Sesto potere - Dialogo tra David Lyon e Zyg­munt Bau­man

28 / 2 / 2014

Proponiamo la recensione ed un intervista con David Lyon, curati da Benedetto Vecchi per il Manifesto,  dedicati al libro in uscita con Laterza che attraverso il dialogo tra l'autore canadese e Zygmunt Bauman affronta le ambiguità delle tec­no­lo­gie, come "le infor­ma­zioni accu­mu­late durante ope­ra­zioni quo­ti­diane sono anche stru­menti di controllo", le nuove forme della sor­ve­glianza come dispo­si­tivo di potere ma anche le forme di resistenza.

Click del controllo

Le videocamere sono una presenza costante nell’arredo urbano. La novità da registrare è che anche le operazioni svolte in Rete o le comunicazioni personali sono diventate strumenti di sorveglianza. Un’intervista con lo studioso inglese per l’uscita di un volume che raccoglie un suo dialogo con Zygmunt Bauman

Viviamo in realtà stret­ta­mente sor­ve­gliate. Le città sono costel­lata da video­ca­mere poste a difesa di edi­fici, ban­che, ospe­dali o per foto­gra­fare auto­mo­bi­li­sti o pedoni irri­spet­tosi delle regole stra­dali. Dopo le rive­la­zioni di Edward Sno­w­den, il sospetto che le comu­ni­ca­zioni in Rete e che i cel­lu­lari fos­sero messi sotto con­trollo è dive­nuto realtà. C’è poi l’inquietante e ormai usuale realtà che vede ogni azione com­piuta usando una tastiera e un mouse regi­strata e memo­riz­zata da imprese che fanno del com­mer­cio dei dati il loro core busi­ness. Infine, anche i mes­saggi scam­biati su Twit­ter o i «mi piace» clic­cati su Face­book diven­tano pro­prietà di que­ste due imprese, tra­sfor­mando i nostri gusti e le nostre rela­zioni in mate­ria prima per le imprese dei Big Data e per gli stessi social net­work. È all’analisi di que­sta realtà che si dedica da oltre trent’anni David Lyon.

Cana­dese, allievo in gio­vane età di Mar­shall McLu­han, Lyon ha docu­men­tato nei suoi libri l’«evoluzione» della società di con­trollo. Ha anno­tato l’emergere di altre forme di con­trollo sociale, soste­nendo tut­ta­via che nella realtà con­tem­po­ra­nee con­vi­vono diversi modelli di «sor­ve­glianza» della popo­la­zione, da quello tra­di­zio­nale del panop­ti­con a quello impal­pa­bile, decen­trato e per­va­siva del synop­ti­con, dove il con­trollo sociale è eser­ci­tato da una plu­ra­lità di isti­tu­zioni poli­ti­che e eco­no­mi­che. È di que­sti giorni l’uscita del volume che lo vede dia­lo­gare con con Zygmunt Bauman. Il titolo ori­gi­nale è Liquid Sur­veil­lance, sor­ve­glianza liquida. La tra­du­zione che l’editore Laterza ha scelto — Sesto potere — è una con­vin­cente chiave di let­tura del dia­logo tra i due stu­diosi: la sor­ve­glianza come dispo­si­tivo di potere. L’intervista parte pro­prio da que­sto punto

Nel volume “Sesto potere” scritto con Zyg­munt Bau­man usi spesso l’espressione «sor­ve­glianza liquida». In pas­sato hai invece pri­vi­le­giato il ter­mine synop­ti­con per indi­care il modello emer­gente di con­trollo sociale. La «sor­ve­glianza liquida» è un’evoluzione del “synop­ti­con” o  indica, invece, una spe­ci­fica forma di controllo?

