Per Bruno: “Quel murale narrazione del presente”

Parla l'artista messicano che ha dipinto la facciata del Centro sociale

15 / 4 / 2009

«Sono nato nello Stato di Oaxaca, nel sudovest del Messico ma a 11 anni mi sono trasferito a Città del Messico dove, dal 1999 al 2003 ho studiato all'Istituto nazionale delle belle arti. In questo periodo sono stato coinvolto nel movimento culturale della città e ho conosciuto intellettuali e artisti di altre scuole dove stava nascendo un collettivo che si proponeva, con molto successo, l'interazione tra varie discipline, come il teatro, performance, bodypaint, musica e filosofia onirica. Nell'agosto 2003 è nata l'idea di mostrare agli altri Paesi la realtà sociale, politica e culturale della mia città, una realtà diversa rispetto a quella che solitamente si conosce fuori dai confini messicani. Così pittori, musicisti, poeti, contadini appartenenti alla lotta di Atenco e un fotografo del quotidiano messicano La Jornada, hanno dato vita alla prima carovana, e anch'io con loro, per creare uno scambio culturale-politico tra Francia, Italia e Messico. Nel 2005 è stato organizzato il secondo scambio internazionale con gli stessi Paesi e con lo stesso fine. In quel periodo ancora non ero interessato alla Street Art».

È un ragazzo dallo sguardo intenso, Omar Garcia, autore assieme a Jordi Galindo del murale del Centro sociale Bruno di Trento. Un ragazzo con un forte desiderio di conoscenza e bisogno di integrazione; un artista che crede ancora nella pittura come comunicazione come modo per avvicinare l'altro e per sentirsi parte del mondo. Lo abbiamo incontrato per capire un po' più a fondo il suo pensiero e per dare alla sua opera la collocazione che merita.

I murales quali origini hanno?

«Il muralismo è un movimento artistico di carattere soprattutto indigeno, che nasce dopo la Rivoluzione messicana del 1910, con l'idea di rifiutare la pittura da cavalletto, per permettere all'arte di diventare espressione rivolta a tutti. Si propone, quindi, di fare opere monumentali destinate al popolo, allo scopo di mostrare, attraverso le immagini, la realtà storica, politica e sociale del Paese. Il muralismo messicano è stato uno dei fenomeni più decisivi dell'arte plastica contemporanea ispanoamericana e i suoi principali protagonisti sono stati Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros. A partire dal 1930 il movimento è diventato internazionale e si è esteso ad altri paesi americani. Gli artisti avevano la totale libertà di scegliere i temi e di mostrare un mondo nuovo sopra le rovine, la malattia e la crisi politica sorta dopo la Rivoluzione. Influenzati dal ricco passato precolombiano e coloniale, hanno sviluppato un tipo di arte monumentale e pubblica, di ispirazione tradizionale e popolare, che metteva fine all'accademismo imperante, esaltando le proprie origini culturali». 

E quali i luoghi prescelti?

«Il muralismo si è sviluppato fondamentalmente negli edifici pubblici e nell'architettura classica. I muralisti sono diventati in cronisti della storia messicana e del sentimento nazionalista, dall'antichità fino all'attualità. La figura umana e il colore si trasformano nei veri protagonisti della pittura. Rispetto alla tecnica, hanno riscoperto l'impiego dell'affresco e dell'encausto, utilizzando nuovi materiali e procedimenti che assicuravano lunga vita alle opere realizzate all'esterno. Dal 1922 fino ai giorni nostri non si è smesso di fare murales in Messico e questa è una prova della forza e del successo del movimento. Negli anni trenta, il muralismo si è diffuso in Argentina, Perú e Brasile ed è stato adottato anche in alcuni edifici pubblici degli Stati Uniti. A Los Angeles, in California, esiste un impressionante movimento muralista molto legato all'immigrazione». 

In quanto artista, quali occasioni le ha offerto la città di Trento?

«Il Centro sociale Bruno mi ha dato l'opportunità di esprimermi nella creazione di un murale fauvista-espressionista. È un lavoro a tema, per cui può essere facilmente identificato da un gruppo o addirittura da una città, inoltre può suscitare curiosità e molteplici interpretazioni in chi lo osserva».

Lei è spesso in altri luoghi, in altre città, altrove nel mondo. Quali reazioni suscitano le sue opere?

«Curiosità e ammirazione, perché le mie opere vengono lette come una proposta allegra e armonica, sia che si tratti di un murale, di un quadro, una scultura, un corpo dipinto, una composizione sperimentale, commerciale o anche musicale. Certo, ci sono anche persone alle quali non piace ciò che faccio...». 

Cos'è la street art?

