S02E01 - «All men must die. But we are not men». La rappresentazione della sessualità e della donna in Game of Thrones

22 / 2 / 2018

Chiedete a chiunque per strada se conosce Game of Thrones (Il Trono di Spade, HBO 2011 – in produzione) e difficilmente riceverete un no come risposta. Del resto, sebbene molti cerchino di resistere al tornado GoT, è difficile non farsi trascinare nel vortice quando il web è un insieme di meme, video, articoli e gadget dedicati alla fortunata serie, con la conseguenza che – vuoi o non vuoi – quasi tutti sanno chi è Jon Snow.

Tra castelli e cavalieri, intrighi di corte e combattimenti, viaggi per mare e per terra, matrimoni “indimenticabili” e draghi, un elemento in particolare si è imposto quale tratto distintivo della serie, ovvero la rappresentazione della sessualità in riferimento alla donna. Nel corso degli anni GoT è stata oggetto di critiche da chi riteneva che la violenza verso le donne fosse troppa, brutale, spesso gratuita, e che la nudità venisse continuamente sensazionalizzata per fare più ascolti. La serie ha resistito alle critiche preservando una coerenza narrativa e temporale e costruendo così un prodotto televisivo di qualità che rispecchiasse, il più fedelmente possibile, una società medioevale. Questo però fino a quando una particolare scena nel sesto episodio della quinta stagione ha provocato una battuta d’arresto e un repentino mutamento della raffigurazione della donna. Ma andiamo con ordine.

Come è noto la serie deriva dalla saga fantasy Cronache del ghiaccio e del fuoco (A Song of Ice and Fire, conosciuta anche con la sigla ASOIAF) di George R.R. Martin, avviata nel 1994 con la pubblicazione del primo volume, seguito da altri cinque, ma la saga risulta ancora incompiuta (mancano due libri all’appello). Dopo il grande successo di ASOIAF, l’autore ha ricevuto e rifiutato diverse proposte di riadattamento dei suoi libri per il grande schermo, fino a quando, nel 2006, gli sceneggiatori David Benioff e Daniel Brett Weiss gli proposero di rendere i suoi libri una serie televisiva [1]. GRRM concesse i diritti per la produzione di GoT, divenendone co-produttore, creative consultant e partecipando in seguito alla scrittura delle sceneggiature di alcuni episodi. Questo ha fatto sì che determinate scelte narrative siano state influenzate dal creatore della saga. Inoltre, data la necessità di ridurre la mole di materiale e adattarla al piccolo schermo, GRRM è stato un potente alleato della serie, partecipando attivamente alla creazione dei contenuti sino alla quarta stagione, per poi decidere di isolarsi e dedicarsi esclusivamente alla stesura degli ultimi volumi di ASOIAF.

Dicotomie

I personaggi creati da GRRM si allontanano dalle classiche dicotomie – particolarmente tipiche nel genere fantasy – di buono/cattivo, eroe/antieroe. Pagina dopo pagina il sottile confine che vi è tra bene e male viene sempre messo in discussione e indebolito, e così il bianco e il nero lasciano spazio a moltissime gradazioni di grigio. La narrazione polifonica mostra infatti come dietro la decisione del singolo si celi una ramificazione di situazioni che lo hanno portato sino a quel momento e a quella determinata azione/situazione. In un costante rapporto di causa-effetto le azioni di un personaggio si basano su ciò che egli ha vissuto in precedenza, agiscono sul presente e, inevitabilmente, influenzano il futuro – proprio come avviene ad ogni essere umano. I personaggi della saga non sono dunque piatti, ma hanno una profondità psicologica che li caratterizza e che viene descritta da diverse prospettive – o meglio dire “voci”, dal momento che ogni capitolo viene narrato in terza persona tramite il punto di vista di un personaggio. Lo stesso tipo di profondità viene rappresentata anche in GoT grazie alla forma della narrazione seriale che consente allo spettatore di entrare in contatto con ogni personaggio e di comprendere le ragioni che sottostanno a determinate azioni.