La discus­sione se il modello del panop­ti­con sia ancora capace di descri­vere le forme di con­trollo nelle società con­tem­po­ra­nea con­ti­nuerà a lungo a riem­pire gli scaf­fali delle libre­rie. Così come aumen­te­ranno i volumi sul synop­ti­con, ter­mine usato per indi­care come il con­trollo sia dive­nuto un feno­meno decen­trato e capil­lare. Ho usato l’espressione «sor­ve­glianza liquida» per met­tere a fuoco il fatto che anche la sor­ve­glianza è ormai per­ce­pita come un ele­mento liquido delle rela­zioni sociali, al pari di quanto Bau­man ha scritto sulla moder­nità liquida. Inol­tre, è impor­tante far emer­gere l’ambivalenza delle forme di sor­ve­glianza con­tem­po­ra­nea. Ci sono, infatti, tec­no­lo­gie che aiu­tano a risol­vere ope­ra­zioni quo­ti­diane, come comu­ni­care, fare pre­no­ta­zioni, acqui­stare un abito o un libro, ma che sono allo stesso tempo tec­no­lo­gie del con­trollo sociale. È quindi essen­ziale ren­dere evi­dente ciò che non è ovvio nel senso comune: cioè che le infor­ma­zioni accu­mu­late durante que­ste ope­ra­zioni quo­ti­diane sono anche stru­menti di controllo.

La società del con­trollo non è dun­que una inquie­tante pos­si­bi­lità che si con­cre­tiz­zerà in un futuro più o meno lon­tano, bensì una realtà del pre­sente. Nella società del con­trollo, la sor­ve­glianza è dif­fusa e avviene attra­verso dispo­si­tivi tec­no­lo­gici – tele­ca­mere ad ogni angolo di strada, soft­ware per il rico­no­sci­mento fac­ciale, mac­chine per scan­ne­riz­zare il corpo, ma anche ban­che dati dove sono memo­riz­zati i dati sen­si­bili sulla nostra salute, il dna – e rap­porti vis-à-vis dove ognuno è con­trol­lore dell’altro e al tempo stesso con­trol­lato dall’altro. Viviamo cioè in un mondo dove la sor­ve­glianza non pre­vede un cen­tro unico di con­trollo, ma è appunta distribuita.

La vicenda di Wiki­leaks e l’affaire Sno­w­den hanno messo in evi­denza il fatto che uno Stato abbia con­trol­lato siste­ma­ti­ca­mente le comu­ni­ca­zioni dei cit­ta­dini. La pri­vacy è stata ridotta a un fetic­cio del pas­sato, visto che gli Stati nazio­nali riven­di­cano la pos­si­bi­lità di con­trol­lare la comu­ni­ca­zione al fine di sal­va­guar­dare la sicu­rezza dei cit­ta­dini. Ci tro­viamo però di fronte a un fatto ine­dito, per­ché il con­trollo è eser­ci­tato in una realtà, come quella della Rete, che ignora i con­fini nazionali…

Siamo in una situa­zione che il cinema ha già messo in scena. Mi rife­ri­sco al film «Bra­zil», uscito quando la Rete muo­veva i primi passi. Cito que­sto film per­ché il pro­blema del rispetto della pri­vacy in con­te­sti dove sfu­mano i con­fini nazio­nali c’è sem­pre stato. Posso quindi rispon­derti dicendo che è un pro­blema che ha biso­gno di solu­zioni nazio­nali, ma anche inter­na­zio­nali, cioè che coin­vol­gono tutti gli stati nel definirle.

L’Iran, la Cina, alcuni paesi dell’Est euro­peo, ma anche gli Stati Uniti vor­re­bero però esten­dere il con­cetto di sovra­nità nazio­nale alla Rete. Allo stesso tempo abbiamo visto moti­pli­carsi epi­sodi di oscu­ra­mento della Rete, di cen­sura, di divieto di accesso a siti sgra­diti. Siamo di fronte alla fine dello spi­rito «solare», cosm­po­lita della Rete e all’inizio di una spi­rito plum­beo, inver­nale del cyber­spa­zio. Qual è il tuo punto di vista?

