Questa città di chi pensi che sia

13 / 3 / 2016

Nella notte tra l'11 e il 12 marzo, e durante tutta la giornata di sabato, lo street artist Blu, armato di rullo telescopico, ha passato una mano di grigio su tutte le sue opere a Bologna. Lo ha fatto accompagnato e supportato dagli attivisti dei centri sociali XM24 e Crash, che si sono poi ritrovati denunciati per imbrattamento dalle forze dell'ordine giunte sul posto per convincerli a desistere dall'azione di cancellamento.

Nella giornata in cui a Roma si celebrano, politicamente e mediaticamente, le spugnette in azione contro il degrado, a Bologna invece denunciano attivisti che compivano la medesima azione. 

Questo perchè la cancellazione dei segni sulle pareti delle nostre città, delle strade che abitiamo ogni giorno, è “apprezzabile” solo se alimenta e porta con sé la denuncia del “disordine”, del povero, della marginalità; diventa però atto sovversivo e da reprimere nel momento in cui cambia il verso dell'accusa, non più la marginalità ma il potere: in questo caso incarnato in un'operazione commerciale di un'esposizione sulla street art che ha “strappato” opere dalle mura della città “espropriandole” ad essa e privatizzandole. Ma non solo, l'atto di Blu è anche un'accusa verso una gestione cittadina che ha visto negli ultimi anni lo sgombero di spazi politici di produzione culturale indipendente e di occupazioni abitative, in nome della legalità e della proprietà, e quel frammento di Atlantide sopravvissuto al grigio ne è una prova inconfutabile.

Come ne è prova la frenesia di dichiarazioni che si stanno susseguendo all'interno dell'amministrazione felsinea, rapida a scrollarsi di dosso ogni responsabilità mantenendo la discussione all'interno di una diatriba tra artista e curatore, tra strada e museo. E delineando i confini di un'azione dirompente e di denuncia come quella dell'artista di Senigallia definendola una performance essa stessa, pensando di neutralizzarla circoscrivendola nei confini dell'arte. Come se questa possa essere neutrale.

Blu ci invita a prendere posizione, non certo in nome di un diritto d'autore ma piuttosto in nome di un diritto alla città.

Di seguito il comunicato pubblicato da Wu Ming su Giap

Il 18 marzo si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Tra le opere esposte ce ne saranno alcune staccate dai muri della città, con l’obiettivo dichiarato di «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo», trasformandole in pezzi da museo.

Il patron del progetto è Fabio Roversi Monaco, già membro della loggia massonica Zamboni – De Rolandis, magnifico rettore dell’università dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, tuttora alla guida di Banca Imi, Accademia di Belle Arti e Genus Bononiae – Musei della Città.

Il nome di Roversi Monaco, più di ogni altro nella storia recente di Bologna, evoca la congiuntura di potere, denaro e istituzioni, con la repressione che li accompagna. Ai tempi delle celebrazioni per il Nono Centenario dell’Ateneo cittadino rifiutò qualunque dialogo con gli studenti che protestavano per i costi della festa. Alla cerimonia di inaugurazione, nell’aula magna di Santa Lucia, la polizia tenne i contestatori fuori dalla porta. Il gran galà si concluse con 21 denunce a carico dei manifestanti. Era il 1987. Tre anni dopo, per le occupazioni della Pantera contro la Legge Ruberti che apriva l’università ai finanziamenti privati, le denunce furono 127.

Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui.

Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città. Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade.

Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte.

Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.

Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.

Tutto questo meritava una risposta.

La risposta è giunta la scorsa notte e prosegue nella giornata di oggi, durante la quale uno degli artisti che figura suo malgrado nel cartellone della mostra risponde per le strade della città a ciò che si prepara nelle stanze di Palazzo Pepoli.

Blu cancella i pezzi dipinti a Bologna nel corso di quasi vent’anni.

Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento.

A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi.

Questo atto lo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare.

Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città.

Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno.

Lo compiono coloro che ancora sanno distinguere la via giusta da quella facile.

Wu Ming, Bologna, 11-12 marzo 2016

(trentanovesimo anniversario dell’uccisione di Francesco Lorusso)