Questo il testo del volantino distribuito in 10 copie numerate durante le manifestazioni del 22 dicembre. Per tutti coloro che ce lo hanno richiesto.

Pacifica difesa della violenza

31 / 12 / 2010

Agli occhi della maggioranza dei commentatori internazionali i tumulti del 14 dicembre a Roma sono apparsi come un avvenimento decisamente normale. In un paese in profonda crisi economica, guidato da un Presidente del Consiglio pluri-inquisito, tycoon e puttaniere, c’è poco da stupirsi che gli studenti facciano esplodere la propria rabbia in modo così violento.

D'altronde anche i nostri politici come i nostri notisti di fronte ad immagini di rivolta provenienti di volta in volta dalla Francia, dalla Grecia o dall’Inghilterra mai sottolineano la propria meraviglia per il fatto che talvolta la violenza esploda. Si interrogano sul come e sul perchè, ma mai nessuno azzarda apodittiche condanne contro la violenza dei manifestanti. Evidentemente la distanza offre una certa garanzia di obiettività.

La violenza infatti, lungi dall’essere qualcosa di inaccettabile per lo Stato, è invece uno dei suoi elementi costituenti e per questo ogni stato ne ha il monopolio attraverso le forze armate. Il monopolio della violenza da parte dello Stato sancisce infatti la stabilizzazione di un rapporto tra forze, uno “stato” appunto. Già perchè ogni Stato, come sistema di organizzazione giuridica, è l’esatto punto di equilibrio storicamente determinato di una contrapposizione violenta tra forze sociali. La rivoluzione francese, il risorgimento italiano, il fascismo, la resistenza al nazi-fascismo sono stati momenti di trasformazione violenta - con migliaia di morti - che hanno consentito una diversa allocazione del monopolio della violenza e con essa una nuova definizione delle regole dello Stato.

Quando dunque un politico italiano pronuncia una frase del tipo “la violenza è sempre inaccettabile” costui sputa sulla storia ma anche sulle forze dell’ordine che quel monopolio sono chiamate a esercitare a garanzia di quanto la violenza passata ha conquistato.

Certo gli aggiustamenti istituzionali non necessariamente passano per l’uso della violenza. Il progredire dei sistemi di governo ha progressivamente portato a regimi in grado di assorbire le istanze che provengono dalla società. Il sistema democratico parlamentare è certamente il migliore, come migliori erano i sistemi che lo hanno preceduto. Nelle moderne democrazie il sistema della rappresentanza parlamentare dovrebbe garantire a ogni cittadino di vedere rappresentate le proprie istanze all’interno dello stato stesso. Lo Stato democratico rappresenta i conflitti nella forma di un dialogo e un confronto parlamentare. Ma una rappresentazione non è mai realtà. Lo sa bene anche il legislatore che garantisce il diritto di manifestazione e di sciopero. Un diritto che offre ai rappresentanti la possibilità di raccogliere istanze non identificate prima e tornare a rappresentarle all’interno dello Stato.  

Ma se tali istanze non vengono raccolte? Se i rappresentati non possono rappresentarle perchè perderebbero i propri privilegi? Se nessuno riconosce l’interlocutore?  Ecco che esplode la violenza. La realtà che rifiuta la sua rappresentazione attraverso l’unica opzione disponibile: il rifiuto del monopolio della violenza da parte dello stato. Come durante la rivoluzione francese o il risorgimento italiano.

La violenza diventa l’unica unità di misura della congruità di una rappresentazione. Se chi dovrebbe rappresentare non è disposto ad ascoltare, l’unica possibilità è mettere la propria vita contro i monopolisti della violenza. Perchè la violenza è rischio personale, salute o morte, la dimostrazione di un esigenza reale. La violenza è unità di misura. Per questo è sempre la violenza ad aver determinato i passaggi storici in cui la realtà si è imposta su una rappresentazione (la monarchia, il fascismo, uno stato coloniale, razzista o corrotto). Una contrapposizione in cui le idee vengono pesate con i corpi disposti a mettersi in gioco, le idee di chi vuole contro lo Stato che può.

La violenza per questo è sempre giustificata, le sue ragioni invece prima di essere giudicate dalla storia dovrebbero essere giudicate dai contemporanei.

Un compito difficile per la prima generazione di classe dirigente italiana a non aver conquistato il proprio ruolo di rappresentanza attraverso una validazione violenta della propria legitimilità e che per questo è debole, corrotta e inetta.

Luther Blissett