Oltre al disfacimento della classica opposizione tra bene e male, anche gli stereotipi letterari del cavaliere senza macchia e senza paura e della donzelletta in difficoltà vengono distrutti e superati: pochissimi sono gli eroi totalmente puri, dotati di coraggio e alti valori morali, e, se ci soffermiamo sulle ultime due stagioni, ancor meno sembrano essere le damigelle da salvare. Su uno sfondo dove le donne vengono rappresentate come vittime sottomesse al genere maschile e al desiderio sessuale, in un tripudio di «tits and dragons»[2], le protagoniste femminili dotate invece di parola (e di point of view nella saga) si sono trasformate da possibili vittime in carnefici. Se adesso però ci troviamo davanti a protagoniste del gioco dei troni e non a semplici pedine lo si deve ad un percorso attraverso la sessualità e la violenza, rappresentato dalla serie in modo coerente, all’inizio, ma in seguito banalizzato a causa delle critiche ricevute.

Sessualità e violenza

La sessualità in GoT è stata rappresentata in diverse forme e sfumature: dalla sfrontata esposizione della prostituta, all’atto di seduzione della sacerdotessa di R’hllor, sino alla raffigurazione e utilizzo del corpo – sempre femminile – come merce di scambio per ottenere il potere. Se da una parte i critici sostengono che la sessualità viene principalmente utilizzata solo per fare scalpore, dall’altra è stato notato come essa sia talvolta alla base di uno stratagemma narrativo denominato sexposition [3].Alla visione di corpi femminili e di atti sessuali consenzienti si accompagnano però anche scene di pura violenza sulle donne, come ad esempio, per citare i casi più importanti, il primo “incontro” sul talamo nuziale tra Khal Drogo e Daenerys, le scene che hanno come protagonisti Joffrey e le prostitute offerte in dono da Littlefinger al sadico regnante e lo stupro di Cersei ad opera del fratello Jaime sul letto di morte del figlio. Trattandosi di stupro in tutti e tre i casi, le scene hanno creato molto scalpore (soprattutto quella riguardante Cersei, che ha generato un acceso dibattito[4], ma gli sceneggiatori hanno comunque continuato per la loro strada realizzando la loro (e di GRRM) visione della serie. Tutto sembrava filare liscio… fin quando una scena in particolare ha diviso il pubblico, provocando una variazione di rotta nella rappresentazione della donna e accelerando la trasformazione delle protagoniste da vittime di una società patriarcale a strateghe e carnefici. Si tratta dello stupro subito da Sansa.

La disturbante visione del sadico Ramsay che violenta la giovane Stark dinanzi a un Theon/Reek, incapace spettatore distrutto nel corpo e nello spirito, ha suscitato delle critiche talmente forti da costringere i produttori a fare un vero e proprio dietrofront. Molti hanno infatti accusato Benioff e Weiss di aver esagerato e di aver superato un certo limite, considerando la scena non necessaria sia perché non presente nei libri – o meglio, lo stupro è presente nei libri ma non a danno di Sansa - , sia perché il personaggio di Sansa aveva già mostrato una evoluzione rispetto alle precedenti stagioni e quindi non vi era la necessità di utilizzare lo stupro come spinta verso un ulteriore sviluppo. A favore della scelta narrativa si è schierato in primis GRRM che, pur non partecipando alla scrittura della quinta stagione, ne ha difeso e applaudito la scelta in quanto perfettamente coerente col contesto storico rappresentato dallaserie [5]. Anche molti fans hanno appoggiato e accettato la scena, riconducendola alla scelta degli sceneggiatori di far confluire nella giovane Stark due personaggi della saga di GRRM, ovvero Sansa e Jeyne Poole. Nei libri infatti è proprio Jeyne Poole, una finta Arya Stark, che viene data in sposa a Ramsay e stuprata da quest’ultimo. Ma il personaggio, non essendo “protagonista”, non ha un point of view narrativo, quindi si tratta di “uno stupro tra i tanti” - 213[6] per l’esattezza (un numero obbiettivamente sconvolgente) – presenti nei libri dove alla vittima non viene data possibilità di espressione e l’atto serve solo, da una parte, a portare avanti la narrazione e, dall’altra, a rappresentare la brutalità di una società medioevale in tempi di guerra. La versione della serie dunque rappresenta un passo avanti rispetto alla violenza “banalizzata” presente nel libro, poiché attraverso Sansa riusciamo a vedere tramite gli occhi della vittima, a star male e soffrire per ciò che sta provando, e a gioire per la sua successiva rivincita. La visione dello stupro permette quindi di empatizzare con la vittima, di riconoscere l’abnormità dell’atto e la sofferenza che esso provoca. Nonostante questo, molti si sono interrogati sulla necessità di rappresentare lo stupro sul piccolo schermo e altri si sono addirittura rifiutati di continuare a promuovere la serie [7].

