“Giù le mani dalle nostre terre e dai Beni Comuni” a Sherwood 2017

23 / 6 / 2017

“Giù le mani dalle nostre terre e dai Beni Comuni”, è il titolo dell’incontro organizzato, giovedì 22 giugno, presso lo stand Sherwood Booksand Media dal Collettivo Resistenze Ambientali di Padova.

È sempre più evidente che la “questione ambientale”, o meglio il rapporto uomo-natura, è centrale dal punto di vista della lotta di classe, intesa non in senso “economicistico” ma come movimento rivoluzionario che trasforma lo stato presente delle cose per la costruzione del “comune” e della comunità di liberi ed eguali. SI tratta di un passaggio epocale, che i movimenti al di là della logica produttivistica e lavoristica, al di la dell’ “ambientalismo di maniera” che non mette in discussione radicalmente il modo di produzione capitalistico e l’ideologia neoliberista che lo supporta.

Le trasformazioni antropologiche operate dallo sviluppo capitalistico, con la sistematica e rapace distruzione dell’ambiente, dei territori, e del “mondo della vita”, è sotto gli occhi di tutti. La mercificazione di ogni forma di vita, e la conseguente devastazione ambientale, è elemento cardine della nuova accumulazione capitalistica. Questa problematica è tanto più attuale nel nostro territorio dove consumo di suolo, avvelenamento delle acque (PFAS), inquinamento dell’aria hanno raggiunto limiti catastrofici. Sotto attacco i beni comuni fondamentali, come terra, acqua ed aria.

La contaminazione di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), utilizzate in numerosi prodotti e applicazioni industriali e dotate di elevata persistenza nell'ambiente ed assorbibili anche da parte dell'organismo umano - in particolare tramite il consumo dell'acqua potabile e di alimenti – è uno degli aspetti più terrificanti, che rende il Veneto una nuova “terra dei fuochi”. La contaminazione interessa un’area di oltre 200 kmq, tocca quattro province venete (Vicenza, Verona, Padova e Rovigo) e coinvolge circa 800.000 abitanti. 

Mappa Pfas

Principale responsabile è la multinazionale chimica Miteni, che dagli anni ’80 era a conoscenza dei danni provocati la sua produzione, ma ha sempre taciuto. Allo stesso tempo sono rilevanti le responsabilità politiche, sia del silenzio sia dell’inquinamento perseverante, da parte dell’amministrazione regionale, ma anche di alcuni enti locali.

L’interterritorialità e la capillarità del problema, oltre agli aspetti di estrema pericolosità, offre anche tante possibilità ricompositive per le lotte in difesa dei beni comuni.

Il dottor Francesco Palese, medico ed attivista dello Spazio Salute Popolare Padova, ritiene che non ci sia ancora piena consapevolezza del problema. Gli esiti delle contaminazioni da PFAS, su salute e qualità della vita delle persone, li abbiamo già visto negli USA con lo stabilimento DuPont. Quest’ultimo ha subito anche una pesante condanna, in seguito ad una class action avviata nel 2001. Un mese fa sono stati pubblicati gli esiti di uno studio avviato dalla stessa regione Veneto, che hanno confrontato  le popolazioni di controllo. Questo ha dimostrato chiaramente che nelle aree soggette a inquinamento PFAS è aumentata la mortalità, in particolare malattie tumorali, diabete, alzheimer, malattie cardio-vascolari.

Nonostante sia ormai chiaro che contaminanti incidono profondamente nella vita quotidiana, la politica non interviene, né bloccando lo sversamento a monte e né  prevedendo altre soluzioni per affrontare il problema. Oltre a questo c’è un deficit di informazioni e per questa ragione lo spazio salute popolare ha provato a sensibilizzare ulteriormente le persone attraverso un opuscolo informativo.


Giuseppe Ungherese, di Greenpeace Italia, afferma che quello del PFAS è uno dei disastri più gravi che sta interessando il nostro Paese negli ultimi anni. «Nonostante le istituzioni dovrebbero anteporre la sicurezza dei cittadini di fronte agli interessi di pochi privati, la situazione per anni è stata tenuta nascosta». Sono passati 4 anni da quando il CNR ha segnalato la presenza di PFAS in quest’area del Veneto, e la politica sembra agire nella direzione opposta a quella di trovare soluzioni. Nella “zona rossa”, quella a massima contaminazione, non solo la salute dei cittadini, ma anche l’economia locale è a rischio, «perché le persone non comprano neppure il pane dal fornaio locale, per paura di contaminarsi». La situazione, per una vasta area del Veneto, è  già compromessa e per questo è necessario attivarsi ed intervenire, e subito. «Una petizione, che chiede di fermare tutti gli scarichi, ha già raccolto migliaia di forme, ma questa è una battaglia che si vince tutti insieme, perché ci sono in gioco diritti minimi essenziali».

Gigi Lazzaro, di Legambiente Onlus, ritiene che il problema di base sia una carenza strutturale di normative, nella legislazione italiana, utili a bloccare questi disastri ambientali. «Per quanto riguarda i PFAS, fino al 2015 - anno in cui è nato il coordinemento “Acqua libera dai PFAS” - la popolazione non era informata di nulla ed ha continuato per decenni a non prendere individualmente alcuna precauzione.» La situazione di omertà era tale che, addirittura, le prime persone che hanno pubblicamente parlato della contaminazione sono state denunciate per “procurato allarme”. L’inquinamento va avanti dal 1976:  «le responsabilità ricadono sia sull’attuale dirigenza Miteni, sia sulle gestioni precedenti gestioni. Ma è soprattutto la Regione Veneto ad essere responsabile perché, oltre a non voler trovare soluzioni, spesso dirige flussi di acque contaminate in altri bacini della regione, per far fronte a crisi idriche».

Marko Urukalo, di Vicenza si solleva, fa un parallelo tra i water protectors di Standing Rock ed i movimenti che stanno lottando per difendere l’acqua pulita in Veneto. «La nostra Regione esemplifica i disastri che il capitalismo estrattivo ha provocato negli ultimi decenni: discariche costruite sopra bacini idrici (come il caso di Melagon ed il bacino di Oliero); l’aria tra le più inquinate al mondo, un territorio completamente cementificato ed attraversato da grandi opere inutili». È il costante intreccio tra politica ed affari che ha portato alla cristallizzazione di un modello produttivo che domina sulla stessa riproduzione della vita. Rispetto al PFAS ed alla Miteni: «la fabbrica di morte deve chiudere; di fronte all’immobilità della politica devono essere i cittadini a chiuderla. I dirigenti della Miteni devono essere costretti a bonificare l’area ed a risarcire economicamente il territorio per i danni fatti». I danni sono infatti socializzati, perché i costi dei filtri per le depurazioni vengono conteggiati direttamente nella bolletta del servizio idrico.

Alberto Peruffo, del Comitato Montecchio, ritiene che l’unica soluzione possibile per risolvere la situazione sia la pressione nelle piazze. Per questa ragione a Trissino, nell’epicentro della “zona rossa”, sono state organizzate due edizioni della “Marcia dei Pfiori”, che hanno visto una grande partecipazione popolare. L’unione tra azioni di protesta ed azioni giuridiche è l’altro elemento che è necessario determinare con continuità. «Il movimento contro il PFAS sta assumendo caratteristiche interessanti perchè racchiude in sé realtà molto diverse tra loro, dalle associazioni ai centri sociali, ma la cosa più importante resta la partecipazione soggettiva».