La prossima superpotenza della cybersecurity sarà Israele

31 / 3 / 2014

“Oggi lanciamo un’àncora economica che trasformerà Be'er Sheva in un centro nazionale e internazionale per la cibernetica e la cybersecurity. Questo giorno cambierà la storia dello Stato di Israele”.

Così parlava il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla cerimonia di inaugurazione dell’Advanced technology park della Ben Gurion University di Be'er Sheva - la “capitale” del Negev, l’area desertica che il fondatore dello Stato di Israele, Ben Gurion, sognava di far fiorire - il 3 settembre 2013.

Nelle parole di Netanyahu si coglie la duplice sfida di trasformare Israele in una superpotenza nel campo della cybersicurezza e di spostare il centro delle attività strategiche dall’area costiera al deserto del Negev. Quest’ultimo obiettivo ha lo scopo di sfoltire le sovraffollate aree litoranee, in particolare i centri urbani che gravitano attorno alla “Grande Tel Aviv” e ad Haifa. Il Negev costituisce il 60% del territorio di Israele ma vi vive solo l’8% della popolazione israeliana.

La dirigenza dello Stato ebraico ha colto da tempo la necessità di valorizzare questo territorio, sia per - eventualmente - ricollocarvi i coloni degli insediamenti da evacuare dai territori palestinesi (nel caso di un accordo di pace), sia per attrarre nuovi immigrati e investimenti stranieri, soprattutto nel campo delle alte tecnologie. Tra queste vi sono le nanotecnologie e la sicurezza cibernetica. L’Università di Be'er Sheva ha costituito alcuni centri di eccellenza, tra cui l’Ilse Katz institute for nano-science and technology (Iki), uno dei sei centri universitari israeliani creati nell’ambito del piano strategico nazionale per le nanotecnologie stabilito nel 2007.

È soprattutto nel campo della cybersecurity che nelle intenzioni dei decisori israeliani Be'er Sheva diverrà famosa in tutto il mondo. Per ottenere questo risultato, le autorità hanno adottato una partnership tra pubblico e privato, incentrata sul trasferimento nel deserto del Negev di importanti basi e reparti militari che fanno uso delle tecnologie più sofisticate.

Si prevede di spostare dall’area costiera al deserto circa 30 mila militari, appartenenti all’elite di Tsahal. In particolare, si tratterebbe di squadroni di aerei da combattimento e, soprattutto, della quasi totalità dei reparti dell’intelligence militare (Agaf Ha-Modi'in, spesso abbreviato in Aman, “Ufficio informazioni”). Compresi la Unit 8.200, l'Nsa israeliana, responsabile per le attività offensive nel campo della cyberwarfare, nonché il Center of computing and information systems delle Forze armate. Quest’ultimo è incaricato della cyber sicurezza e dell’analisi dei dati raccolti dai sensori collocati lungo i confini fisici e digitali. Il trasferimento inizierà a partire dal 2015 e si protrarrà per diversi anni. Alla fine del processo l’85% della forza lavoro dell’Aman sarà trasferita nei pressi di Be'er Sheva.

L’attrazione di investimenti stranieri nel campo della sicurezza informatica, del big data e del cloud computing è l’altro versante della strategia “per far fiorire il deserto”. Il gigante dell’industria aerospaziale statunitense Lockheed Martin è già coinvolto nel Progetto 5/9 (del valore di almeno 210 milioni di dollari) per creare a Be'er Sheva il nuovo quartiere generale high tech dell’intelligence militare. Lockheed Martin ha costituito - insieme a Bynet Data Communications - LB Negev, per portare a termine il progetto. A febbraio 2014 l’azienda statunitense ha inoltre annunciato la creazione a Be'er Sheva di un centro di ricerca nel campo della cybersicurezza, in partnership con la Emc, azienda leader nello stoccaggio dei dati, che già dispone in Israele di due centri di ricerca e sviluppo, a Herzliya e proprio a Be'er Sheva.

Altre multinazionali (come Microsoft, Amazon, General Motors, General Electric, Cisco, Deutsche Telekom, PayPal) hanno annunciato l’intenzione di aumentare i loro investimenti tecnologici in Israele: molte di queste prevedono di creare centri high tech presso il parco tecnologico di Be'er Sheva. L’israeliana Elbit systems, la principale holding privata del complesso militare e industriale israeliano, ha creato nel capoluogo del Negev Incubit, un “incubatore tecnologico” che nei prossimi 8 anni aggregherà altre 20 aziende in progetti relativi all’homeland security e alla cyberdefense.

Proprio Elbit, l’azienda israeliana che ha più diversificato le sue attività all’estero (con stabilimenti negli Usa e partnership significative in Europa, in Brasile e in alcuni paesi asiatici), serve da esempio ad altre companies israeliane nell’allargare all’estero le proprie alleanze, soprattutto nei campi della sicurezza informatica. È il caso della Iai (Israel aerospace industries), la principale holding ancora in mano pubblica nel settore aerospaziale ed elettronico, che ha creato un centro per la cybersicurezza a Singapore (1). Se a questa se ne aggiungeranno altre è prevedibile che l’industria israeliana potrà disporre in un prossimo futuro di una rete mondiale dedicata alla cybersecurity che ruoti attorno al capoluogo del Negev.

Occorre predisporre infrastrutture adeguate per attrarre investitori stranieri e incentivare i giovani israeliani a rimanere nelle unità di élite che verranno spostate nel Negev: dalle strade ai centri ricreativi, fino alla ferrovia ad alta velocità che collegherà la sponda mediterranea di Israele a quella del Mar Rosso. Il collegamento ferroviario, nelle intenzioni dei dirigenti israeliani, ha inoltre una valenza strategica perché viene presentato come un’alternativa al Canale di Suez per trasportare le merci dall’Asia all’Europa, e viceversa. Se alla ferrovia venissero associati gasdotti per trasportare il gas dei giacimenti israeliani o addirittura della regione caucasica e collegamenti a fibre ottiche (si veda l’articolo di Giorgio Cuscito, La potenza corre sulla fibra (ottica), su Limes 5/13 "Una certa idea di Israele"), il Negev diverrebbe un concorrente delle vie di trasporto di merci, di energia e di trasmissione dei corrispettivi assi egiziani. Ciò inciderebbe sui rapporti di Israele con diverse potenze asiatiche, in primis Cina e India.

Nonostante i problemi che i piani di sviluppo del Negev potranno incontrare nel corso degli anni - dalle tensioni con le comunità beduine all’instabilità crescente nel confinante Sinai che potrebbe accrescere il rischio di attività terroristiche nell’area (2) - sembra che una parte importante del futuro di Israele si giocherà in questo deserto.

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[Carta di Laura Canali]

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