Il giorno più lungo

15 / 12 / 2010

Che la partenza è stata anticipata alle tremmezza e noi ci siamo preparate di tutto punto, l’Alice e io, limoni compresi e già tagliatimbustati, bardate contro le eventuali avverse condizioni meteorologiche, pronte, attive e anche un po’ preoccupate. E fuori al tippiò è già tutto un ritrovarsi e farsi le battute sceme nonostante il sonno e il buio e il freddo. Ci mettiamo nel pullman con l’intenzione un po’ giocosa e un po’ no di fare lo spezzone della radio.
Da Bologna a Roma è tutto un lungo sonno interrotto soltanto dall’incubo di un autista logorroico che si lamenta di dover fare troppi km e ti viene da dirgli scusa ma perché non cambi lavoro.

Roma, e subito ritroviamo i compagni e le compagne di tante altre manifestazioni. Il Cois l’Ale e la Ceci sono scesi con la Fiom da Padaniacity e sono un po’ in modalità io-me-ne-sto-dove-mi-pare   ma io invece subito mi chiarisco con me medesima, questo quattordici me lo voglio fare con i compagni di viaggio e soprattutto voglio stare proprio in mezzo. Sentiamo notizie dalla Sapienza, aspettiamo gli studenti. C’è aria di festa e un poco di tensione, che lo sappiamo quello che troveremo, non ci facciamo troppe illusioni.
Partiamo.
Io vedo intorno a me persone di tutte le età vedo le famiglie di occupanti vedo gli studenti vedo i così detti centri sociali vedo vecchi operai vedo gli aquilani e quelli di Terzigno ed è gioia riconoscere tutte queste facce e stare in mezzo a loro. Ci mettiamo pochissimo ad arrivare al primo scontro. Che non vale nemmeno la pena di raccontare i dettagli, se non i sacchetti della munnezza che volano incazzatissimi verso uno dei palazzi di governo e due camionette i blindati che vengono prese d’assalto da qualcuno mentre la gente esulta. Ancora abbiamo speranze di una sfiducia alla camera. Siamo freschi.