«Fa parte della cultura popolare giovanile di diversi quartieri delle grandi metropoli e si è consolidata come mezzo di espressione e comunicazione istantanea, sovversiva rispetto ai mezzi di comunicazione ufficiali; è un'espressione anti-pubblicitaria perché non è a scopo di lucro, però utilizza le immagini della pubblicità, dando loro un nuovo significato con un tocco umoristico, pieno di satira e critica sociale».

Come organizza il lavoro che precede la realizzazione dell'opera su muro?

«Ho dipinto tutti i murales attraverso lo studio delle dimensioni e del bozzetto perché in questo modo posso avere un maggior controllo su ciò che voglio rappresentare e do l'opportunità agli interessati o ad altri pittori di coglierne l'idea generale. Inoltre, lo studio e il bozzetto servono proprio per risolvere il problema delle superfici irregolari e per creare un equilibrio visuale-architettonico evitando così immagini confuse o figure tagliate. Tuttavia finestre, porte, tubature possono essere ignorate e si può fare un murale completo, dipingendo anche sopra le persiane ad esempio; tutto dipende dalle esigenze, dalle richieste o dai gusti». 

Quali sono i suoi soggetti preferiti? Fa uso del lettering?

«I miei soggetti sono diversi, ma ultimamente ho studiato le forme fisiche dei colori metallizzati e cromati che utilizzo per indurre l'osservatore ad una sorta di illusione ottica: è una tecnica che uso per creare, attraverso lettere o figure, l'effetto metallizzato nei murales. La maggior parte delle mie opere hanno un'impronta realistica e spesso anche iper-realistica con un tocco di effetto metallizzato e meccanico; guardo con molto interesse al corpo umano, in quanto elemento plastico dalle molteplici possibilità formali e comunicative».

Ci sono degli elementi, delle formule, delle figure che si ripetono all'interno delle sue opere?

«A volte sì; ad esempio mi diverte lasciare all'interno del murale un simbolo o una frase nascosta, cosicché lo spettatore, che si sofferma ad osservare ogni parte del murale, è colpito da qualcosa di inaspettato...è molto curioso».

Le sue rappresentazioni a quale universo attingono prevalentemente?

«Nel mio universo artistico predomina il corpo umano e la deformazione di alcune parti di esso in un intreccio di elementi metafisici, irreali, fantastici e simbolici. Faccio lo stesso con i vegetali e gli animali».

Quali materiali usa per realizzare i suoi murales?

«Vario in base alle necessità, anche perché a volte non posso avere a disposizione tutto». 

Con quali artisti condivide la sua ricerca e quali sono i suoi contatti con il mondo dell'arte?

«Le mie esperienze nel mondo dell'arte mi hanno portato a conoscere diverse personalità artistiche importanti e altre meno rilevanti, ma sarebbe troppo lungo da raccontare… del progetto "Technomurales" fanno parte due pittori, Tomas Amaya e Jordi Galindo, due amici che si sono identificati nel progetto e si è creata tra noi una comunicazione tale da non avere contrasti nel lavoro perché il nostro fine è lo stesso». 

La sua crescita creativa in quali città o luoghi è maturata?

«Non sono ancora arrivato alla maturità, perché secondo me non esiste una maturità creativa, perché apprendo sempre qualcosa ogni giorno in quello che faccio e vedo; e non è mai abbastanza: c'è sempre qualcos'altro da imparare e migliorare; nel mio lavoro commetto ancora degli errori e ho bisogno di correggerli». 

Quanto della civiltà contemporanea entra nei suoi lavori?

«Molto. Per esempio nella pittura rappresento, indirettamente o soggettivamente, la situazione attuale dei conflitti e delle lotte sociali della nostra civiltà». 

Attraverso le immagini lei racconta, quindi, storie leggibili e riconoscibili?

«Sì, so che per chi osserva le immagini sono più dirette delle lettere. È importante per me raccontare una storia attraverso l'uso delle immagini e in un contesto dove ci si possa ritrovare».

Attraverso l'espressione artistica quale messaggio vorrebbe comunicare?

«Vorrei solo condividere un sogno che grazie all'abilità nel dipingere può materializzarsi; un desiderio che a volte è plurale, nel senso che è tra varie persone che hanno la stessa sensibilità, la stessa inquietudine e che passa dallo stato immaginario allo stato fisico: un frammento di ciò che chiamiamo libertà».

** Questa intervista è stata realizzata dalla giornalista Riccarda Turrina e pubblicata nella pagina della cultura e società del quotidiano l’Adige il 1 aprile. 

** La traduzione è stata curata da Francesca Stanca dell’Associazione Ya Basta.