Usa - We Call Bullshit

9 / 4 / 2018

Emma Gonzales, il 18 febbraio, alle spalle il massacro del 14 febbraio in cui hanno perso la vita diciassette studentesse e studenti della scuola dove studia, la Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland (FO), prende la parola assieme ad altri studenti sopravvissuti, in occasione di un presidio dove si discute di controllo delle armi, presidio che è anche una veglia di lutto, di memoria e di protesta:  

«Diventeremo i ragazzi di cui leggerete nei libri di testo. E non perché saremo l’ennesimo numero di una statistica sugli omicidi di massa in America, ma perché, come ha appena detto David, il nostro sarà l’ultimo omicidio di massa. Come Tinker v. Des Moines, la cambieremo, la legge. Sarà la Majority Stoneman Douglas in quel libro di testo, e sarà opera dell’attività instancabile del consiglio scolastico, dei suoi membri, delle famiglie e soprattutto degli studenti. Gli studenti che sono morti, gli studenti che sono ancora in ospedale, quelli che ora soffrono di disordini post trauma, gli studenti che hanno attacchi di panico durante questa veglia, perché gli elicotteri non ci lasciano in pace, e stazionano sopra la scuola 24 ore al giorno.

Esiste un tweet su cui vorrei richiamare l’attenzione. C’erano così tanti segnali che il tiratore di Parkland fosse disturbato mentalmente, era stato addirittura espulso a causa di comportamenti rabbiosi e imprevedibili. I vicini e i compagni di classe sapevano che era un problema. Dovrebbero sempre riportare ogni stranezza alle autorità, costantemente. Lo abbiamo fatto, alle volte. Visto che era nella nostra scuola, non ha sorpreso nessuno tra noi che lo conoscevamo, che fosse lui ad aver sparato. A coloro che sostengono che non avremmo dovuto ostracizzarlo, voi non lo conoscete, questo ragazzo. Si, l’abbiamo fatto. Lo sappiamo che ora si sta adottando l’argomento della salute mentale, e io non sono una psicologa, ma é necessario prestare attenzione al fatto che questa non é stata solo una questione di salute mentale. Non avrebbe colpito così tanti studenti con un coltello.

Perchè non smettere di incolpare le vittime per qualcosa che è stata responsabilità dello studente, e responsabilità delle persone che gli hanno consentito di acquistare l’arma in primo luogo, degli amanti dei gun shows, delle persone che l’hanno incoraggiato ad acquistare gli accessori per le sue armi per renderle completamente automatiche, le persone che non gliele hanno sottratte sapendo che aveva espresso tendenze omicide, e non mi sto riferendo all’FBI. Sto parlando delle persone con cui ha vissuto. Sto parlando dei vicini che lo hanno visto portare fuori di casa le armi.

Se il Presidente desidera venire da me e dirmi in faccia quanto sia stata una terribile tragedia che non sarebbe mai dovuta accadere, e continuare a dirci che nulla può essere fatto a riguardo, sarò felice di domandargli quanti soldi ha ricevuto dalla National Rifle Association.»

Tinker v. Des Moines, il caso del 1968 a cui si richiama Gonzales, è una decisione della Corte costituzionale che aveva stabilito l’illegittimità dell’espulsione di alcune studentesse e studenti dalla scuola pubblica superiore di Des Moines, espulsione decisa dal Rettorato a seguito di una protesta, intrapresa dagli studenti, contro la guerra in Vietnam - protesta espressa portando un fazzoletto nero al braccio, che la direzione scolastica aveva inutilmente intimato loro di togliere, prima di adottare il procedimento disciplinare della sospensione. L’appellarsi al primo emendamento, che aveva tutelato la libertà di espressione politica per le sorelle e i fratelli Tinker nello spazio di un istituto pubblico nel ‘68, diventa nel 2018 nelle parole di Gonzales motivo di scherno e punto di forza contro la violenta ipocrisia del governo di Trump: come Emma Gonzales ricorda con il suo intervento del 18 febbraio, Trump “ha revocato un regolamento del governo Obama che avrebbe reso più facile bloccare la vendita di armi da fuoco a persone con problemi mentali,” ed è anche contro questa decisione che le studentesse e gli studenti della Marjory Stoneman Douglas High School iniziano, politicamente, ad organizzarsi proprio a partire dallo spazio della scuola, che le politiche presidenziali hanno reso un terreno di guerra. 

Il riferimento a Des Moines è carico di echi negli Stati Uniti dell’era di Trump, dove l’argomento del free speech è stato a più riprese monopolizzato dall’alt-right e dalla destra repubblicana per piangere il “diritto calpestato” dalle lotte antifasciste che hanno opposto e sabotato (trovando diffusa repressione poliziesca e legale, nonché attentati contro la vita di manifestanti e militanti antifascisti/e) fiaccolate e raduni nazionali scanditi dall’odio razziale che i suprematisti bianchi hanno regolarmente continuato ad organizzare, dal campus universitario di Berkeley (CA) alle strade di Charlottesville (NC), negli ultimi due anni. 

