"Nel tragitto dei migranti che oggi attraversano le frontiere europee (interne o esternalizzate) esiste sempre un passato, per quanto difficoltoso, e un futuro, per quanto incerto. Anche se il presente, a volte, può diventare interamente sospensione, quando i progetti inciampano nelle sbarre di un centro di detenzione o sembrano soffocare nell’ammassarsi dei corpi in attesa nelle zone di concentramento".
Alessandra Sciurba, nel suo Campi di Forza – Percorsi
confinati di migranti in Europa, edito da Ombre Corte, opera, con
successo pieno, un tentativo di collocare i luoghi della detenzione e
del concentramento, oltre la fotografia della soluzione finale, eredità
dei campi del totalitarismo novecentescho, per aiutarci a comprendere
quanto, in questa epoca storica, concentramento e detenzione siano
invece, recuperando le diverse utilità che hanno avuto nel corso della
storia, non solo spazi "di immobilità senza via di fuga",
strumenti di arbitraria decisione sulla morte, ma fino in fondo parte
dei processi di gestione della vita e del suo incontenibile movimento.
La vita dei migranti appunto, di chi, per il suo osare incessante,
sfida e mette in crisi i confini dell’Europa e della sua cittadinanza.
Nessun fraintendimento. Non vi è disattenzione e neppure alcuna
negazione della barbarie di cui i luoghi del concentramento e della
detenzione contemporanei sono drammaticamente carichi. Alessandra
Sciurba si cimenta in un gesto, quello di spostare l’attenzione dalle
condizioni di vita nei campi all’essenza stessa dell’istituto della
detenzione e della produzione dei luoghi del concentramento, che ci
consente di comprendere la portata dei mutamenti in corso, il livello
degli interessi in gioco e di rigettare le tentazioni umanizzatrici che pongono l’accento sulla possibilità di gestire una detenzione morbida, umana appunto.
La carica prefazione di Federica Sossi anticipa il
contenuto intenso delle pagine che la seguono, in cui Alessandra
Sciurba, prima dà conto delle grandi trasformazioni che hanno
accompagnato, nel corso della storia, il rapporto tra diritti
universali, cittadinanza, confinamenti e stati nazione, poi, dopo aver
analizzato la struttura giuridica, politica e sociale dell’istituto
della detenzione, mette a valore le esperienze di inchiesta condotte in
questi anni dentro e contro la barbarie del confinamento e le brutalità
delle politiche di controllo delle migrazioni.
Le pagine di questo prezioso contributo, che l’autrice ci consegna come
parte di uno sforzo prodotto collettivamente nel tentativo di disegnare
le geometrie del presente, hanno però l’ambizione di andare oltre. Di
performare fin dalla loro stesura la realtà che ci circonda.
In primo luogo perchè, in campi di forza, è contenuta la sapiente
capacità di interpretare il condiviso patrimonio del pensiero critico
che in questi anni si è sviluppato intorno ai temi della cittadinanza,
dei confini e delle migrazioni, per regalarlo a noi tutti da una
differente angolazione grazie ad una sua originale elaborazione, in
secondo luogo, perchè ogni riga di questo lavoro è il frutto essa
stessa dell’esperienza teorica e materiale che l’autrice ha maturato,
certo, nel corso di intensi studi, ma anche e soprattutto nel rapporto
essenziale tra elaborazione teorica ed esperienza materiale nelle
lotte, per la libertà di movimento, contro il razzismo, per i diritti
di cittadinanza. Un rapporto che, quando agito nel senso della pratica
che produce teoria e della teoria che produce pratica, senza per questo
irrigidire né l’una né l’altra, ha il valore di andare a fondo, di
sporcarsi le mani e quindi di prendere parte fuori da tracciati
scontati ed ingabbiati.
I percorsi confinati dei migranti di Alessandra Sciurba sono quindi, non solo la storia di milioni di persone, dei loro viaggi, dei loro progetti e delle loro tappe, ma anche e soprattutto la storia di una sfida, di un duello permanente che si gioca attraverso il “campo di forza invisibile, creato direttamente attorno al corpo dei singoli migranti, continuamente spostabile insieme a loro, riproducibile e risultante dal corto circuito tra le scelte, la volontà e le energie di questi ultimi, e i tentativi del sistema di condizionarle e metterle a valore attraverso strumenti giuridici, politici e sociali, che solo in una certa misura sono capaci di indirizzare e dirigere un cammino segnato anche da decisioni che rimangono in parte fortemente soggettive”. Come un magnete, il campo di forza individuato dalla Sciurba come spazio di contesa intorno al corpo dei migranti, è la risultante delle spinte di un polo negativo ed uno positivo che, pur costretti continuamente all’incontro, tra le volontà ed i desideri che animano i protagonisti delle migrazioni e le strategie del loro imbrigliamento, proprio nello sfidarsi, nel contendersi lo spazio di questo movimento, producono spostamenti e spinte imprevedibili, non rintracciabili all’interno di compiute e confezionate strategie. Il campo di forza, quindi, è prima di tutto un campo di tensione, lo scenario in cui rsi confrontano la violenza (giuridica, politica, sociale) delle politiche di controllo della mobilità e la forza dell’aspirazione alla libertà. Ed in quanto movimento, il campo di forza è anche un un momento produttivo in grado, non solo di modificare le rotte dei soggetti, ma anche di interrogare continuamente lo spazio della cittadinanza europea nel suo insieme.
