S.a.L.E. Docks, Open#6

Diario di bordo di una strana mostra.

Primi appunti dopo due mesi di incontri con in testa la voglia di inventarsi nuovi modi di produzione culturale

10 / 12 / 2013

Nel 2012 S.a.L.E. Docks aveva riproposto il progetto Open, giunto alla sua sesta edizione, rendendolo però innovativo rispetto alle edizioni precedenti. La tradizionale formula del bando per giovani artisti aveva lasciato il posto ad un processo di costruzione della mostra basato sulla partecipazione ad incontri aperti al S.a.L.E.. Artisti, curatori, allestitori, organizzatori, studenti avevano risposto in massa, dimostrando la necessità di un progetto in cui la produzione di una mostra uscisse dagli schemi tradizionali.
E' stato proprio il suo carattere innovativo ad attirare la curiosita' di molti, soprattutto studenti che forse per la prima volta si sentivano veramente coinvolti in un processo di produzione dal basso, orizzontale e partecipato di un evento culturale.
Consci di avere “indovinato” una formula, abbiamo deciso di riproporre Open, ma dovevamo immaginare di fare passo in più', di pensare ad Open in modo ancora più radicale e magari tentare di realizzarla come una modalità di intervento/inchiesta sulla produzione culturale a Venezia.
Già dall'edizione precedente era emersa la volontà di “uscire in citta'”, di intessere relazioni con il tessuto urbano e sociale in cui il S.a.L.E. e' inserito. Al primo incontro pubblico del 2013, tenutosi il 23 ottobre, ha partecipato un centinaio di persone, qui abbiamo voluto subito affermare questo nostro desiderio: Open#6 doveva svilupparsi in modo più esplicito in rapporto al contesto veneziano, prendendone in considerazione gli aspetti postivi (dal punto di vista di un giovane artista/operatore culturale che vi riseida), ma anche le criticità, indagando a fondo tutti gli aspetti che lo compongono, analizzarli criticamente e riproporli dal nostro punto di vista. Da questa esigenza è nato un workshop interno a Open che ha sviluppato il diagramma che proponiamo in immagine.
A tutto ciò si ricollega un'altra proposta rivolta ai nuovi “Openers”, ovvero che tutte le opere siano pensate e realizzate all'interno del processo di Open#6.
Più che un'esposizione di opere d'arte, Open vuole essere, ancora una volta,  un laboratorio permanente in cui si realizzano progetti attraverso la condivisione delle competenze e dei saperi, attivando un lungo laboratorio du autoformazione (carattere spesso sottolineato come elemento dirimente da chi aveva partecipato all'edizione del 2012) . Seppure Open non produca, se non quando emerge dalla volontà dei partecipanti, un discorso esplicitamente politico, sebbene non si presenti a monte come una mostra ideologica, cosa che spesso accade alle varie Biennali o a molti eventi culturali (che rimangono però dentro alle logiche di un modello produttivo totalmente neoliberista), essa è comunque una pratica “in conflitto” con le modalità istituzioni e dell'industria culturale presente in città. Open è un modello (non rigido) alternativo di produzione che qualifica il S.a.L.E. quale terreno di sperimentazione culturale sul territorio, luogo in cui si esprime il tentativo di superare l'idea di cultura quale rappresentazione del conflitto, ma in cui la cultura prova a trasformarsi per divenire pratica del comune, cooperazione consapevole fuori dalle maglie della cattura.
Dalla mappa concettuale già citata in precedenza abbiamo estrapolato le parole-chiave su cui abbiamo iniziato a lavorare. Le tematiche trattate riguardano l'abitare, il lavoro culturale, le relazioni, l'ambiente, la formazione e gli spazi. Molti argomenti sono legati tra loro: dalla difficoltà abitativa alla carenza di spazi in città, ai problemi ambientali causati dall'abbandono di questi, alle politiche universitarie che poco coinvolgono gli studenti e che spesso li allontanano da Venezia.
La scorsa settimana siamo diventati effettivamente operativi e abbiamo organizzato una serie di "uscite". Per tutta la settimana, infatti, abbiamo indagato, fotografato, realizzato video e interviste, ci siamo cimentati in derive psicogeografiche e esplorazioni in barca.
Abbiamo cercato di costruire percorsi artistici alternativi a quelli convenzionali, progettato interventi artistici in luoghi abbandonati e molto altro.
Il processo di Open continuerà a crescere e a consolidarsi, a diventare un modello riconosciuto e applicabile ad altri spazi, in un'ottica di sovvertimento delle tradizionali istituzioni culturali che impongono dall'alto i loro modi preconfezionati di “fare arte”.


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