"Side by side" a Sherwood 2017

28 / 6 / 2017

Lunedì 26 giugno, presso lo spazio Sherwood Books & Media, si è svolto il dibattito organizzato dal Progetto Melting Pot Europa “Side by Side. Proteggere le persone non i confini”. Ospiti dell'incontro Pietro Massarotto, avvocato e presidente del Naga di Milano, Nawal Soufi, attivista per i diritti umani e collaboratrice indipendente durante la fase di soccorso dei migranti, e Tommaso Gandini della campagna overthefortress.

Nell'introduzione, Stefano Bleggi di Melting Pot Europa, ha definito la  fase politica attuale in tema di immigrazione caratterizzata dal mantra securitario e del controllo. I due decreti Minniti-Orlando sono  l'esempio di come questo tipo di approccio non si determina solo a livello nazionale ma trova sponda e consenso nello spazio europeo. L'agenda europea sulle migrazioni e soprattutto gli ultimi vertici del Consiglio Europeo indicano una serie di proposte che portano a una generale contrazione del diritto di asilo e la forte volontà di chiudere la rotta del Mediterraneo centrale. Tutta l'attenzione è concentrata, da una parte a impedire le partenze dei migranti dalle coste libiche, dall’altra a restringere, in base alla nazionalità, il campo di applicazione del diritto di asilo e velocizzare il rimpatrio dei migranti cosiddetti irregolari.

E' in atto una tendenza molto chiara, dove continuano a prevalere “l'ideologia del muro” (visibile e non) per bloccare i flussi e politiche orientate a esternalizzare le frontiere europee. Il modello è l'accordo UE-Turchia, che ora deve essere riprodotto con i paesi di origine e transito dei migranti africani, in particolare con la Libia e il Niger. Ed è all'interno di un dibattito politico talmente orientato dal mantra della sicurezza che si legittimano anche i processi mediatici e giudiziari di criminalizzazione nei confronti di coloro che mettono in pratica azioni di solidarietà, come è successo per le Ong che operano i salvataggi in mare o le persone solidali che aiutano i migranti ad attraversare le frontiere.

Il confine per i migranti si manifesta durante tutto il viaggio che li porta in Italia, e anche una volta “superato”, sembra non abbandonare mai chi lo attraversa. Riemerge in tutta la sua violenza nella quotidianità precaria della vita migrante. L’Europa continua a proporre “il confine come metodo” di regolazione della vita.

Quello che nell'introduzione è stato definito «il mantra della sicurezza”, Pietro Massarotto del Naga lo definisce il «mantra della legalità», che prova ad analizzare il fenomeno – la migrazione -  come costante storica nella vita dell’occidente. Un fenomeno che però viene trattato come una sorta di emergenzialità e viene affrontato attraverso il tema della sicurezza e del contenimento dei migranti che si muovono. Da una parte vi è la volontà di stoppare, ma dall’altra prosegue una penetrazione continua dei migranti nel tessuto europeo, non perché ci siano falle nel controllo ma perché le migrazioni non si fermano, sono endemiche.

L'emblema delle politiche europee è il Mar Mediterraneo: quasi 40mila morti stimati negli ultimi 20 anni: «esiste una cecità politica che, nella migliore delle ipotesi è in buonafede, nella peggiore è in malafede. Di fronte a politiche che non funzionano da oltre 20anni, non possiamo più dare fiducia alla “buonafede»”. Un altro dei problemi sollevati da Massarotto consiste nel fatto che in Italia ci sia una normativa nazionale - la Turco-Napolitano, o Testo Unico sull'immigrazione, poi Bossi-Fini - risalente al 1998. È quella che ha introdotto i CPT, poi diventati CIE, e ha introdotto l’espulsione e il rimpatrio: «una norma che non funziona e che produce illegalità. Si prenda il numero delle espulsioni: è molto più basso di coloro che arrivano sul territorio, come è molto più basso il numero dei “rimanenti”. 52mila sono i detenuti nelle carceri italiane, 130 mila sono stati i migranti irregolari che avrebbero dovuto – per la norma – essere trattenuti ed espulsi».

