Che la partenza è stata anticipata alle tremmezza e noi
ci siamo preparate di tutto punto, l’Alice e io, limoni compresi e già
tagliatimbustati, bardate contro le eventuali avverse condizioni
meteorologiche, pronte, attive e anche un po’ preoccupate. E fuori al
tippiò è già tutto un ritrovarsi e farsi le battute sceme nonostante il
sonno e il buio e il freddo. Ci mettiamo nel pullman con l’intenzione un
po’ giocosa e un po’ no di fare lo spezzone della radio.
Da Bologna a Roma è tutto un lungo sonno interrotto soltanto dall’incubo
di un autista logorroico che si lamenta di dover fare troppi km e ti
viene da dirgli scusa ma perché non cambi lavoro.
Roma, e subito ritroviamo i compagni e le compagne di tante altre
manifestazioni. Il Cois l’Ale e la Ceci sono scesi con la Fiom da
Padaniacity e sono un po’ in modalità io-me-ne-sto-dove-mi-pare ma
io invece subito mi chiarisco con me medesima, questo quattordici me lo
voglio fare con i compagni di viaggio e soprattutto voglio stare
proprio in mezzo. Sentiamo notizie dalla Sapienza, aspettiamo gli
studenti. C’è aria di festa e un poco di tensione, che lo sappiamo
quello che troveremo, non ci facciamo troppe illusioni.
Partiamo.
Io vedo intorno a me persone di tutte le età vedo le famiglie di
occupanti vedo gli studenti vedo i così detti centri sociali vedo vecchi
operai vedo gli aquilani e quelli di Terzigno ed è gioia riconoscere
tutte queste facce e stare in mezzo a loro. Ci mettiamo pochissimo ad
arrivare al primo scontro. Che non vale nemmeno la pena di raccontare i
dettagli, se non i sacchetti della munnezza che volano incazzatissimi
verso uno dei palazzi di governo e due camionette i blindati che vengono
prese d’assalto da qualcuno mentre la gente esulta. Ancora abbiamo
speranze di una sfiducia alla camera. Siamo freschi.
Mi sento dire uagliù stiamo insieme e stiamo calmi ma è subito un
parapiglia. Acchiappo Alice e me medesima mi acchiappo alla sacerdotessa
del male, vedo i piccoli nipotini e il resto della radio, qualcun altro
dei nostri, ci siamo tutti ci siamo tutte ma è chiaro che già avanti
c’è qualcuno che si mena e proprio mentre cerchiamo una via d’uscita
arrivano i primi lacrimogeni. Acqua e maalox e passa la paura.
Ecco non è passata nemmeno un’ora e già il nostro spezzone si è diviso
come si suol dire causa forza maggiore ma subito ci riprendiamo in una
corsa verso altri corpi amici altri corpi che possano tenere il colpo
come noi e dopo un poco ci accodiamo a Venezia che ci accoglie e sembra
quasi casa. E’ ora davvero di fare cordone. E Alice un po’ ride e un
po’ no ma lo fa pure lei e quando Flavia dice cordone è bello io lo
penso davvero, in questo momento, e secondo me Alice anche. Andiamo
avanti ostinati con voci discordanti che ci arrivano dalle radioline e
da chi è in contatto con la testa del corteo ma le linee sono intasate e
come al solito si fa fatica a capire dove siamo. Però a un certo punto è
chiaro che c’è stata la fiducia anche alla camera e mi rendo conto che,
al contrario di quello che pensavo, non è rabbia la prima cosa che
sale, no, ma una sorta di scoramento, una sorta di delusione grande e
spigolosa che ci pervade, e io temo per un attimo che il corteo si
sciolga e si dica uagliù torniamo a casa e se possiamo emigriamo tutti
(come farà l’Alice tra quattro giorni, e io ancora non posso crederci).
Invece il corteo dopo questa scossa tremenda si rimette in piedi e
proseguiamo imperterriti verso piazza del Popolo, sembra che il pericolo
sia passato, ci allontaniamo persino per fare la pipì ma quando
rientriamo è un delirio, sento la sacerdotessa al telefono capisco che
siamo tutti nei casini, vediamo colonne di fumo e un’auto che brucia poi
all’improvviso mi trovo sola nel casino e lo so è un attimo ma un
attimo tremendo poi ecco ci sono Elle e Ci allora cerchiamo di scendere e
c’è questo momento bellissimo in cui un compagno dalla faccia rotonda e
tenera ci prende di peso e ci aiuta a scendere per correre avanti e io
non so chi è né se mai lo rivedrò però grazie compagno che ci hai
aiutate, perché subito dopo ritroviamo la sacerdotessa e tutto il resto
della radio e i nipotini e capiamo che c’è qualcosa che non va, piazza
del Popolo è assediata e di nuovo a un passo da noi altre cariche.