Il riferimento a Tinker v. Des Moines è tanto più evocativo durante una presidenza in cui numerosi sono gli insegnanti e ricercatori universitari che stanno subendo attacchi in ragione delle proprie prese di posizione politiche nell’accademia statunitense; dipendenti di grosse università del paese, questi lavoratori e lavoratrici hanno spesso dovuto abbandonare gli stessi istituti a causa della loro presa di posizione netta contro gli attacchi dei media, dell’ambiente fascista e contro il disconoscimento della tutela dei diritti garantiti loro proprio dal primo emendamento.

Il discorso di Emma Gonzales è un discorso che attraversa un Paese in cui le violenze poliziesche che colpiscono sproporzionatamente, restando impunite, le comunità non bianche e le classi povere, si innestano su una percezione pubblica dell’utilizzo delle armi e del ricorso alla forza privata come diritto costituzionale indiscusso e pratica legittima, “di costume”. I soggetti privilegiati titolari di questo diritto:  i cittadini statunitensi maschi e bianchi. Il discorso di Emma Gonzales interpella, con difficoltà e con forza, chi invece attraversa l’esperienza di violenza da posizioni di vulnerabilità materiale, ricattabilità, precarietà, espedienti e compromessi. In tempi sospetti in cui la supremazia bianca trova ampi spazi di legittimazione istituzionale, la lunga e complessa genealogia statunitense del diritto all’autodifesa armata è confusa dalla retorica e dalle pratiche della tutela corporativa, folkloristica e razzista del diritto alla vendita, al possesso e all’uso libero e indiscriminato di armi da assalto; le stragi si ritrovano ad essere minimizzate ricorrendo all’argomento della patologia psichica dell’aggressore - argomento efficace per giustificare gli attacchi operati dalle stesse forze dell’ordine ai danni di cittadini spesso nullatenenti, colpevoli di atteggiamenti antisociali o sospetti. 

La questione della regolamentazione nella vendita di armi che Gonzales e compagni portano viene percepita e riprodotta, nel discorso pubblico conservatore, come attacco ad un diritto costituzionale, e come briglia normativa ad una libertà di mercato, sovra rappresentata a livello governativo dagli ingenti fondi che la National Rifle Association assicura ai rappresentanti politici del Paese. 

I giovani di Parkland, però, sono cresciuti nell’era di Black Lives Matter, dei Dream Defenders, delle proteste nelle strade di Baltimora e di Ferguson, dell’organizzazione politica grassroot contro le violenze poliziesche ai danni della popolazione nera, delle lotte contro l’aumento della popolazione carceraria, dell’organizzazione contro la deportazioni militarizzate delle e dei migranti per opera della ICE (Immigration and Customs Enforcement). Gli studenti, a pochi giorni dalla strage, lanciano il movimento Never Again MSD, entrano in contatto con coetanei delle inner cities di altre grandi città statunitensi, e chiamano ad una prima marcia nazionale, il 24 marzo, replicatasi in oltre 400 città del Paese. Così facendo, inseguono un dialogo reciproco, e inglobano e superano le rivendicazioni per il controllo delle armi attorno alle quali organizzazioni della classe media bianca del Paese (Americans for Responsible Solutions, Everytown for Gun Safety) si sono concentrate finora, dopo stragi come quella della scuola elementare di Newton (CT) alla fine del 2017. Le studentesse e gli studenti di Parkland puntano alla piazza e alla strada, sconfinano i discreti processi di contrattazione e lobbying con sordi legislatori ed un’opinione pubblica insincera e razzista, prona a considerare “thugs” chi a Baltimora nel 2015 insorgeva contro l’omicidio di Freddie Gray per mano delle forze dell’ordine. Riportano costantemente l’attenzione sul fatto che stanno lottando per dei cambiamenti radicali nelle normative, non per l’interesse di candidati e rappresentanti che cercano di cooptarli quando non li osteggiano e sabotano apertamente. 

Il discorso di Never Again si fa ampio, parla in faccia, parla con parole, storie e voci personali, parla a e con altri giovanissimi delle proprie vite perse e riprese nel Paese del mercato delle armi liberalizzato e della criminalizzazione e vittimizzazione di uomini e donne non bianchi in possesso (sospettato) di pistole. Attraverso le testimonianze di undicenni, quindicenni, diciottenni, New Again incrocia racconti sulle armi nelle inner cities, dove i tassi di disoccupazione e povertà sono vertiginosi, e dove si aprono carceri e si chiudono scuole, quando non le si riempiono di polizia. Le testimonianze rintracciano fili della violenza di strada, della violenza di casa, della violenza di Stato; della violenza subita dalle giovani donne nere e di colore, le cui storie non fanno la prima delle news nazionali. Gli interventi parlano dell’irricevibilità delle politiche di disciplina e controllo adottate dalle amministrazioni locali, che decretano l’utilizzo del badge di controllo nelle scuole, propongono l’armamento dei docenti, attuano l’aumento di sorveglianza nelle strade e negli istituti dei quartieri poveri dove giovani abitanti e studenti, principalmente non bianchi, sono costantemente sottoposti a controlli violenti dei vigilantes, dove i residenti subiscono incarcerazioni preventive, dove i controlli violenti e razzisti della polizia continuano a ripetersi; dove le risorse per centri comunitari e di salute sono indirizzati a scuole di formazione di guardie e militari. 