Sono norme che non hanno un valore legato all’efficacia, non funzionano da 18 anni. Hanno però un valore simbolico, nei confronti dei cittadini italiani – che vengono rassicurati – e nei confronti dei cittadini stranieri in cui prendono la forma del “semaforo rosso” – del paese che non li vuole. Sono stralci ideologici che in questo momento, anche se inefficaci, pagano tantissimo dal punto di vista del consenso.

«Non sono norme di legalità ma che creano illegalità» conclude Massarotto, che sostiene di aver  perfino accettato di parlare nei festival della Lega Nord: «avevo dei trucchi che davano risultati: parlavo in dialetto, e facevo una domanda “ma secondo voi se un immigrato ha un lavoro può ottenere un permesso di soggiorno?”; la maggior parte affermava che sì, era ovvio. E a quel punto dicevo che per la legge italiana non era così, il lavoro è un pre-requisito ad avere un permesso. Tutti coloro – irregolari - che lavoravano in nero non potevano diventare regolari perché è impedito dalla normativa italiana».

Mistificazione, pressapochismo e narrazione imprecisa sono, dunque, i veri problemi dell’immigrazione.

Nawal Soufi, attivista per i diritti umani,problematizza innanzitutto sul fatto che le istituzioni, a livello europeo ed italiano, dopo l’operazione Mare Nostrum si sono ritirate dalle operazioni di soccorso.  Ed è in questo contesto che si è inserito un lavoro dal basso di salvataggio di vite umane.

«Uno dei pericoli maggiori è rappresentato dalle autorità libiche» prosegue Nawal «che riconsegnano i migranti ai trafficanti li ricattano e li torturano. Pochi giorni fa alcuni minori sono arrivati in Italia con i segni delle torture inflitte dai trafficanti. Erano stati marchiati a fuoco sulla pelle come animali». Tutto questo è alimentato da una narrazione mediatica che parla di invasione, di emergenza e che non entra nelle dinamiche personifica di questi viaggi. L’attuale regime europeo dei confini determina sistematicamente che solo il più forte riesca ad arrivare in UE.

L’attivismo di tante persone solidali rappresenta in questo momento l’unica speranza concreta di cambiamento, come abbiamo visto a Idomeni ed in altre situazioni. «Dobbiamo cambiare le politiche europee» ammonisce Nawal «perché nei paesi dove verranno respinti i migranti, come ad esempio quello libico, difficilmente riusciremo a incidere».

Infine, rispetto ai media, il loro ruolo sta diventando sempre più quello di alimentare il clima di paura e percezione distorta della realtà: «in merito alle ONG e a chi opera i salvataggi in mare hanno dato in pasto al pubblico una narrazione tossica, creando il caso mediatico basato sul nulla: il fatto che il mio numero per le chiamate SOS sia pubblico è stato utilizzato per dire che anche lo scafista può accedervi, che anche i trafficanti libici e tunisini possono chiamare le ONG. Questo è quello che mostrano i media».

Tommaso Gandini, attivista di overthefortress, traccia un quadro dell'approccio hotspot delle politiche europee, che parte dal laboratorio greco, a seguito della chiusura della Balkan Route ed alla stagnazione di tutti i migranti che si sono ammassati in quell’area e che avrebbero voluto proseguire per gli altri paese dell'Ue. Prima del 2016 il 50% dei migranti non veniva identificato e riusciva ad attraversare i confini ed a chiedere asilo nel Paese in cui voleva arrivare. Dallo scorso anno il cosiddetto “modello hotspot” si è acuito anche in Italia.

Spiega Gandini: «chi riesce a salvarsi, dal mare e dai trafficanti, prima ancora di venire curato, viene fotosegnalato e gli vengono prese le impronte. Se fa richiesta d'asilo è obbligato per effetto del Regolamento Dublino a rimanere nel primo paese di arrivo».

L'Ue imponendo la  chiusura delle frontiere nel nord dei paesi di primo arrivo ha creato una sorta di “Stati-prigione”, esternalizzando controlli e frontiere ancora più a sud. L'Italia, ad esempio, è scesa a patti direttamente con la guardia costiera libica, fornendo addestramento militare e consegnando le motovedette che poi sono utilizzate per respingere con qualsiasi metodo i gommoni con i migranti.

In questo piano per fermare i migranti, le ONG sono identificate come “il nemico”, perchè non salvano solo vite umane, ma osservano e informano in merito a ciò che accade nel Mediterraneo.