Rischiamo di finire in un vicolo cieco ma per fortuna il nostro spezzone
di corteo devia senza entrare nella piazza e a quel punto forse la
paura è un po’ passata sì, ma a quel punto arriva la rabbia del sentirsi
così inascoltati, e anche il conforto di vedere che piano piano tutti
ci ricompattiamo, e mi viene un sollievo e una commozione nel rivedere
le facce che conosco e nel sentire i racconti di ognuno e me li guardo e
me le guardo, uno per uno una per una, uno per una una per uno,ma già
siamo di nuovo in marcia verso la sapienza mentre la piazza brucia
ancora dietro di noi.
Comincia a farsi sentire la maledetta stanchezza ma siamo tantissimi e
non si vede la fine non si vede l’inizio di questo corteo si sentono
solo le voci che cantano la nostra sfiducia la nostra rabbia il nostro
desiderio di ripigliarci i diritti.
La strada mi pare lunghissima e continuano ad arrivare notizie
discordanti pare che la tivvù parli addirittura di black block e a me
sinceramente mi viene proprio da ridergli in faccia a questi qua, se ce
li avessi davanti proprio lo farei sinceramente, una bella risata in
faccia a voi e ai vostri black block ma soprattutto a voi e alla vostra
cecità, alla vostra incapacità di vedere che questa Roma in fiamme di
oggi è la Roma popolata da chi è ancora sveglio, da chi usa ancora gli
occhi, da chi non è stato ancora intossicato dalle menzogne dal danaro e
dai traffici di promesse e sottosegretariati.
Arriva persino la notizia che Alemanno si va a scusare coi commercianti e
promette di ripagare tutto quello che questi violenti ingiustificabili
hanno provocato, e io credo che forse Alemanno non l’ha vista, la gente
che esultava quando la camionetta della finanza si ribaltava, forse non
l’ha vista no, la gente che esultava quando i finanzieri poveri cocchi
di mamma si ritiravano con la coda tra le gambe e il piscio che gli
colava tra i pantaloni.
Alemanno la rabbia pura, non alimentata dall’odio strumentalizzato come
quella dei suoi carabinieri, non l’ha forse vista negli occhi, e secondo
me è un peccato, che lui non abbia potuto vederla, la nostra rabbia
appuntita e brillante che ci ha fatto attraversare la città nonostante
un dispiegamento di forze dell’ordine a dir poco allucinante.
A me dispiace per lui, che non l’abbia vista, che non l’abbia
riconosciuta, la nostra rabbia, e per tutti quelli che sulla metro hanno
detto che gli studenti e i manifestanti andrebbero fucilati, mi
dispiace per quelli che non hanno più occhi e che non hanno capito cosa è
successo oggi a Roma.
Per loro, onestamente, mi dispiace, perché sono già morti.
Ma per noi, per noi che c’eravamo, questa è stata una giornata di luce e
pura vita. Una giornata di onestà, di aderenza a quello che vorremmo
essere.
E infatti sull’autobus ci ritroviamo dopo lunghissimo camminare e non
riusciamo a smettere di raccontarcela e finisce che perfino ci fermiamo
all’autogrillo a cenare tutti insieme o più o meno. E poi il resto del
viaggio sono storie che racconto sottovoce ai piccoli nipotini, sono
risate con Pì e la sacerdotessa che ancora dà qualche allucinante
aggiornamento su ciò che dice la stampa, sono io che rido di me che non
ho trovato uno con cui pomiciare sull’autobus (obiettivo che
pubblicamente mi ero prefissa la settimana scorsa al cavò) e poi però me
la rido con persone che un po’ sono vecchie e un po’ sono nuove. Il
resto è un pochino di apprensione per quelli che sono stati fermati. Il
resto è la nostra sacerdotessa che dice
“si vede la basilica di san Luca, siamo a casa”.
E io penso sì, siamo a casa, siamo la casa.