Sherwood Festival, 22.06 - La costituzione dell'Europa.

Crisi, movimenti e rappresentanza

8 / 6 / 2015

 Lo spazio europeo è sempre di più individuato come terreno minimo dell’agibilità e dell’intervento politico dei movimenti e delle forze della sinistra radicale. Soprattutto negli ultimi mesi un interrogativo si è posto con irruenza nelle riflessioni strategiche e teoriche: è possibile cambiare la costituzione dell’Unione Europea? La vittoria elettorale di Syriza in Grecia e l’affermazione elettorale, soprattutto a Madrid e Barcellona, di Podemos in Spagna rappresentano, seppur con delle notevoli differenze, un’interruzione del normale meccanismo di decisione della governance del Vecchio Continente; non soltanto perché i due partiti impongono un negoziato con i poteri forti anti-democratici della finanza, ma in particolar modo in quanto hanno saputo condensare le rivendicazioni sociali opposte al regime ordoliberale tedesco evidenziando il loro essere possibili. Il linguaggio di queste due formazioni politiche condivide un lessico che non è dissimile da quello che è stato gridato nelle piazze dei movimenti anti-austerity degli scorsi anni: un filo rosso unisce piazza Syntagma a Plaza del Sol, così come molti altri luoghi d’Europa. 

Allo stesso tempo il 18 marzo scorso una grande mobilitazione continentale organizzata dalla coalizione di Blockupy Frankfurt ha attraversato uno dei luoghi della decisione e della responsabilità politica che cade sulla cittadinanza europea: Francoforte, città che ospita la sede della Banca Centrale Europea. I movimenti sociali provenienti da ogni angolo hanno infatti bloccato per un’intera giornata la produzione metropolitana, costringendo la festa di inaugurazione della nuova Eurotower a ridimensionarsi e a rappresentarsi come un luogo estraneo alla metropoli. Lo stesso Mario Draghi ha dovuto riconoscere le rivendicazioni dei manifestanti, che sono andati a colpire il cuore della Germania governata da Merkel. Il governo tedesco ha visto il rischio della cooperazione tra le realtà politiche e sociali che respingono le operazioni politiche della troika proprio all’interno della società tedesca su cui si basa il consenso del governo di Merkel. 

In che senso tutte queste esperienze condividono uno stesso linguaggio rispetto alla trasformazione radicale dell’Europa?

La delegittimazione dell’attuale assetto della governance mina infatti quattro principi portanti che fondano la costituzione reale dell’Unione Europea: il potere della moneta della BCE, la direzione dell’ordoliberalismo di matrice tedesca, il superamento continuo delle democrazie rappresentative moderne ed i confini. Una linea di tendenza che abbiamo visto nelle politiche comunitarie è stata la progressiva centralizzazione del ruolo della Banca Centrale Europea la cui attività di produzione della moneta ha di fatto sancito una sorta di “federalismo a inclusione differenziale” attuando manovre economiche comuni ma fortemente disomogenee. L’Europa è coesa nella gerarchizzazione dei suoi Stati membri nella misura in cui questi sottostanno alla regola aurea e la rispettano; il debito sovrano è il criterio di posizionamento nella gerarchia, è il dispositivo su cui gioca l’esercizio dell’autorità della governance. Ovviamente sul debito si innestano le politiche di disciplinamento e compressione dei costi del lavoro vivo. 

La Germania e la sua Bundesbank occupano  una posizione egemonica e di direzione politica dell’Unione per quanto riguarda le misure monetarie e l’attuazione delle riforme in materia di previdenza sociale e lavoro, nel solco della tradizione ordoliberale della stabilità dei prezzi e della competizione come regolazione del mercato interno ed esterno (da cui la necessità della differenziazione tra i vari Stati membri). La gestione degli ultimi sette anni di crisi ha accentuato l’intervento e il peso specifico politico tedesco nella definizione della governance realizzando “un capitalismo senza democrazia”, per cui la già cadaverica decisionalità degli Stati nazione attraverso la rappresentanza moderna viene completamente svuotata a favore della rendita finanziaria e del profitto. E’ quello che abbiamo visto intensificarsi nel negoziato tra i cosiddetti creditori e la Grecia di Syriza: ad una volontà popolare che ha espresso nettamente la sua preferenza per l’estensione dei diritti e della giustizia sociale si sta contrapponendo la necessità delle riforme strutturali richieste da FMI, BCE, Commissione ed Eurogruppo. Il ricatto dei finanziamenti e dei piani di salvataggio speciali è lo strumento tramite cui si esercita l’imposizione ordoliberale. 

La decisione politica è presa su molteplici livelli, tra i quali vi è sicuramente quello dei singoli governi statuali, ma anche e soprattutto quello sovranazionale che si identifica nella Commissione Europea e nella BCE, le cui scelte sono risposte alle esigenze dei mercati finanziari. La funzione degli Stati sembrerebbe essere quella di applicazione del comando che proviene da un altro piano, pur conservando alcuni caratteri di autonomia come nell’applicazione legislativa, il monopolio della forza e la geografia delle frontiere. 

Di fronte a questa configurazione della costituzione europea parlare di rinegoziazione del debito, di salario minimo europeo, di reddito di base è in potenza un modo per ridisegnare politicamente il Vecchio Continente. Oltre che dalle piazze, queste parole d’ordine e la rivendicazione di democrazia sono state fatte proprie da Syriza e Podemos, arrivando ad ottenere un elevato consenso sociale soprattutto grazie all’interrelazione costituente con i movimenti. La governance europea si è trovata a dover gestire delle situazioni come quella greca che danno indubbie spinte centrifughe al comando dell’austerità e rappresentano un cortocircuito nella sua trasmissione. Ciononostante, dato l’assetto dei poteri brevemente descritto, è possibile pensare ad un’alternativa a partire dai governi nazionali? Guardando a Syriza e Podemos, è pensabile un rapporto tra il sociale ed il politico che sappia sfidare la governance sia sul terreno delle decisioni istituzionale che nella società dove queste ricadono? E’ possibile pensare ad un processo costituente che sia all’altezza della riformulazione dei principi fondativi dell’Europa? E’ pensabile la coesistenza di una rottura “dal basso” portata avanti dai movimenti sociali e una verticalizzazione delle loro istanze per praticare questo obiettivo? In altre parole: come ripensare il rapporto e la simultaneità tra il politico ed il sociale al fine di una trasformazione radicale dell’esistente?

Ne discutiamo con:

Giso Amendola (Professore a Scienze Politiche dell’Università di Salerno, Collettivo Euronamade

Martin Glasenapp (Interventionistische Linke, coalizione tedesca di Blockupy Frankfurt)

Rita Maestre (Ahora Madrid, consigliera e portavoce del governo municipale di Madrid).

Christos Simorelis (Grecia)

Video Interventi: Toni Negri (Collettivo Euronomade, Co-autore dei libri “Impero”, “Moltitudine” e “Comune”)

Modera: Fabio Mengali (Global Project, la Comune d’Europa)