Agli inizi della dif­fu­sione di Inter­net, le pro­messe di una demo­cra­zia radi­cale e di libero accesso alle infor­ma­zioni e alla cono­scenza erano sulla bocca di tutti. E stato così anche durante le «pri­ma­vere arabe». Accanto alle pro­messe, però, abbiamo, come sot­to­li­nei, assi­stito alla dif­fu­sione di pra­ti­che anti­de­mo­cra­ti­che che con­trad­di­ce­vano quelle pro­messe. La pra­tica della sor­ve­glianza dif­fusa e per­va­siva è infatti un feno­meno che non ha momenti di riposo. In Ger­ma­nia, ma anche in Bra­sile il moni­to­rag­gio con­ti­nuo delle comu­ni­ca­zioni di cit­ta­dini tede­schi o bra­si­liani da parte degli Stati Uniti ha dato vita a discus­sioni accese, a prese di posi­zione sia della pre­si­dente brai­si­lina che della pre­mier tede­sca cri­ti­che verso l’operato degli Stati Uniti. Non so però se i nume­rosi ten­ta­tivi di cen­su­rare la Rete da parte di alcuni paesi o di con­trol­lare le comu­ni­ca­zioni in Rete, come è stato reso evi­dente dalle rive­la­zioni di Sno­w­den, pos­sono essere con­si­de­rati come «l’inverno di inter­net». Ad esem­pio, si mol­ti­pli­cano nel mondo le prese di posi­zione per fer­mare que­ste ten­denza «secu­ri­ta­ria» della Rete. L’11 feb­braio, ad esem­pio c’è stata una gior­nata di mobi­li­ta­zione glo­bale «The day we fight back» che ha chie­sto di fer­mare la cen­sura e la sor­ve­glianza della Rete. Sono segnali di una pas­sione civile che chiede «poli­ti­che attive» per la comu­ni­ca­zione che non pos­sono essere ignorate.

Inter­net è il regno dei social net­work. Face­book, Goo­gle, Ama­zon, Apple sono con­si­de­rati «giganti» del con­trollo sociale. Anche in que­sto caso siamo nel limbo dell’ambivalenza. Miliardi di uomini e donne usano i social net­work per comu­ni­care, anche se i pro­fili indi­vi­duali sono ven­duti come mate­ria prima dalle imprese pubblicitarie.…

Tutte le tec­no­lo­gie e i soft­ware mani­fe­stano la loro ambi­guità. I pro­fitti sei social net­work dipen­dono dal com­mer­cio dei dati indi­vi­duali di miliardi di per­sone. Certo, i con­su­ma­tori pos­sono essere lieti che le stra­te­gie pub­bli­ci­ta­rie sono sem­pre più indi­vi­dua­liz­zate. Dimen­ti­cando che i loro dati sono usati per una «sor­ve­glianza com­mer­cia­liz­zata», qua­li­fi­cata nel les­sico main­stream, come mar­ke­ting. Il nodo gor­diano da scio­gliere è quello che lega le stra­te­gie di sor­ve­glianza degli stati nazio­nali con le stra­te­gie impren­di­to­riali. Per scio­glierlo, o tagliarlo, ser­vono stra­te­gie mirate, con­sa­pe­voli delle pra­ti­che di sot­tra­zione dalla sor­ve­glianza messe in campo da sin­goli o da gruppi pre­senti in Rete. Cosa chie­dono que­sti sin­goli o gruppi? Moda­lità di comu­ni­ca­zione che non siano sot­to­po­ste al con­trollo né dello Stato né delle imprese.

I Big data sono un emer­gente forma di busi­ness dell’economia digi­tale. Anche la sor­ve­glianza è una sofi­sti­cata forma di business?

