[ * ] Sinodo, istruzioni per il non uso

30 / 11 / 2015

È chiaro che il Papa non è un nostro referente politico; non attendiamo la parola del Papa per capire in quale direzione dovremmo indirizzare le nostre riflessioni e le nostre lotte. La nostra non vuole essere dunque un'analisi di quanto succede dentro la Chiesa (non siamo vaticanist* e francamente non ci interessa diventarlo), né tantomeno un tentativo di critica alle scelte vaticane su temi come l'aborto, il divorzio, le unioni civili, l'apertura alle/agli omosessuali, l'uso del profilattico: su questi temi la Chiesa rimane un interlocutore impossibile, i cui discorsi e presupposti non possono che rimanerci estranei. La nostra analisi non è dunque un'esegesi del testo sinodale né si propone di essere un'interpretazione filologica del discorso dei vescovi.

La scelta di proporre una breve analisi di alcuni dei passaggi della Relazione Finale del Sinodo dei Vescovi è motivata da una parte dalla volontà di guardare oltre l'apparenza "progressista" che la Chiesa Romana e Papa Francesco proiettano, attraverso i media, sul discorso pubblico, nello specifico rispetto alla questione femminile e a quella omosessuale (quelle questioni che la Chiesa si ostina a bollare come "ideologia del gender"); d'altra parte, ci sembra opportuno controbattere alla descrizione che il documento fa delle istanze e delle rivendicazioni "gender" di cui anche noi ci sentiamo portatrici/portatori. Vogliamo cioè provare a produrre delle riflessioni su chi siamo e cosa vogliamo a partire dal testo del Sinodo, utilizzando criticamente alcuni dei concetti espressi al suo interno per tentare di fornire una lettura di quanto sta accadendo, a livello mediatico, attorno alle questioni di genere e alle polemiche sulla cosiddetta ideologia del gender.

Un aspetto del discorso che emerge dal documento sinodale, infatti, è la rappresentazione della Chiesa Romana come campione dell'umanità e dei valori tradizionali (e cristiani - che nella narrazione clericale diventano i valori dell'umanità, per l'appunto), in contrapposizione ai fautori di una visione del mondo individualistica, relativista, espressione dei valori del neoliberalismo più sfrenato; questo è il nemico che la Chiesa, tanto per cambiare, si auto-rappresenta, e che ha il potere di far rappresentare a livello mediatico. In questo senso, chiunque si opponga all'ingerenza del Vaticano sulle politiche sociali, culturali ed educative in Italia è rappresentato come un orrido individualista pronto a mettere l'etichetta del prezzo su ogni cosa, anche sull'esperienza genitoriale. Gli effetti di una simile mossa retorica, che verrebbero nullificati in qualsiasi dibattito serio, vengono invece amplificati in una situazione come quella italiana, in cui la Chiesa ha a disposizione grande spazio nel circuito mediatico e nel dibattito pubblico.

1. La famiglia

"Le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano all’interno delle famiglie dinamiche di insofferenza e di aggressività. Si può menzionare anche una certa visione del femminismo, che denuncia la maternità come un pretesto per lo sfruttamento della donna e un ostacolo alla sua piena realizzazione. Si registra poi la crescente tendenza a concepire la generazione di un figlio come mero strumento per l’affermazione di sé, da ottenere con qualsiasi mezzo."

1.1 La famiglia: possesso e godimento (di chi?)

"Le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano all’interno delle famiglie dinamiche di insofferenza e di aggressività"

Il modello di famiglia della Chiesa diventa allora l'unico possibile per opporsi a una "cultura individualistica del possesso e del godimento". 

Questo passo è estremamente sintetico (questo anche per la natura riassuntiva del documento sinodale), e non analizza quali siano i meccanismi che scatenano le "dinamiche di insofferenza e di aggressività" all'interno dell'ambito familiare, limitandosi a collegarle in modo non specificato a una "cultura individualistica del possesso e del godimento". I soggetti che vivono la frustrazione e l'aggressività, così come i soggetti che rivendicano il possesso e il godimento non vengono meglio specificati.