All’interno dei tragitti tracciati dalle risultanti di
questa partita, permanentemente giocata sul crinale di un confine
proiettato lungo l’intero viaggio migratorio, un viaggio che non si
arresta neppure quando si afferma la stanzialità del corpo su di un
territorio, i luoghi della detenzione e del confinamento appaiono
allora in tutta la loro versatilità, come spazi di sospensione e di
filtro. Ulteriori tentativi di gestione dei percorsi confinati, tappe
più che gabbie per i percorsi migratori.
Le storie di Fortune, Babajan, Abdalla, Alì, Rahim, incontrate in
questi anni dall’autrice e raccontate nella loro cruda e semplice
essenza all’interno del libro sono quindi, insieme, storie di percorsi
confinati e di continui sconfinamenti dei loro protagonisti. La
centralità data alle loro biografie, alle loro scelte, investe la
soggettività del potere di modificare il proprio destino di fronte
all’impressionante ed imponente impianto di controllo che su di essa
esercita la sua azione e contemporaneamente ci aiuta però ad andare
oltre il particolare e la specificità di ogni singolo percorso, per
guardare a come questa miriade di movimenti contribuiscano a comporre
la grammatica di un intero panorama geopolitico, quello europeo.
Per questo, per la capacità di collocare le biografie
dei percorsi confinati dei migranti all’interno del contesto in cui
muovono, il libro della Sciurba risulta essere, non solo il tentativo
di fornire una lente utile a comprendere la natura dei processi attuali
della circolazione globale dei corpi e della loro mai totale
afferabilità, ma anche e soprattutto uno sguardo (attivo e
performativo) sulla realtà del nostro tempo.
Sullo spazio di vita
di noi tutti, sui perimetri mobili del mondo che abitiamo e sugli spazi
selettivi della cittadinanza che tutti noi, migranti e non, esercitiamo
in posizioni gerarchiche differenti ma non fisse, continuamente mobili
e variabili. Dalla posizione di chi pratica la cittadinanza senza lo
straccio di un permesso di soggiorno alla precaria cittadinanza "piena"
riconosciuta a chi è incluso nel diritto degli stati nazione: una
gradualità sempre più sfumata ed intercambiabile.
Ma campi di forza è questo e molto altro. E’ un testo che, dando conto delle evoluzioni storiche del confinamento, della cittadinanza, dei confini ed insieme ad essi degli stati nazione (sfumati ma non estinti dentro i processi della globalizzazione), ci aiuta a comprendere quanto l’attualità delle politiche di governo delle migrazioni e della cittadinanza vadano ben al di là alle retoriche che oggi si spendono per legittimarle. L’analisi delle normative che si sono succedute in Europa negli ultimi due secoli, insieme alla mappatura delle prassi più emblematiche che in maniera disomogenea compongono il quadro materiale delle politiche migratorie europee, tra esternalizzazione dei confini ed ostacoli alla circolazione, non sono rivolte alla semplice descrizione di ciò che è dato, ma continuamente sottoposte alla verifica del come si danno e di ciò che producono. Confini, cittadinanza, confinamento dei migranti e spinte alla mobilità, sono il modo in cui l’Europa ed i suoi stati costruiscono attualmente la geometria del loro spazio. Non quello geografico, non solo almeno, ma anche e soprattutto quello biopolitico. Il governo della vita di noi tutti.
E’ possibile dunque per il lettore far tesoro di questo testo per tradurlo in una lettura dell’attuale scenario delle politiche di controllo dell’immigrazione e della cittadinanza? Come possiamo collocare il contributo di Alessandra Sciurba nel quadro complesso della crisi globale e nella realtà dello scontro in cui, dentro la crisi, la società multietnica ci proietta?
Raccontando l’imprevedibile rotta dei percorsi confinati dei migranti in Europa l’autrice ci ripropone, interpretandola, l’idea di un confine che, lungi dall’essere una linea di separazione che divide ciò che sta dentro da ciò che sta fuori, accompagna invece i migranti lungo tutto il loro viaggio, ora dove proprio a causa di questo confine che perseguita la loro biografia i migranti siano costretti a rimettersi in cammino, ora dove, pur ancorati ed inseriti profondamente nel contesto di un territorio, i migranti siano costretti ad aggirare i confini giuridici, politici e sociali che continuamente vengono riproposti come forma di differenziazione, di definizione di cittadinanze subordinate. Tutto questo porta allora l’autrice ad una conclusione aperta, che allude proprio alla possibilità di decostruire, di rompere quel campo di forza che accerchia i soggetti in movimento: esercitare e rivendicare il diritto di restare.
Campi di forza, percorsi confinati di migranti in Europa è il racconto delle tappe e delle rotte dei migranti ed al tempo stesso una tappa nella rotta dell’autrice, animata da sempre, nel suo impegno di ricerca, da un intreccio di indignazione e capacità di analisi, da quella inarrestabile voglia di modificare la barbara realtà del presente che fa di Alessandra Sciurba una compagna di viaggio insostituibile per chi come noi ha la fortuna di apprezzare i suoi contributi anche attraverso le pagine di questo sito (www.meltingpot.org) e nelle battaglie per i diritti.
Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa