Un bavaglio all’autocomunicazione

di Lutherblisset

20 / 2 / 2010

I tradizionali paradigmi della comunicazione sono saltati. L’industria dei media è in ristrutturazione. Siamo entrati nell’era della comunicazione personale di massa. La “MeCommunication”, l’autocomunicazione, ridefinisce il palinsesto comunicativo di ognuno intorno alle relazioni sociali dei singoli. Ovvio notare che tutto questo accade per effetto delle profonde trasformazioni portate dall’avvento di Internet e del Web 2.0. Ventiquattro ore di videoclip caricate ogni minuto su Youtube, migliaia di nuovi blog al giorno, quattrocento milioni di utenti attivi su Facebook, decine di miliardi di stringhe di parole su Twitter, ci dicono chiaramente che siamo entrati in una nuova era. Ma l’ingresso in questa nuova era dell’autocomunicazione, come la chiama il sociologo Manuel Castells, porta opportunità e problematiche, talvolta conflitti.

Le opportunità si colgono a partire da relazioni sociali complesse basate sulla cooperazione abilitata dalla disponibilità di hardware e software gratuiti e dall’accesso per molti alla larga banda. Sempre che Facebook non sia percepito come una sorta di Auditel dell’amicizia dove la quantità delle relazioni si sostituisce alla qualità del dialogo e il desiderio narcisistico di autorappresentarsi non sostituisca interamente la voglia di conoscersi e contaminarsi.

Le problematiche sono invece relative alla proprietà dei contenuti prodotti collaborativamente dai singoli e veicolati attraverso i social media e le reti peer to peer della Darknet. In questo processo di produzione e condivisione, gli utenti di Internet aggirano le leggi e i divieti del passato ma essi stessi rischiano l’espropriazione del proprio lavoro creativo. Una volta si chiamava outsourcing il processo di esternalizzazione e delocalizzazione delle funzioni produttive della fabbrica fordista, adesso si chiama crowdsourcing la tendenza ad appaltare alle crowd, le folle anonime sul web, la produzione di oggetti ludici, ideativi, immateriali, e le funzioni di branding e marketing delle imprese vecchio stile: senza remunerazione né riconoscimento.

Quindi da una parte le piattaforme di produzione di contenuti digitali si semplificano e si moltiplicano, grazie all’uso di software libero e open source, diventando i luoghi d’espressione per eccellenza dei nativi digitali, dall’altra le stesse tecnologie di riproduzione informatica e i personal media, rimettono in discussione le leggi sul copyright e il concetto stesso di proprietà , mentre i social network pongono nuove sfide al mantenimento della privacy e alla regolazione dell’intimacy, del livello di intimità che vogliamo stabilire con gli altri con i quali comunichiamo.

Servirebbe un moderato laissez faire o un quadro normativo flessibile per favorire un processo di autoregolazione che, con le sue contraddizioni, ci parla di tecnologia, creatività, comunicazione, invece il Governo italiano si distingue per una stolida volontà di regolamentazione della rete, rigida, interessata, e calata dall’alto. L’occasione stavolta è fornita dalla direttiva europea nota come Audiovisual Media Services che mira a evitare distorsioni nel mercato dei contenuti multimediali e che tradotta da un’apposita legge, il decreto Romani, potrebbe far sparire le pubblicazioni amatoriali. Il decreto, con la scusa di armonizzare la legge italiana con quella europea sulla radiotelevisione ha partorito un pasticcio che vorrebbe parificare le piattaforme video online alle emittenti televisive tradizionali e trasformare i siti di video amatoriali con qualche annuncio pubblicitario in un servizio a scopo di lucro da sottomettere a concessioni e regolazioni governative. L’Autorità Garante delle Comunicazione ha già dato un parere negativo. Anche perché la legge gli delega un controllo sui contenuti di stile cinese per sanzionare violazioni del diritto d’autore, della morale e della sicurezza. Uno degli effetti sarà inoltre quello di uccidere nell’italica culla la nascente industria molecolare dei contenuti digitali e della web-tv, a tutto vantaggio degli altri paesi e dei monopolisti nostrani della televisione. Vi viene in mente qualche nome? Mediaset ha appena lanciato la sua nuova piattaforma di video online.

Arturo Di Corinto

per Peace Reporter