Guerre a geografia variabile

«Wars on demand» per Agenzia X. Dalla Rete ai nuovi sistemi di armamento, alle resistenze pacifiste nell’area del Pacifico. Un volume collettivo sul nuovo complesso militare-industriale

1 / 9 / 2014

Fino a qual­che mese fa, era opi­nione dif­fusa che l’area del mondo più a rischio fosse quella del Paci­fico. La corsa agli arma­menti di Cina, Giap­pone e molti altri paesi asia­tici — a causa delle tante con­tese ter­ri­to­riali — lasciava pre­sa­gire il rischio di una crisi, capace di rivo­lu­zio­nare gli assetti geo­po­li­tici della zona e non solo. Del resto, in ogni occa­sione utile, la Cina ha sot­to­li­neato i pro­pri inve­sti­menti in droni e nella cosid­detta «cyber­war», a testi­mo­nianza dell’importanza attuale non solo delle armi. Pechino aveva anche isti­tuito una zona di difesa aerea sulle isole con­tese (le Diaoyu per i cinesi, Sen­kaku per i giap­po­nesi), che aveva finito per irri­tare Giap­pone, Tai­wan, Filip­pine e Viet­nam e natu­ral­mente Obama e Washing­ton. Pro­te­ste anti Pechino ave­vano scon­volto Hanoi, men­tre Tokyo sot­to­li­neava la pro­pria voca­zione mili­tare, con le visite dei suoi poli­tici ai san­tuari dei suoi com­bat­tenti in guerra, cri­mi­nali per Corea e Cina (e dimo­strando tutto il pro­prio vigore, ponendo in pieno cen­tro della capi­tale il pro­prio arse­nale anti mis­si­li­stico, a seguito delle minacce della Corea del Nord). Era quella l’area sulla quale si con­cen­trava l’attenzione mon­diale, la zona del mondo, sim­bolo dell’ascesa della potenza cinese.

Il motivo – del resto — era molto sem­plice: ad un mondo gui­dato dall’imperialismo ame­ri­cano, da tempo si con­trap­pon­gono potenze che nelle pro­prie aeree spin­gono per una nuova ege­mo­nia. Stati che nei con­fronti degli ame­ri­cani hanno un atteg­gia­mento spa­valdo e per niente defe­rente.