Se ci soffermiamo a riflettere sui concetti nominati dalla Relazione Finale del Sinodo, potremmo domandarci di cosa si parla quando si parla di possesso e di godimento. Possesso e godimento sono stati infatti per secoli prerogativa del pater familias. All'interno della famiglia patriarcale tradizionale è infatti il padre-marito ad avere non solo la capacità di possedere beni e di disporre del potere economico-materiale, ma anche la possibilità di indirizzare e di decidere sulla vita degli altri componenti della famiglia, si trattasse della moglie o dei/lle figli/e. Non ci soffermeremo sulla capacità di possedere beni materiali, nonostante questa sia stata una battaglia di grande importanza per il femminismo liberale; ci concentreremo invece ancora un poco sull'aspetto del possesso inteso come possibilità di disporre della vita dell'altr*. Il retaggio di questo modello si manifesta tutt'oggi nelle relazioni familiari, come possiamo dedurre dai tassi altissimi di violenza sulle donne attuata da partner o ex-partner, e dalle storie di vita di ragazz* allontanat* dalla famiglia di provenienza dopo aver fatto coming out.  

In questo quadro interpretativo, la frustrazione e l'aggressività di cui si fa menzione nel passaggio riportato emergono come il problema del capofamiglia (nel doppio senso del genitivo: sia in quanto problema proprio del capofamiglia, sia come problema che il capofamiglia rappresenta per gli altri). Quando il possesso e il godimento vengono rivendicati anche da altre componenti del nucleo famigliare, ecco che scattano la frustrazione (che per secoli è stata il sentimento di chi subiva il potere patriarcale, e certamente non del patriarca) e l'aggressività del padre-padrone. Con questo non si vuole individuare nel maschio eterosessuale il soggetto violento per antonomasia: a titolo di esempio, siamo consapevoli del fatto che esiste violenza anche nei rapporti non eterosessuali, così come nei rapporti i cui componenti non sono maschi. È la struttura del rapporto patriarcale, in cui un* sol* dispone liberamente della capacità di possesso e di godimento, a essere per noi il problema. Per questo motivo, se volessimo utilizzare le parole del Sinodo per descrivere cosa vorremmo dai rapporti interpersonali, potremmo dire: "contro la frustrazione e l'aggressività, più possesso e godimento per tutt*!".

1.2 La famiglia: femminismo e maternità

"Si può menzionare anche una certa visione del femminismo, che denuncia la maternità come un pretesto per lo sfruttamento della donna e un ostacolo alla sua piena realizzazione." 

Abbiamo visto come i soggetti delle dinamiche famigliari non vengano, nel primo paragrafo, nemmeno nominati. Chi viene nominato esplicitamente è invece il femminismo, responsabile di una "certa visione" della maternità. Se vogliamo chiamare con altre parole – le nostre -  questa "certa visione" della maternità, potremmo chiamarla: maternità consapevole, libertà di scelta sulle questioni riproduttive, possibilità di accesso alla contraccezione e all'interruzione di gravidanza. In breve: autodeterminazione. Insomma, suona un po' diverso da "una certa visione", no? Perché il Sinodo utilizza questa espressione? Probabilmente perché si tratta di temi sui quali l'opinione pubblica ha ormai preso le distanze dalla posizione confessionale proposta dal Vaticano. È per questo che, ad esempio, i gruppi anti-abortisti, dopo aver per un periodo scelto di chiamarsi pro-vita, arrivano oggi a chiamarsi pro-choice o antigender; perché sull'aborto l'opinione pubblica sembra non voler tornare indietro, mentre l'opzione contro il fantasma del gender rimane ancora valida proprio per l'oscurità del termine importato dall'inglese (che ricordiamo essere perfettamente traducibile in italiano con genere). 

La Chiesa si auto-rappresenta come la vittima di un attacco femminista; se lasciamo da parte la retorica ed esaminiamo i fatti, però, i dati ci dicono che essa è ben lontana dall'essere dalla parte di chi perde.

La situazione italiana per quanto riguarda l'aborto è poco rassicurante: basti pensare al tasso di obiezione di coscienza, che in alcune regioni supera il 90%. Si registra da dieci anni una diminuzione degli aborti legali in Italia, e per la prima volta nel 2015 il numero delle interruzioni di gravidanza è inferiore a centomila. Sono però dati che necessitano di un'analisi approfondita, perché andrebbero messi in relazione con il numero di aborti clandestini, che rimane allarmante (per approfondire: Valentina Greco su Internazionale).