Scrive Alex King, uno degli studenti impegnati in Never Again, da Chicago:

«Credetemi, da dove vengo le scuole sono già più difficili di quanto si possa immaginare. Ci alziamo prestissimo ogni giorno, prevedendo il tempo necessario per fare la fila ai metal detector. Siamo colpiti in maniera sproporzionata da politiche della tolleranza-zero, che ci incanalano nell’indotto scuola-prigione. Siamo abituati a vedere poliziotti che camminano su e giù nei corridoi della scuola, e se non capite quanto solo quello ci provochi stress, allora ciò che é accaduto a Laquan McDonald o a Tamir Rice o a Sandra Bland o Stephon Clarck non lo conoscete nemmeno. E lo dovreste sapere.»

Il 21 marzo, quattro giorni prima del bagno di folla che a Washington ha alzato i pugni e si è commosso a sentire testimonianze e silenzi delle giovani studentesse e studenti di Parkland, la polizia di Sacramento (CA) ha ucciso Stephon Clark, un ventiduenne nero, nel giardino di sua nonna: otto colpi alla schiena hanno raggiunto e ucciso il giovane disarmato, la famiglia e la comunità hanno bloccato il traffico nelle strade della città e il consiglio municipale. Emma Gonzales, il 18 febbraio, ha parlato per sé, per la propria famiglia, e per i propri compagni definendo “cazzate” le parole di liquidazione del Governo contro chi porta la conversazione sul gun control:

Le persone al Governo che hanno ricevuto i voti per ricoprire incarichi di potere ci stanno mentendo. E noi ragazzi, noi con le nostre famiglie, sembriamo essere i soli a dire che sono tutte cazzate (“call BS”, “call bullshit”). Le corporazioni tentano di caricaturare noi adolescenti, di questi tempi, dicendo che ci occupiamo solo di noi stessi, che siamo ossessionati dalle cose che fanno tendenza, e ci silenziano cercando di sottometterci quando il nostro messaggio non raggiunge le orecchie della nazione: siamo pronti a dire che sono cazzate. Ai politici che siedono nelle loro Camere e nei loro Senati dorati, pagati dalla National Rifle Association, che ci dicono che nulla si sarebbe potuto fare per prevenire quanto successo: we call BS. A quanti dicono che leggi più strette per controllo delle armi non diminuiranno la violenza da armi da fuoco: we call BS. A quanti dicono che una brava persona con una pistola ferma una cattiva persona con una pistola: we call BS. A quanti dicono che le armi sono come i coltelli e tanto pericolose quanto un’automobile: we call BS. A quanti dicono che nessuna legge avrebbe potuto impedire le centinaia di tragedie insensate che sono successe: we call BS. A quanti dicono che noi ragazzi non sappiamo di cosa stiamo parlando, che siamo troppo giovani per capire come funziona il governo: we call BS.

Dopo gli undici minuti di silenzio in cui è consistito quasi tutto il suo intervento a Washington DC il 24 marzo, uno per ogni minuto della strage alla Marjory Stoneman Douglas High School, Emma e le numerosissime altre giovani persone che si stanno continuando a mobilitare con Never Again fanno eco, nei loro interventi, ad una lotta che parla di controllo delle armi tanto quanto di opposizione radicale alla “violenza armata promossa dal Governo [che] questo sistema permette si perpetui senza alcuna ripercussione. Chiunque dia valore alla vita deve alzarsi e gridare che tutto questo deve smettere.” Così scrivono in occasione dell’omicidio comminato dalla NYPD il 4 aprile nelle strade Crown Heights, Brooklyn, che ha tolto la vita a un 34enne nero disarmato, diagnosticato bipolare, e sospettato di essere in possesso di pistola. Never Again sta articolando, nella propria lotta, nel proprio trauma e nel proprio lutto, un’analisi della violenza di sistema statunitense. Il movimento sta portando avanti dei tentativi di organizzazione autonoma contro cause ed effetti oppressivi delle molteplici intersezioni di questa violenza, e sta puntando il dito contro chi fa passare per diritto costituzionale all’autodifesa quello che è de facto un (redditizio, disciplinato e disciplinatorio) monopolio economico e legale della violenza, e della circolazione ed uso delle armi nel paese.

*** Foto numero 37 tratta da The Atlantic