Headlines

riflessioni dal libro Headline

10 / 7 / 2009

Una premessa che parte da Guilty at the Dock. Ovvero, i colpevoli sul banco degli imputati. Colpevoli di cosa? La provocazione sta tutta qui, nel mondo contemporaneo, il fare graffiti, il writing vive sotto la continua minaccia di una repressione sempre più incalzante ed esplicita; ormai all’ordine del giorno sono gli arresti e le perquisizioni, i processi. Nello specifico della nostra città, Venezia, due anni fa sono state compiute perquisizioni nelle case di writers locali ed aperte indagini di cui non sono ancora noti i capi d’accusa. Questa direzione politica verso la tolleranza zero, questo continuo inasprimento delle retoriche di sicurezza, è secondo noi la reale anti cultura da combattere, dietro una propaganda ignorante si cerca di creare la legittimità per ampliare i meccanismi di controllo sociale. Sotto lo spauracchio del criminale, quindi del writer, dell’ultras, o dell’immigrato clandestino si accetta di vivere osservati continuamente da occhi digitali di telecamere puntate su luoghi pubblici, angoli di città dove tutto è raccolto, tutto è registrato, dove la spontaneità talvolta è punita. L’intento è un indagine su quale sia la reale natura di questa forma di ”arte”, di cui un carattere essenziale è l’espressione spontanea sui supporti che offre la città, che si manifesta anche nell’illegalità. Da questa spontaneità si creano quegli elementi che fanno del writing e dell’arte di strada in generale una reale forma di attivismo sociale e forse artistico, dipingere le superfici dei treni o dei muri anonimi delle città è un chiaro tentativo di evasione dall’alienazione che caratterizza la modernità, di ribellione rispetto all’omologazione dei segni. Si tratta di un espressione spontanea che lotta per rimanere tale, che trasforma di fatto l’alienazione in riflessione e rompe l’orizzonte dei segni standardizzati e ripetuti. Headlines, come dal basso diviene possibile contaminare gli orizzonti. Analizziamo una spontaneità non conforme ad attitudini di legalità e passività di fronte alla standardizzazione, che spesso non intende solamente decorare ma, piuttosto rompere. Interrompe lo scorrere veloce di moduli nuovi, quasi una costrizione a riflettere su quanto l’orizzonte dei segni possa in qualche modo influire sulle esperienze emotive delle persone. Di conseguenza, l’intervento sul vagone di un treno, un autobus o di un muro ha l’intento spesso inconscio di creare una rottura visiva, un attacco di vernice volto a colpire l’intoccabile. Tale spontaneità, parte dal basso con pochi e poveri mezzi, irrita i nervi scoperti della città ed evidenzia il fallimento di un orizzonte alienante e ripetitivo. Talvolta diventa quasi una necessità intervenire per riqualificare, attuare percorsi di reale decoro in quei luoghi dove i vecchi moduli sono evidentemente falliti e appaiono come contenitori incapaci di rispecchiare la dignità della vita che li attraversa. Con l’intento di porre in evidenza dal basso, ci proponiamo di attaccare le superfici urbane per riqualificare ed interrompere l’orizzonte dei segni imposti; un titolo di testa (headline) che analizza i primi passi di uno spontaneo attivismo che inizia a muoversi verso un cosciente attacco alle superfici. Un agire attivo e programmato di una piccola resistenza, che oltre a sottolineare e migliorare, mette di fronte agli occhi di tutti parte dei suoi lineamenti e racconta le proprie pratiche ed esperienze caratterizzanti.

In queste produzioni i protagonisti attivi volgono uno sguardo dentro e fuori i propri luoghi d’azione, i propri ambiti di passione

http://issuu.com/urban-code/docs/headlines