Da tutto que­sto, Washing­ton ne risulta inde­bo­lita, nell’influenza e nella forza. E il Paci­fico assu­meva i con­torni della prova del fuoco: la stra­te­gia ame­ri­cana di «pivot to Asia», è con­tra­stata dalla Cina, creando una caram­bola di con­se­guenze dall’afflato mon­diale. Gli eventi di que­sti ultimi mesi, hanno invece dimo­strato che que­sta ten­denza non è solo asia­tica, ma ormai mon­diale e lo scop­pio quo­ti­diano – o la ripresa — di con­flitti (Ucraina, Gaza, Iraq, Siria) dimo­stra che que­sta modi­fica negli assetti glo­bali è ormai nella sua fase più attiva, non solo nelle zone vicine alla seconda potenza mon­diale, la Cina, e si mani­fe­sta nel mondo con­sueto con cui si risol­vono le crisi nel capi­ta­li­smo: attra­verso le guerre. Per que­sto Wars on demand, un libro a cura di «Vicenza libera dalle ser­vitù mili­tari» (Agen­zia X, euro 13), è un volume fon­da­men­tale per inter­pre­tare e com­prende quanto sta acca­dendo ed è per certi versi una sorta di anti­ci­pa­zione di tutto quanto potrebbe acca­dere nel più imme­diato futuro. Non a caso, gli autori degli inter­venti ospi­tati nel libro si con­cen­trano soprat­tutto sull’area asia­tica (isole con­tese e basi ame­ri­cani a Guam, in Giap­pone, ad esem­pio), ma le linee gene­rali dimo­strano – uti­liz­zando spunti che vanno dall’uso dei droni, alla con­qui­sta «mili­tare» dello spa­zio, fino alla nuova guerra infor­ma­tica – que­sto cam­bia­mento para­dig­ma­tico negli equi­li­bri geo­po­li­tici. Come scri­vono nella pre­messa Duc­cio Ellero, Vilma Mazza e Giu­seppe Zam­bon, «siamo den­tro un pas­sag­gio geo­po­li­tico da quella che era stata defi­nita la fase dell’Impero, in cui una sola potenza, gli Usa, impo­neva il pro­prio domi­nio anche tra­mite le stru­mento guerra, a una in cui emer­gono con deter­mi­na­zione potenze con­ti­nen­tali che assu­mono un rap­porto poli­tico, eco­no­mico e mili­tare, deci­sa­mente con­flit­tuale con la pre­ce­dente potenza ege­mone». I fatti di que­ste ultime set­ti­mane lo dimo­strano in pieno. Cosa è la guerra in Ucraina, se non uno scon­tro tra la Rus­sia, che Putin vor­rebbe ripor­tare agli anti­chi fasti di domi­nio della sua area di influenza, tra­mite il riav­vi­ci­na­mento di que­gli ex stati sovie­tici che gli per­met­te­reb­bero di creare distanza tra Europa a occi­dente e Cina a oriente, e la Nato a guida Usa che prova a recu­pe­rare un paese che ha di fatto por­tato alla divi­sione e a lace­rarsi con una guerra dall’esito ormai sem­pre più incerto (e dove muo­iono, come in ogni con­flitto che si rispetti, per lo più i civili)? Per altro il con­flitto ucraino rac­conta anche un’altra cosa: che nono­stante i droni e le moderne tec­no­lo­gie, la guerra è ancora fatta con uso di arti­glie­ria, a colpi di mor­taio e con pro­ba­bili mis­sili terra– aria capaci di col­pire anche aerei com­mer­ciali in volo sulle zone di con­flitto. Del resto anche la recente guerra di Gaza, potrebbe venire inter­pre­tata come una sorta di auto­noma poli­tica di potenza di Israele (non a caso il rap­porto con gli Usa può essere defi­nito in lieve crisi, ulti­ma­mente), a fronte anche di quanto sta suc­ce­dendo poco distante. Non tanto e non solo per l’Iran e la sua influenza nell’area, quanto per la poli­tica di con­qui­sta, di «potere» (come ha spie­gato ieri sul Mani­fe­sto Giu­liana Sgrena) dei jiha­di­sti del Calif­fato, usciti dal disa­stro siriano. Scon­tri, geo­me­trie, che mani­fe­stano la deca­denza di un impero (secondo i neo­con ben imper­so­nata dalle incer­tezze di Obama in poli­tica estera) che ha tro­vato un suo momento sim­bo­lico nel «fronte interno» ame­ri­cano, con i recenti scon­tri — di classe, non solo raz­ziali — a Fer­gu­son, in Mis­souri. L’emblema della crisi del gen­darme del mondo, che deve ormai guar­darsi, a causa della crisi eco­no­mica, dal suo «fronte interno». War on demands pre­senta dun­que una car­rel­lata di zone di guerra e di stru­menti di guerra, indi­spen­sa­bile bus­sola nelle nuove arit­me­ti­che di potenza attuali, a seguito del fal­li­mento di quelle pas­sate. Basti pen­sare all’Iraq. Come scrive Dome­nico Chi­rico di «Un ponte per», dopo dieci anni dalla guerra ame­ri­cana «in uno dei paesi più ric­chi di petro­lio al mondo, la mag­gio­ranza della popo­la­zione ha al mas­simo sei ore di elet­tri­cità al giorno, uno su quat­tro non ha accesso ad acqua pota­bile, il 20% della popo­la­zione è anal­fa­beta, i casi di mal­for­ma­zione, con­se­guenza del mas­sic­cio uso di armi chi­mi­che e ura­nio impo­ve­rito durante la guerra, sono in con­ti­nuo aumento con per­cen­tuali simili in alcune aeree a quelle di Cher­no­byl». In tutto que­sto pano­rama, ci sono anche gli «impe­ria­li­sti strac­cioni», alla ricerca delle bri­ciole di influenza cadute dai tavoli dei «grandi», natu­ral­mente. E i casi delle lotte del movi­mento «No Dal Molin» e «No Muos», rac­con­tano che l’Italia, come dimo­strato dalla recente deci­sione di armare i pesh­merga in Iraq, non è esclusa da que­sto «mondo in guerra».

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