Chi perde ancora oggi sulla questione della maternità non è la Chiesa, ma le donne che cercano l'interruzione di gravidanza e trovano obiettrici ed obiettori di coscienza sul loro cammino. A questo proposito ci sembra opportuno ricordare che sono passati ormai quasi quarant'anni dall'introduzione della Legge 194, che regola l'aborto in Italia. Se l'obiezione di coscienza poteva, forse, avere un senso, ai tempi, per tutelare quei medici che avevano iniziato la professione senza sapere che avrebbero un giorno dovuto operare interruzioni di gravidanza, oggi la situazione è drasticamente cambiata. Non vuoi fare aborti? Non diventare ginecolog*. Tanto più che, aggiungiamo noi, oggi molt* ginecolog* decidono di diventare obiettori e obiettrici non per motivi di coscienza, ma per motivi professionali, di carriera. Sulla questione invitiamo a visionare l'inchiesta di Eleonora Cirant, sul problema della carriera l'articolo di Silvia De Zordo.

La nostra "certa visione del femminismo" ci impone allora di affermare come ci sia ancora oggi certamente bisogno di inchieste che si facciano forti di una visione femminista per interpretare la realtà, al di là della patina di retorica da cui è coperta nel discorso pubblico sulla maternità.

1.3 La famiglia. La generazione di un figlio come mezzo di affermazione del Sé

"Si registra poi la crescente tendenza a concepire la generazione di un figlio come mero strumento per l’affermazione di sé, da ottenere con qualsiasi mezzo."

Il Sinodo si riferisce, in questa parte del documento, alla questione della maternità surrogata. Si tratta di una questione estremamente complessa, sulla quale vogliamo riflettere assieme, e sulla quale abbiamo intenzione di proporre un approfondimento nel prossimo futuro. Per il momento, ci limitiamo a far notare che i soggetti che per primi dovrebbero essere intitolati a parlarne sono le donne coinvolte nella surrogacy; dal nostro punto di vista, non è accettabile assumere, in questo caso come in altri (ad esempio quello della prostituzione), una posizione paternalista nei confronti dei soggetti che in prima persona vivono questa scelta. Allo stesso modo, ci pare irricevibile la proposta di un'alleanza con la Chiesa Cattolica (basata proprio sul paternalismo) su questi temi.

2. Ideologia del gender

"L’ideologia del “gender” che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo."

Ribadiamo ancora una volta che la cosiddetta ideologia (del) gender altro non è che un papocchio inventato dal Vaticano per opporsi a idee e pratiche anti-maschiliste anti-omofobe e anti-transfobe. (link art. Sara). Di conseguenza, nel proseguire l'articolo ci riferiremo non all'ideologia gender ma all'insieme degli studi di genere e delle teorie queer, insieme all'interno del quale è possibile trovare una pluralità di posizioni non riconducibili in maniera univoca a un'ideologia.

Detto ciò, qualcosa i vescovi del Sinodo l'hanno capito, dei discorsi prodotti negli ambienti queer-femministi: "Questa ideologia induce progetti educativi... che promuovono un'identità personale e un'intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina".

VERO! La diversità biologica fra maschio e femmina è stata per troppi anni la giustificazione per pratiche e discorsi discriminatori, maschilisti, omofobi, transfobi. Fior di biolog*, sessuolog*, psicolog*, filosof* della scienza (femminist* e non) dibattono tutt'ora sull'esistenza o meno di reali differenze biologiche tra maschio e femmina (tolte quelle strettamente implicate nella riproduzione). La cosa interessante però, in questo passaggio, è il fatto che la Chiesa – che da sempre si batte per la promozione e la divulgazione del sapere scientifico - utilizzi la nozione di "diversità biologica tra maschio e femmina" in maniera del tutto aproblematica. La biologia in questo caso serve alla Chiesa per naturalizzare, cioé destoricizzare, decontestualizzare e far percepire come naturali, immediate e immutabili delle categorie che sono invece il frutto di determinati saperi e di precise pratiche sociali. Lo sforzo degli studi di genere e delle teorie queer, così come di studiose femministe che si occupano delle (presunte) differenze biologiche tra maschio e femmina, è effettivamente quello di denaturalizzare il genere (cioè il correlato sociale e psicologico dell'essere maschio o femmina) e, nei casi più radicali, le categorie sessuali (cioè le categorie maschile e femminile, costruite su un insieme di tratti sessuali – ad esempio, i genitali, le gonadi e i cromosomi) degli esseri umani. Per approfondire, consigliamo la lettura degli articoli di Lorenzo Bernini e l'intervista a Sara Garbagnoli.