E le altre?

La grande risonanza ottenuta dall’episodio ha portato i produttori a prendere una diversa posizione rispetto allo stupro [8], provocando una repentina inversione di rotta circa la rappresentazione del genere femminile. Nella sesta stagione, infatti, Sansa si trasforma in una perfetta stratega, ed è grazie a lei che Jon Snow riesce a vincere la Battaglia dei Bastardi. In seguito, provoca la morte del suo aguzzino Ramsay e diventa Lady di Winterfell. Ma il cambiamento non investe solo Sansa. In un crescendo vediamo che, alla fine stagione, la rivoluzione femminile ha investito tutto il mondo di GoT: a Westeros non abbiamo solo l’affermazione di Sansa ma anche la vendetta di Cersei che, come nuova Mad Queen, distrugge i suoi nemici dopo aver subìto anche lei una violenza tremenda in quella che viene ricordata come la walk of shame, mentre a Essos assistiamo all’accordo tra Yara Greyjoy e Daenerys per raggiungere Westeros, appoggiato dalle donne di Dorne e dalla superstite Olenna Tyrell. Se la sesta stagione si conclude con il momento della rivalsa femminile, durante la settima le donne sembrano quasi condurre il gioco dei troni: non ci sono più possibili vittime degli uomini, ma regine che si contendono un trono e che utilizzano gli uomini come strumenti per accrescere il proprio potere. E, come se non bastasse, i momenti di nudo sono drasticamente diminuiti (dai 33 della prima stagione si è passati ai 7 della settima)[9]

A causa quindi delle critiche ricevute e probabilmente della libertà narrativa ottenuta da Benioff e Weiss (che non seguono più le direttive date dai volumi della saga – sebbene GRRM sia ancora coinvolto come consulente – poiché la serie ne ha superato le vicende), GoT è andata via via snaturandosi e perdendo quel quid che ne ha decretato l’enorme successo: ovvero il suo riuscire a creare un mondo fittizio, fatto di leggi e crudeltà, che sembra simile al nostro passato ma in realtà è al contempo specchio del nostro presente, un mondo in cui chiunque può essere oggetto di violenza. Certamente a nessuno piace l’idea di dover essere spettatore di uno stupro, ma di fatto con quelle scelte GoT rispecchiava una realtà femminile storica appartenente al nostro passato e al nostro presente, poiché ciò che accadeva alla donna del medioevo non è certo un lontano ricordo. Lo stupro è infatti qualcosa che esiste, un atto riprovevole che fa purtroppo parte della nostra realtà: la sua visione dovrebbe essere educativa al fine di provocare lo sdegno che consenta l’eliminazione della pratica, la sua mancata rappresentazione significa invece minimizzare il problema o addirittura far finta che non esista. 