«Come campagna overthefortress» conclude Tommaso «dal prossimo mese saremo sulla nave Iuventa degli amici di Jugen Rettet, con lo scopo di raccontare il loro lavoro, ma soprattutto di monitorare cosa avviene in acque internazionali. Inoltre saremo presenti a Ventimiglia a supportare i migranti in transito con l'info point del progetto 20K e all'interno del ghetto di Rosarno con il progetto Hospital(ity) school del collettivo Mamadou».

La seconda parte del dibattito è iniziata con un doveroso applauso a Cédric Herrou, il contadino della Val Roja diventato un simbolo della solidarietà verso i migranti. La settimana scorsa Cedric ha accompagnato una novantina di migranti fino a Nizza ed il 22 giugno è stato messo in stato di fermo per 48 ore per aver accompagnato due minori mentre attraversano la frontiera italo-francese.

Se, come è stato ampiamente raccontato nella prima parte, l'orientamento delle politiche è dettato da un approccio securitario e di contenimento dei flussi, è stata sottolineata l'esistenza di una molteplicità di esperienze solidali che si muovono in Italia ed in Europa. La manifestazione del 20 maggio a Milano, in particolare la piattaforma “Nessuna Persona è Illegale”, ne è un chiaro esempio.

Pietro Massarotto ha raccontato la complessa genesi di quella giornata. Dopo la manifestazione di Barcellona lanciata dal comune, con centinaia di migliaia di persone in piazza per l’accoglienza, l’assessore allo politiche sociali Pierfrancesco Majorino decide di lanciare una analoga marcia a Milano.

Le contraddizioni emerse subito, legate ai vari posizionamenti all’interno del Pd milanese ma anche all’appello molto blando di “Milano senza muri”, hanno consentito di portare diversi contenuti avanzati nella discussione pubblica che ha preceduto la giornata.

Le diverse realtà di movimento, che lavorano sul tema delle migrazioni, si sono interrogate su come attraversare al meglio il percorso, provando a non appiattirsi sulla piattaforma istituzionale ed introducendo il tema dei decreti Minniti-Orlando. «Volevamo impadronirci di quell’evento» spiega Massarotto «e farlo diventare altro, costruendo, attraverso assemblee pubbliche, una piattaforma rivendicativa nei confronti delle istituzioni UE, del Governo Italiano e del Governo della città, coagulata attorno a “Nessuna Persona è Illegale”».

Contrastare il concetto di “illegalità” è centrale in questa fase, perché impatta la stessa strategia della normativa, dell’Unione Europea come dell’Italia, fondata sull’esclusione a priori dei migranti dalla legalità: «nel lavoro di cura, come nell’agricoltura e nella logistica, la normativa è destinata a maneggiare il flusso degli irregolari a priori. Da lì “nessuna persona è illegale”, il cui primo obiettivo è stato la decostruzione dell’illegalità».

La manifestazione si è rivelata un successo perché «da un lato ha impedito la saldatura orchestrata all’interno del PD che riprendeva – a quel punto – il tema della legalità; dall’altro noi siamo riusciti ad allargare di tanto il nostro bacino iniziale, in termini di concetti e persone coinvolte».

Sulle prospettive: «cosa vogliamo fare di questa ricchezza del 20 maggio? Un soggetto di intermediazione politica tra istituzioni e realtà di base non esiste più. A Milano come in Italia. Non esiste più neppure una rappresentanza istituzionale che possa portare le istanze nel palazzo. Quindi l’idea è quella di una soggettivazione in proprio, della costruzione di una rete, di una realtà che al momento non c’è e che non sia partito, sindacato o qualsiasi soggetto politico tradizionale». L’ipotesi è quella di uscire al di fuori dei confini di Milano, proprio perché le migrazioni sono un tema trasversale, un ambito non più per soli tecnici, ma che investe tutte le rivendicazioni politiche della contemporaneità.

Anche Tommaso Gandini e Nawal Soufi hanno insistito sulla necessità di costruire reti che sappiano andare oltre le vertenze territoriali, soprattutto per coinvolgere direttamente i migranti nella costruzione di percorsi politici legati al tema dell’accoglienza.