Lou Reed, New York e la narrazione negata

Tratto da Milano in movimento

29 / 10 / 2013

Va bene, lo ammetto, non resisto.

È da ieri sera che mi dico “No non scrivere! Basta scrivere di artisti che muoiono. Devi scrivere di nuovi artisti, di nuovi riferimenti musicali, culturali e artistici”.

Ecco, sì, è da ieri che me lo dico,s ma proprio non riesco a non scrivere nulla sulla morte di Lou Reed.

I professionisti dell’informazione 20 minuti dopo la morte del cantante/chitarrista Newyorkese avevano già scritto vita, morte, vizi e miracoli.

Twitter con la sua velocità imbarazzante e l’orizzontalità che permette a tutti di scrivere ha raccontato Lou sotto ogni suo aspetto.

Condivido molto una cosa che scrivevano i Subsonica, e cioè che Lou Reed è uno di questi pezzi di storia di New York che hanno rese New York la città mitica che è. Ecco, di quella New York magica cosa rimane oggi? Forse solo Moby, Spike Lee e i Public Enemy, o almeno per me rimangono solo Moby, Public Enemy e Spike Lee. Il CGBG non esiste più, i Beastie Boys, i Ramones, Television, Gorilla Biscuits, Talking Heads ecc ecc nemmeno. Lou Reed è morto.

Ho pensato a quando mio padre me lo faceva ascoltare e io non volevo….”cazzo papà ma è troppo lunga questa canzone e poi non me l’hai detto tu che l’eroina è una cosa di merda, una cosa che ha fatto male a tanti tuoi amici, ai movimenti politici e alla società?”. Beh, più che pensarlo ieri al telefono mio papà mi ha ricordato questo dialogo quando da piccolo mi voleva convincere che heroin era una bella canzone.

Ecco, sì, ho rifiutato Lou Reed per tanti anni per poi innamorarmene guardando Trainspotting e la terribile scena di Mark Renton in overdose, e da lì in poi ascoltarlo un po’ di nascosto sempre nel dubbio di apprezzarlo perchè troppo spesso faccio fatica a scindere tra la musica come arte e la musica come strumento di comunicazione. Come essere indifferenti all’ambiguità di “Perfect Day”? Canzone straziante, malinconica ed emozionante che può parlare allo stesso tempo di un rapporto sentimentale bello e difficile (un po’ come spesso sono i rapporti sentimentali, almeno i miei negli ultimi anni), ma anche del rapporto con quella merda di sostanza che è l’eroina? Con che tranquillità puoi decidere di passare in radio ed osannare la meraviglia di Heroin quando sai che tante, tantissime persone ascoltandola hanno deciso di bucarsi? Ma come fare a non passare e cantare “Walk in the wilde side” in formato originale, o con il campionamento dei A Tribe Called Quest (Can i Kick It)?

Svegliarsi alla mattina sulle note di Sunday Morning è stato il leitmotiv dei miei anni del liceo.

Insomma, Lou Reed è una di quelle cose che ho amato e odiato allo stesso tempo, ha messo a nudo i miei dubbi di militante e mi ha obbligato a riflettere sul sesso nelle sue forme più profonde e alle violenze legate ai gusti sessuali: in quanti fino a ieri sapevano che da piccolo era stato sottoposto ad electro shock a causa delle sue tendenze omosessuali?

Probabilmente, ma non posso esserne sicuro, è grazie all’ascolto di Lou che amo la musica cupa, tendenzialmente gli accordi minori, e le armonie tetre. Che i miei gruppi preferiti tendenzialmente siano caratterizzati da sonorità tanto cupe mi è stato fatto notare tempo fa in chattata facebook, e prima non ci avevo mai riflettuto.

Forse è proprio per l’amore per Lou che adoro i Social Distortion, forse è perché da piccolo ascoltavo inconsapevolmente lui e gli Stones che i Beatles, invece, con le loro sonorità allegre e spensierate ho iniziato ad apprezzarlo quasi a 30 anni. Sarà per quei suoi ambienti sonori che quando ho ascoltato la depressione in 4/4 dei Sangue Misto mi si è aperto un mondo, insomma indirettamente Lou Reed, e quel buon tempone di mio padre che mi cullava tra Sweet Jane e Satisfaction, mi ha condizionato la vita musicale.

E la cosa incredibile è che ho sempre nascosto questa passione per quei dubbi da militante che troppo spesso non mi fanno vivere la musica nel pieno della sua essenza.

Fa un certo effetto che, proprio ora che mi sono permesso di rendere omaggio a quella passione nascosta tanto quando sabato nel mio ultimo dj set ho passato Sweet Jane in chiusura, Lou Reed sia morto. Per scaramanzia evito di citare e passare gli altri ascolti nascosti da cameretta.

E torno all’inizio del mio articolo quando dicevo dovrei parlare di artisti nuovi, nuovi cantanti e nuovi riferimenti culturali….Beh, sarà che sto invecchiando, sarà che la curiosità dei nuovi ascolti è sempre più rara, sarà quel che sarà, ma faccio proprio fatica a trovare con chi si possano rimpiazzare oggi personaggi dirompenti per la cultura musicale, soprattutto quella di parte ed in movimento, come Lou Reed, Enzo Jannacci, Adam Youch, Joe Strummer, Joey Ramone, ed Etta James.

Non è che delle cose interessanti non si muovano anche oggi, ma non hanno quel portato rivoluzionario e quella forza di parlare e narrare delle metropoli nella loro complessità, anche quella più underground, che le grandi narrazioni del potere vorrebbero tenerci nascoste come le lotte, i conflitti, le rivolte, il consumo e l’abuso di sostanze, il sesso, il divertimento scomposto, l’aggregazione non omologata.

In Italia la discesa è iniziata con Drive In ed è arrivata ad Amici, nel resto del mondo non so quando sia iniziata, ma oggi l’industria musicale è caratterizzata dal modello X-Factor ed è quel modello che omologa una narrazione asettica di un mondo piatto e grigio. Convinto che torneranno tempi migliori, e che i nostri spazi sapranno nuovamente essere artefici di una produzione culturale alternativa e di massa interrogandosi maggiormente sulle responsabilità e l’importanza degli immaginari che si agitano, nei quali la musica e la cultura saranno contemporaneamente innesco di una nuova eccedenza social e innescati da una nuova eccedenza sociale che così non solo ci narrerà un mondo diverso ma lo praticherà vi lascio con il Lou Reed che mi ha fatto amare Lou Reed:

Trainspotting