I big data sono l’essenza dell’economia. E tutti vogliono sal­tare su que­sto carro del pro­fitto. Anche la sor­ve­glianza è una forma di busi­ness. Pos­siamo espri­mere dis­sensi o meno, ma que­sta è la realtà. Ognuno di noi può ritrarsi inor­ri­dotto di fronte que­sta pic­cola verità. Oppure può inter­ro­garsi sulle sue con­se­guenze. Posso solo anno­tare che il busi­ness sui big data è diven­tato un fat­tore rile­vante nelle eco­no­mie capi­ta­li­sti­che. Nel lin­guag­gio algido delle scienze sociali tutto ciò è qua­li­fi­cato come «Fair Infor­ma­tion prac­ties». Un’espressione neu­tra, certo, ma che qua­li­fica l’emergere di un set­tore pro­dut­tivo che non può lasciare indif­fe­rente. I sin­goli pos­sono scan­da­liz­zari su come i loro dati sono usati. Sta di fatto che i Big data costi­tui­scono un con­te­sto pro­dut­tivo che non può più essere igno­rato. In fondo, è la nostra vita che diventa merce di scam­bio. E su que­sto non pos­siamo rima­nere indif­fe­renti. C’è però un fat­tore che meri­te­rebbe una mag­giore atten­zione. Tutti si inter­ro­gano sulle cause sociali, eco­no­mi­che e poli­ti­che che hanno por­tato allo svi­luppo dei Big Data. Pochi, pur­troppo, con­cen­trano l’attenzione sulla gestione delle con­se­guenze pro­vo­cate dalle poli­ti­che della sor­ve­glianza. Con­se­guenze che più che con­te­nere acce­le­rano lo svi­luppo dei Big Data.

In fuga dai Big Data

Saggi . "Sesto potere" di Zygmunt Bauman e David Lyon per Laterza. Nelle società democratiche l’accesso ai diritti civili e politici è ormai strettamente regolato da sofisticate forme di controllo sociale

La società del con­trollo è un’espressione densa di con­se­guenze. Ne aveva scritto Gil­les Deleuze, per segna­lare un muta­mento inter­ve­nuto nel rap­porto tra lo Stato e la società. Se in pas­sato l’esercizio della sovra­nità sta­tale pre­ve­deva spe­ci­fi­che forme di sor­ve­glianza sulla popo­la­zione mutuate dal modello del panop­ti­con messo a punto da Jeremy Ben­tham, nel pre­sente il con­trollo non è eser­ci­tato solo dalla Stato, ma è diven­tato per­va­sivo. L’aspetto più rile­vante della rifles­sione di Deleuze sta però nel fatto che il con­trollo è dele­gato ai sin­goli, che hanno il com­pito di sor­ve­gliare i pro­pri simili per pre­ve­nire l’emergere di com­por­ta­menti «devianti» dalla norma domi­nante. È da que­sto muta­mento che David Lyon e Zyg­munt Bau­man pren­dono le mosse nel volume Sesto potere (Laterza, pp. 161, euro 16).

I due stu­diosi non hanno biso­gno di molte pre­sen­ta­zioni. Bau­man è lo stu­dioso che ha messo a punto l’espressione «moder­nità liquida» per indi­care come nel capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo tutte le isti­tu­zioni del vivere asso­ciato si sono lique­fatte nel flusso con­ti­nuo di merci, infor­ma­zioni e esseri umani, modi­fi­cando i pro­cessi di sog­get­ti­va­zione al punto che la figura che meglio esprime la dimen­sione liquida delle rela­zioni sociali è un «navi­gante» che si lascia tra­spor­tare da quel flusso che ne ridi­se­gna vor­ti­co­sa­mente, e con la sua attiva com­pli­cità, l’identità. David Lyon è invece uno dei più noti ana­li­sti della società del controllo.

In que­sto volume, i due autori sono con­sa­pe­voli che la sor­ve­glianza pre­senta una ambi­va­lenza che raf­forza il potere di chi la eser­cita. Da una parte è infatti con­si­de­rata una ine­vi­ta­bile neces­sità, per­ché serve a pre­ve­nire inat­tesi peri­coli, garan­tendo così la sicu­rezza dei sin­goli. Per que­sto, è un potente dispo­si­tivo che defi­ni­sce i con­fini della cit­ta­di­nanza . Da que­sto punto di vista le pagine che i due autori dedi­cano al banop­ti­con aiu­tano a capire la deriva post­de­mo­cra­tica dei paesi del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo.

