"Noi siamo la crisi. Ci prenderemo tutto"

Bari - Da una facoltà occupata al caos metropolitano

Dall'occupazione della Facoltà di lettere a Bari

Utente: virus
7 / 12 / 2010


Chi siamo

Siamo un movimento, nato nell’Università, in seguito all’ennesimo attacco perpetrato dai governi del capitale al mondo della cultura, al mondo dei diritti, alla vita delle persone.

Siamo coloro che si sono uniti ed organizzati in occasione dell’ennesima legge ingiusta, quel DDL Gelmini che consolida il concetto di sapere come merce, e quindi acquistabile, e quindi riservato solo a chi può permetterselo.

Non siamo più studenti, precari, dottorandi, ricercatori, lavoratori salariati, disoccupati, senza tetto, migranti, omosessuali. Rifiutiamo le categorie che continuano a generare divisioni e ingiustizie. Siamo solo partigiani, nel momento in cui abbiamo fatto una scelta ben precisa: nella totalità dello spazio sociale, crudelmente diviso tra chi lavora nel sistema e chi lavora contro lo stesso, noi siamo questi ultimi.

Il fallimento di qualsiasi politica volta a rendere più accettabile un ordine economico e sociale comunque ingiusto nelle sue fondamentai, ci impone di assumere un atteggiamento di rifiuto netto nei confronti di tutto ciò che oggi è interno a quelle dinamiche. Ripartiamo allora dalla riappropriazione della cultura, come nel nostro caso, arrivando agli spazi sociali, alle abitazioni, alla libertà degli individui, ai diritti esistenziali che permettono ad ogni donna ed ogni uomo di sentirsi tale.

Da oggi saremo solo quelle e quelli che hanno detto basta, e impegneranno tutte le proprie forze per sabotare, sovvertire, bloccare, paralizzare il cerchio convulso che provoca morte e orrore in tutto il mondo. Chiunque abbia volontà di opporsi, con qualunque forma repressiva, alla nostra decisione, sarà nostro nemico. Chiunque voglia camminare al nostro fianco, ovunque e comunque, nelle idee e nelle pratiche, sarà nostro compagno.

Cosa facciamo

La normalizzazione del conflitto sociale ha favorito la classe dominante in una gestione sempre più "gentile" del potere e delle sue odiose forme di privilegio. Il volto buono del capitalismo che ha prodotto personaggi come Obama, Vendola, cambia il rapporto con le classi sotto assedio, che diventa ingannevole e mistificatorio, ma resta immutato nelle dinamiche e nella sostanza sempre e comunque a favore delle oligarchie finanziarie.

In un sistema economico basato sullo sfruttamento dei più deboli, sulle guerre e sulla sopraffazione, non esiste istituzione giusta. Sta a noi smascherare il potere, infiammando il conflitto e svegliando le coscienze di chi oggi non vede giustizia, di chi oggi non vede libertà.

Da oggi, ancora una volta, si impone una prassi conflittuale volta a inasprire il rapporto con chi difende e perpetra gli interessi delle classi dominanti. Da oggi non ci accontentiamo più delle manifestazioni simboliche, della propaganda politica, delle affabulazioni retoriche. Queste prassi, rivelatesi negli anni non solo fallimentari, ma funzionali alla normalizzazione dei rapporti con il potere, rappresentano il cancro da estirpare all’interno del movimento.

Da oggi tutte le dinamiche di lotta devono colpire la circolazione dei flussi e la produttività sistemica ad ogni livello. Al decentramento della produzione si deve rispondere con il decentramento dei conflitti, con il blocco continuativo dei traffici di merci, con la paralisi diffusa, con il caos metropolitano, con l’astensione dal lavoro. Lo sciopero generale e le prassi sindacali hanno prodotto la riorganizzazione dell’offensiva del capitale alle vite delle persone. Boicottare quelle forme significa smarcarsi definitivamente dal sistema dell’ opposizione “consentita” e causare realmente danni irreparabili per le organizzazioni economiche e statali. Sabotare quindi le produzioni, i flussi di merci e denaro, boicottare i consumi, bloccare strade, aeroporti, stazioni, reti, connessioni, provocare il bug di un sistema che si regge su distanze brevi per chi comanda e lunghe per chi obbedisce.

La protesta esce in questo modo dalle carte costituzionali e diventa illegale, imprevista, pericolosa. Le democrazie mostreranno allora il loro vero volto repressivo, quello che anche oggi in brevi frangenti non disdegnano a ripresentare per soffocare piccoli e isolati focolai di rivolta.

Portiamo nelle strade il conflitto senza nome nè età, senza bandiere nè sigle, in modo da moltiplicare i focolai, e rendere sempre più difficile una gestione pacifica delle crisi di piazza. Inaspriamo i rapporti con le forze dell’ordine e le autorità, segniamo definitivamente il tracciato che delimita il confine, netto, tra chi sciopera e chi produce.

Cosa vogliamo

Il nostro obbiettivo è duplice. Da una parte provocare il collasso di quel sistema che mette sotto attacco, costantemente, le nostre vite e i nostri diritti. Dall’altra, costruire l’altro mondo possibile. Riappropriarci quindi di saperi, spazi, tempi nella metropoli del capitale.

In una società di regole imposte e non condivise saremo noi a definire la nostra esistenza, a realizzarci come individui, provocando una crepa all’interno della quale affermare le nostre idee e aspirazioni, una crepa che contribuiremo ad allargare fino a inghiottire tutto il sistema esistente. A Bari vivono tre spazi liberati, due sono case occupate dai migranti, uno è un centro sociale. Queste realtà rappresentano l’altra città possibile, quella senza profitti, senza ingiustizie e sopraffazioni, senza razzismo e sessismo, senza leggi repressive e poteri forti. Noi vogliamo che l’Università entri a far parte a pieno titoli di questa città, vogliamo aprire gli atenei alle persone, autorganizzando e condividendo i saperi, vogliamo innescare una nuova miccia che dia forza al dissenso, che moltiplichi il conflitto, che spalanchi le coscienze, e che ci renda donne e uomini liberi.

Un’altra città è possibile, un altro mondo è possibile, in cui gli spazi e la cultura siano di tutti, nessuno escluso. Ogni momento di blocco, ogni spazio riaperto, ogni sapere ricondiviso rappresentano per noi una vittoria.

Noi siamo la crisi. Ci prenderemo tutto.

Bari, 6 dicembre 2010