Quello che non è vero è che i percorsi educativi implementati oggi nelle scuole siano l'espressione delle teorizzazioni femministe e queer più radicali: si tratta piuttosto di proposte educative orientate all'educazione alla diversità e vòlte a contrastare il bullismo, il maschilismo, l'omofobia e la transfobia nelle scuole. Si tratta cioè di interventi pedagogici costruiti a partire da una prospettiva consapevole dei risultati degli studi di genere: sono basati sulla distinzione tra genere e categoria sessuale (e non mirano alla denaturalizzazione delle categorie sessuali, tipica della teoria queer) e sull'accettazione di orientamenti sessuali non eterosessuali. In poche parole, il minimo indispensabile necessario ad aiutare i bambini e le bambine d'oggi a diventare delle persone rispettose di se stesse e degli altri.

3. Educazione, ed educazione sessuale

"Nel cambiamento culturale in atto spesso vengono presentati modelli in contrasto con la visione cristiana della famiglia. La sessualità è spesso svincolata da un progetto di amore autentico. In alcuni Paesi vengono perfino imposti dall’autorità pubblica progetti formativi che presentano contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana: rispetto ad essi vanno affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori. Peraltro, la famiglia, pur rimanendo spazio pedagogico primario (cf. Gravissimum Educationis, 3), non può essere l’unico luogo di educazione alla sessualità. Occorre, per questo, strutturare veri e propri percorsi pastorali di supporto, rivolti sia ai singoli sia alle coppie, con una particolare attenzione all’età della pubertà e dell’adolescenza, nei quali aiutare a scoprire la bellezza della sessualità nell’amore." 

3.1 Educazione e visione umana

Ancora una volta non entreremo nel merito di ciò che la Chiesa propone al/la credente, ma ci limiteremo a evidenziare l'utilizzo di alcuni concetti problematici per noi da parte del Sinodo. Nel brano riportato si afferma che l'autorità pubblica impone dei "progetti formativi in contrasto con la visione umana e cristiana". Qui il riferimento è alla famigerata direttiva dell'OMS sull'educazione sessuale e affettiva nelle scuole (e alla faccenda dei libretti dell'UNAR). Sono mesi ormai che assistiamo ai deliri di un'opinione pubblica che crede sia possibile che ai bambini venga insegnato a masturbarsi in classe. Fortunatamente esistono ormai numerosi articoli sulla questione, che spiegano perché quest'ipotesi sia da rigettare in toto e quali siano i reali motivi di questa caccia alle streghe (spoiler: si tratta di storiacce di potere del Vaticano e di visibilità di gruppi antiabortisti e di estrema destra). Per un approfondimento, è possibile visionare il dibattito che abbiamo ospitato a Sherwood nel luglio del 2015  così come i tanti diversi interventi di giornalist*, educatori/educatrici, studios* sull'argomento.

Qui ci vogliamo soffermare sulla mossa retorica (e un tantino subdola) cui abbiamo fatto cenno all'inizio dell'articolo. Abbiamo detto che il discorso mainstream proposto dalla Chiesa contrappone due posizioni: quella della Chiesa Cattolica stessa, portatrice dei valori tradizionali e cristiani, che rappresenterebbe l'unica possibile alternativa agli altri, esemplari di un'umanità individualista, votata al consumismo più sfrenato, schiava delle proprie passioni e, in definitiva, complice di tutti quegli aspetti del reale – capitalismo in primis, ma anche "diktat dell'Europa" e lobby di potere - che rendono il mondo in cui viviamo un posto invivibile. Si tratta chiaramente di una visione manichea del mondo, ben riassunta all'interno del brano citato dall'espressione "contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana". La visione umana è immediatamente cristiana: la cristianità è presentata come unico modo dell'umanità, messa in pericolo da forze anti-umane, che mano a mano assumono la forma nebulosa del nemico potente e nascosto caratteristico delle narrazioni cospirazioniste. Il discorso sull'umano della Chiesa, cioé, diviene il punto d'aggancio per una serie di equivalenze improprie: ad esempio, se sei pro-gender sei pro-Europa; se sei pro-Europa sei per l'Europa delle banche; se sei pro-gender sei per la masturbazione nelle scuole, per gli omosessuali maschi che si comprano i figli perché se lo possono permettere in quanto ricchi (e quindi capitalisti)... la lista potrebbe continuare (ad esempio, nei video di Fusaro sull'ideologia del gender è possibile trovare molti ragionamenti di questo genere). Ma questi assiomi, che si possono estrapolare dai discorsi sull'ideologia del gender, non sono altro che la reiterazione di fallacie logiche, di cui citiamo solo, a titolo di esempio: il rovesciamento dell'onere della prova - la Chiesa afferma che X (l'ideologia del gender) esiste, e starebbe a noi dimostrare che X non esiste (sì, l'hanno usata altre volte); la distorsione degli argomenti dell'avversario; la già discussa falsa dicotomia, per cui le due sole posizioni possibili sarebbero quella umanista della Chiesa e quella dei pervertiti lobbisti capitalisti.