Banop­ti­con è il ter­mine che indica quel modello di con­trollo sociale teso a sta­bi­lire spe­ci­fi­chi gruppi della popo­la­zione che devono essere esclusi dai diritti civili, poli­tici e sociali. Spe­ci­fi­cità che ven­gono dedotte pro­prio dall’elaborazione dei dati indi­vi­duali rac­colti sia dallo Stato che dalla imprese. Negli Stati Uniti e in Inghil­terra il caso più ecla­tante sono stati, nel recente pas­sato, gli uomini e le donne di ori­gine araba che vole­vano entrare o già vive­vano nel paese. In altre realtà, invece, è un modello che può essere usato per indi­vi­duare «classi» di popo­la­zione rite­nute peri­co­lose. I migranti, ovvia­mente, ma anche i senza casa, i senza lavoro. Anche in que­sto caso l’ambivalenza del con­trollo dispiega il suo potere per­for­ma­tivo dei rap­porti sociali: l’esclusione è infatti pra­ti­cata in nome della sicu­rezza della mag­gio­ranza inclusa. Sol­tanto che l’esclusione è mobile, cam­bia nel tempo e la tran­su­manza dall’inclusione all’esclusione può coin­vol­gere tutti.

Le tec­no­lo­gie della sor­ve­glianza aiu­tano tut­ta­via gli uomini e le donne a miglio­rare la pro­pria vita, per­ché ridu­cono al minimo il tempo dedi­cato alle mille incom­benze quo­ti­diane. Ma ecco pro­fi­larsi un altro caso di ambi­va­lenza: l’immanente con­se­guenza dei mol­te­plici dispo­si­tivi della sor­ve­glianza è infatti il con­trollo capil­lare e dif­fuso dei com­por­ta­menti indi­vi­duali e col­let­tivi . Viene così pro­gres­si­va­mente can­cel­lata ogni tipo di inti­mità. La vita dei sin­goli è ridotto a un pro­filo dove con­sumi, rela­zioni sen­ti­men­tali, lavo­ra­tive vanno a com­porre un aggre­gato di dati gestito dallo Stato e da parte di imprese che uti­liz­zano quei dati per le pro­prie stra­te­gie di mar­ke­ting; o per ven­derle ad altre imprese. L’«economia dei big data» è pos­si­bile pro­prio gra­zie a que­sta inces­sante espro­pria­zione delle rela­zioni sociali ridotte a con­sumi, gusti, atti­tu­dini. Gli autori del volume non lo dicono mai aper­ta­mente – ne fa accenno nell’introduzione David Lyon – ma il «sesto potere» costi­tuito dalla sor­ve­glianza è rap­pre­sen­tato da un ine­dito com­plesso militare-digitale san­cito da un’alleanza tra pari tra lo stato e imprese che rac­col­gono, gesti­scono ed ela­bo­rano una massa impo­nente di dati individuali.

L’economia della sor­ve­glianza non è però il cen­tro delle rifles­sioni di Bau­man e Lyon. Entrambi cer­cano di scio­gliere il nodo dell’ambivalenza che la sor­ve­glianza ha nella moder­nità liquida. Ne met­tono a fuoco le carat­te­ri­sti­che, sot­to­li­neando che i sin­goli cedono volen­tieri il con­trollo dei pro­pri dati in cam­bio di un miglio­ra­mento della pro­pria vita quo­ti­diana, ma nutrono forti dubbi sulla pos­si­bi­lità che si svi­luppi un’etica pub­blica che punti a rego­la­men­tare, atte­nuan­dola, l’espropriazione della «nuda vita» da parte degli Stati e delle imprese. La società del con­trollo è un fatto irre­ver­si­bile, afferma Lyon; così come la moder­nità è dive­nuta liquida e non c’è più pos­si­bi­lità che ritorni al suo stato solido, aggiunge Bau­man. Al di là di que­sto disin­can­tato pes­si­mi­smo della volontà, il volume pone con forza il fatto che il Sesto potere costi­tuito dalla sor­ve­glianza meriti di essere inter­ro­gato. Per­ché la sor­ve­glianza non riguarda un aspetto secon­da­rio della realtà con­tem­po­ra­nea, ma è il con­te­sto nel quale prende forma il futuro delle società. Una que­stione troppo impor­tante da lasciare dive­nire la preda ambita di chi ha fatto dell’espropriazione dei dati una fio­rente e ricca atti­vità economica.