gridare il loro YA BASTA! e che non lasceranno che il paese venga distrutto”. Aggiungendo che “noi per la nostra insurrezione ci siamo preparati per 10 anni, il CNI ci ha messo 20 anni per mostrarci oggi il buon cammino”, “siamo pronti a seguirli?”.

La risposta dell’EZLN è si, siamo pronti. Saremo la loro spalla. Ma come già annunciato le donne e gli uomini zapatisti, tenendo fede al percorso di autonomia, non voteranno. Daranno tutto il supporto necessario.

A fine maggio 2017, un nuovo Congresso Nazionale Indigeno è chiamato ha costruire dal basso, e a sinistra, il percorso elettorale, il consiglio di governo indigeno e individuare la donna di sangue e lingua indigena, non zapatista, che si candiderà.  Uno, tra i tanti, scogli che EZLN e CNI dovranno superare è quello di raccogliere le 850mila firme, distribuite tra diversi stati messicani, per portare la candidatura alla realtà.

Cosa accadrà adesso? La retorica delle sinistre istituzionali incolperà la candidata per la loro sconfitta elettorale, le destre grideranno. Un attore non considerato e con il quale non si può trattare cambia lo scenario del tragicomico mondo della politica istituzionale messicano.

Ad Oventik oggi c’erano davvero migliaia di persone. Una diarrea mi confina per ore nella notte nel purgatorio dell’ipotesi di non poter andare all’atto che segna “la sfida zapatista più grande degli ultimi 23 anni”, come la definisce Gloria Muñoz Ramirez. Medicine a acqua con il limone mi danno la forza di prendere un combi e arrivare al Caracol numero 2 alle 11 e mezza circa. La coda è lunga. Da una parte il CNI, con i suoi colori, dall’altra il pubblico, stranieri e messicani. Entrano prima gli indigeni del Messico, accolti da due fila di miliziani zapatisti che fanno gli onori di casa. I miliziani poi si mettono ai lati dell’auditorium di Oventik dove si svolgerà l’atto. Poi entrano le donne straniere e messicane. Attenzione che in alcuni casi disturba le compagne più sensibili alle questioni di genere, ma che è facilmente comprensibile come atto simbolico nella rottura degli stereotipi della società occidentale. Per ultimi noi uomini. Arrivo all’auditorium che è già stracolmo in ogni ordine di posto, tipo il derby Milan-Inter di Champions League (dove il Milan vince e va avanti), fa caldo, tanto che è come nel lontano 2008 li a Oventik e riesco a soffrire il caldo. Il comandante David apre, il Subcomandante Moises chiude, in mezzo parlano delegati del CNI, i genitori dei 43 studenti di Ayotzinapa, e viene letto il documento  conclusivo del congresso. Torno di corsa, prima che le migliaia di persone provino a scendere a San Cristobal. Il tempo di un tweet. E poi scopro che tutti gli ospiti del Caracol sono stati invitati a pranzo. Il mio stomaco non l’avrebbe comunque permesso.

Una nota dolente è dedica al pubblico non indigeno. Troppo spesso davanti alle convocazioni zapatiste non si riesce a capire quale sia il ruolo “nostro”, ma questa volta sembrava tutto molto chiaro. Invece il protagonismo non indigeno si fa vivo nell’attesa dell’inizio dell’atto con cori gridati e rigridati che hanno un solo effetto; far si che l’atto iniziasse solo davanti ad un attimo di silenzio. Mentre la delegata del CNI chiede agli ascoltatori indigeni non delegati se sono daccordo con le decisioni prese, a gridare SI sono i non indigeni. I cori un paio di volte stoppano i genitori dei 43 di Ayotzinapa che stavano cercando di iniziare il proprio intervento. La fotografia dell’incapacità di stare al proprio posto spiega meglio da tante parole il perchè l’EZLN ad un punto della sua storia abbia deciso di investire sulle popolazioni originarie ancora prima che sul popolo meticcio del Messico.

Ora lo stomaco torna a brontolare, un bagno vicino, le medicine alla mano, finalmente, ma la verità è non ci poteva essere altra possibilità se non quella di sforzarsi per essere acconto ai popoli indigeni e ascoltarli dare il tempo di una proposta tanto assurda e contraddittoria da trasformare anche le elezioni in spazio di lotta e ribellione.

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