Perché se è vero che Daenerys, Cersei e Sansa hanno subito lo stupro e si sono rialzate, ci chiediamo: cosa è successo a tutte le altre vittime di stupro (210 nei libri e 14 nella serie) [10]? Come questa esperienza ne ha modificato la profondità psicologica? Anche loro adesso conducono il gioco dei troni? Ovviamente no. Ma allora quale è la differenza tra le tre e le altre? Semplicemente alle prime è stata data la parola e quindi le conosciamo: comprendiamo la loro psicologia, possiamo empatizzare con loro. Volendo fare un paragone azzardato, Sansa è come se fosse nostra sorella, Jeyne Poole (la finta Arya data in pasto a Ramsey nella saga) è la notizia di stupro che passa sul sito di un quotidiano online: è una persona lontana, che non fa parte della nostra realtà, conosciamo la notizia, ma la cosa non ci crea tanti problemi e non ci tange. E infatti è interessante notare come alcune delle critiche alla scena di Sansa da parte dei lettori di ASOIAF fossero rivolte non tanto contro lo stupro in sé, quanto piuttosto verso il fatto che sia stata Sansa a doverlo subire, mentre nella saga è Jeyne Poole. Jeyne Poole, come già detto, non ha un point of view nella narrazione, ma soprattutto non siamo testimoni del suo stupro: non lo vediamo, lo leggiamo, e tra l’altro non è Jeyne a raccontarne l’esperienza, ma Theon.  

La rivalsa femminile della settima stagione in GoT, sebbene abbia provocato l’entusiasmo di vedere finalmente le donne vendicarsi contro i loro aguzzini, lascia un po’ di amaro in bocca ad una più attenta riflessione perché, da una parte, sminuisce le precedenti vittime, soprattutto quelle che non hanno avuto voce in tutta la faccenda, e dall’altra rappresenta parzialmente una mancata possibilità di alimentare un dibattito costruttivo sullo stupro che conduca ad una demonizzazione dell’atto in sé, e non della sua rappresentazione. Molti articoli a seguito della scena di Sansa recitavano la domanda «was it necessary?», ma in realtà ci si dovrebbe chiedere: che tipo di insegnamento si dà attraverso la visione di una donna che, dopo esser stata stuprata, come l’araba fenice risorge dalle sue ceneri?  A parte infondere il cuore di speranza – per carità, tutto molto bello – e appagare i desideri del lettore/spettatore, questa immagine minimizza le infinite reazioni che ogni donna può avere allo stupro, le infinite situazioni successive all’atto spregevole, quindi di certo non rappresenta la realtà dei fatti. Non è coerente in quanto non è la vita vera, e di certo non è GoT.



[1] La leggenda vuole che George R.R. Martin, dopo aver accettato di incontrarli, domandò loro improvvisamente: «chi è la madre di Jon Snow?» e fu proprio la loro risposta a far cedere l’autore. http://variety.com/2015/tv/news/game-of-thrones-ending-season-5-producers-interview-1201469516/

[2]  http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/tv/news/game-of-thrones-actor-ian-mcshane-says-show-is-only-tits-and-dragons-a6928566.html

[3]Il termine è stato coniato dal critico Myles McNutt (si veda https://cultural-learnings.com/2011/05/29/game-of-thrones-you-win-or-you-die/) ad indicare quelle scene che mostrano (“espongono”) aspetti caratteriali e motivazioni di personaggi, sulla base di fatti precedenti ai tempi della serie, utilizzando scene sessuali sullo sfondo. Il riferimento principale è la scena di Littlefinger nel bordello (stagione 1 episodio 7, https://www.youtube.com/watch?v=JofBlnXsACg) dove Baelish istruisce due prostitute su come convincere i loro clienti di essere anch’esse coinvolte fisicamente ed emotivamente nel rapporto sessuale.

[4] Si vedano ad esempio: http://www.vulture.com/2014/04/rape-game-of-thrones-cersei-jaime.html, https://theweek.com/articles/447693/sexual-politics-game-thrones-just-got-enormously-worse, http://www.vulture.com/2014/04/game-of-thrones-director-on-the-rape-sex-scene.html, https://www.themarysue.com/game-of-thrones-rape-discussion/.

[5] https://www.theguardian.com/books/2015/jun/04/george-rr-martin-game-of-thrones-rape-reality-of-war

[6] http://tafkarfanfic.tumblr.com/post/119770640640/rape-in-asoiaf-vs-game-of-thrones-a-statistical

[7] https://www.themarysue.com/we-will-no-longer-be-promoting-hbos-game-of-thrones/

[8] http://www.slashfilm.com/game-of-thrones-season-6-rape/

[9] https://broadly.vice.com/en_us/article/qvvx83/game-of-thrones-by-the-numbers

[10] Ibidem.