L'impianto retorico che abbiamo descritto ci pare possa avere uno scopo ben preciso: quello di nascondere quali siano gli interessi materiali della Chiesa rispetto alle politiche sull'educazione in Italia. Quando nel documento viene ribadita "con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori" dobbiamo prendere sul serio quello che significa. L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche è tuttora a carico dei contribuenti italiani; le scuole confessionali rimangono soggette a regimi fiscali di favore e vengono generosamente sovvenzionate da fondi statali e regionali. In questo quadro, la prospettiva di un'obiezione di coscienza da parte degli/lle educatori/trici, già di per sé inquietante, potrebbe trasformarsi in uno strumento di ricatto nelle mani della Chiesa nei confronti dei/lle tanti/e precari/e della scuola impiegat* nelle scuole cattoliche. L'obiezione di coscienza come forma di controllo delle carriere dei medici ginecologi, che rappresentano comunque una categoria più tutelata rispetto a quella degli insegnanti, dovrebbe metterci in allarme rispetto agli sviluppi di simili dichiarazioni di intenti (per quanto, speriamo, queste non abbiano possibilità di essere messe in pratica). Che il Vaticano tenti di mantenere l'egemonia sull'educazione dei pargoli non sorprende; non vorremmo però che a pagare fossero ancora le fasce più deboli della popolazione.

Alcune conclusioni provvisorie

"La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. […] La rimozione della differenza […]è il problema, non la soluzione" (Francesco, Udienza generale, 15 aprile 2015).

Le teorie queer e gli studi di genere non intendono rimuovere le differenze; intendono piuttosto rimuovere le ingiustizie legate alle differenze. Solitamente, chi si occupa di questi studi si propone di mostrare le differenze, valorizzarle, e liberarle. Liberare le differenze significa, ad esempio, mostrare come sia possibile per ognun* interpretare il proprio genere come meglio crede, oppure riflettere sul fatto che se ti piacciano gli uomini non sei meno uomo (l'orientamento sessuale non è l'identità di genere!), oppure spiegare che tipo di discriminazioni affrontano ogni giorno le donne, le/gli omosessuali e tutt* coloro che non si riconoscono in un mondo eteronormato e maschilista.

Uno degli obiettivi degli studi di genere e delle teorie queer, ribadiamo, è rimuovere le ingiustizie che, nel mondo in cui viviamo, si accompagnano alle differenze. Il che equivale a dire che no, il fatto che a qualcuno piaccia il sesso con una persona del suo stesso sesso non dovrebbe influire sulla sua capacità di avere dei diritti; il fatto che abbia un utero non dovrebbe determinare la sua inferiorità sociale, né influenzare cosa le/gli è lecito sognare; il fatto che una persona adulta preferisca essere penetrata, piuttosto che penetrare, (perché spesso la faccenda, alla fine dei conti, si riduce a questo) non necessariamente significa alcunché sul piano cognitivo-psicologico, e certamente non deve significare alcunché sul piano sociale e dei diritti. In definitiva, si tratta di dire che siamo intitolat* ad essere divers* e che abbiamo la prerogativa di decidere, noi, come esserlo; e che siamo pront* ad accettare le sfide di un mondo in cui a tutt* venga riconosciuta questa possibilità.