Mi sento dire uagliù stiamo insieme e stiamo calmi ma è subito un parapiglia. Acchiappo Alice e me medesima mi acchiappo alla sacerdotessa del male, vedo i piccoli nipotini e il resto della radio, qualcun altro dei nostri, ci siamo tutti ci siamo tutte ma è chiaro che già avanti c’è qualcuno che si mena e proprio mentre cerchiamo una via d’uscita arrivano i primi lacrimogeni. Acqua e maalox e passa la paura.
Ecco non è passata nemmeno un’ora e già il nostro spezzone si è diviso come si suol dire causa forza maggiore ma subito ci riprendiamo in una corsa verso altri corpi amici altri corpi che possano tenere il colpo come noi e dopo un poco ci accodiamo a Venezia che ci accoglie e sembra quasi casa. E’ ora davvero di fare cordone.  E Alice un po’ ride e un po’ no ma lo fa pure lei e quando Flavia dice cordone è bello io lo penso davvero, in questo momento, e secondo me Alice anche. Andiamo avanti ostinati con voci discordanti che ci arrivano dalle radioline e da chi è in contatto con la testa del corteo ma le linee sono intasate e come al solito si fa fatica a capire dove siamo. Però a un certo punto è chiaro che c’è stata la fiducia anche alla camera e mi rendo conto che, al contrario di quello che pensavo, non è rabbia la prima cosa che sale, no, ma una sorta di scoramento, una sorta di delusione grande e spigolosa che ci pervade, e io temo per un attimo che il corteo si sciolga e si dica uagliù torniamo a casa e se possiamo emigriamo tutti (come farà l’Alice tra quattro giorni, e io ancora non posso crederci). Invece il corteo dopo questa scossa tremenda si rimette in piedi e proseguiamo imperterriti verso piazza del Popolo, sembra che il pericolo sia passato, ci allontaniamo persino per fare la pipì ma quando rientriamo è un delirio, sento la sacerdotessa al telefono capisco che siamo tutti nei casini, vediamo colonne di fumo e un’auto che brucia poi all’improvviso mi trovo sola nel casino e lo so è un attimo ma un attimo tremendo poi ecco ci sono Elle e Ci allora cerchiamo di scendere e c’è questo momento bellissimo in cui un compagno dalla faccia rotonda e tenera ci prende di peso e ci aiuta a scendere per correre avanti e io non so chi è né se mai lo rivedrò però grazie compagno che ci hai aiutate, perché subito dopo ritroviamo la sacerdotessa e tutto il resto della radio e i nipotini e capiamo che c’è qualcosa che non va, piazza del Popolo è assediata e di nuovo a un passo da noi altre cariche. Rischiamo di finire in un vicolo cieco ma per fortuna il nostro spezzone di corteo devia senza entrare nella piazza e a quel punto forse la paura è un po’ passata sì, ma a quel punto arriva la rabbia del sentirsi così inascoltati, e anche il conforto di vedere che piano piano tutti ci ricompattiamo, e mi viene un sollievo e una commozione nel rivedere le facce che conosco e nel sentire i racconti di ognuno e me li guardo e me le guardo, uno per uno una per una, uno per una una per uno,ma già siamo di nuovo in marcia verso la sapienza mentre la piazza brucia ancora dietro di noi.
Comincia a farsi sentire la maledetta stanchezza ma siamo tantissimi e non si vede la fine non si vede l’inizio di questo corteo si sentono solo le voci che cantano la nostra sfiducia la nostra rabbia il nostro desiderio di ripigliarci i diritti.
La strada mi pare lunghissima e continuano ad arrivare notizie discordanti pare che la tivvù parli addirittura di black block e a me sinceramente mi viene proprio da ridergli in faccia a questi qua, se ce li avessi davanti proprio lo farei sinceramente, una bella risata in faccia a voi e ai vostri black block ma soprattutto a voi e alla vostra cecità, alla vostra incapacità di vedere che questa Roma in fiamme di oggi è la Roma popolata da chi è ancora sveglio, da chi usa ancora gli occhi, da chi non è stato ancora intossicato dalle menzogne dal danaro e dai traffici di promesse e sottosegretariati.
Arriva persino la notizia che Alemanno si va a scusare coi commercianti e promette di ripagare tutto quello che questi violenti ingiustificabili hanno provocato, e io credo che forse Alemanno non l’ha vista, la gente che esultava quando la camionetta della finanza si ribaltava, forse non l’ha vista no, la gente che esultava quando i finanzieri poveri cocchi di mamma si ritiravano con la coda tra le gambe e il piscio che gli colava tra i pantaloni.
Alemanno la rabbia pura, non alimentata dall’odio strumentalizzato come quella dei suoi carabinieri, non l’ha forse vista negli occhi, e secondo me è un peccato, che lui non abbia potuto vederla, la nostra rabbia appuntita e brillante che ci ha fatto attraversare la città nonostante un dispiegamento di forze dell’ordine a dir poco allucinante.
A me dispiace per lui, che non l’abbia vista, che non l’abbia riconosciuta, la nostra rabbia, e per tutti quelli che sulla metro hanno detto che gli studenti e i manifestanti andrebbero fucilati, mi dispiace per quelli che non hanno più occhi e che non hanno capito cosa è successo oggi a Roma.
Per loro, onestamente, mi dispiace, perché sono già morti.
Ma per noi, per noi che c’eravamo, questa è stata una giornata di luce e pura vita. Una giornata di onestà, di aderenza a quello che vorremmo essere.
E infatti sull’autobus ci ritroviamo dopo lunghissimo camminare e non riusciamo a smettere di raccontarcela e finisce che perfino ci fermiamo all’autogrillo a cenare tutti insieme o più o meno. E poi il resto del viaggio sono storie che racconto sottovoce ai piccoli nipotini, sono risate con Pì e la sacerdotessa che ancora dà qualche allucinante aggiornamento su ciò che dice la stampa, sono io che rido di me che non ho trovato uno con cui pomiciare sull’autobus (obiettivo che pubblicamente mi ero prefissa la settimana scorsa al cavò) e poi però me la rido con persone che un po’ sono vecchie e un po’ sono nuove. Il resto è un pochino di apprensione per quelli che sono stati fermati. Il resto è la nostra sacerdotessa che dice
“si vede la basilica di san Luca, siamo a casa”.

E io penso sì, siamo a casa, siamo la casa.

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