Rivolta al Cie di Bari

Bari - La libertà si conquista

In sei riescono a fuggire, feriti tra i trattenuti e le forze dell’ordine.

30 / 7 / 2010

Nella torrida estate dei Centri di Identificazione ed Espulsione italiani si svelano, come ogni anno, le condizioni di carcerazione ed i soprusi cui sono costretti i migranti in Italia.

E, così, dopo le rivolte nei Cie di Gradisca, Vulpitta, Brunelleschi, Corelli anche al quartiere San Paolo di Bari esplode la rabbia e la voglia di libertà.

Questa notte, a seguito della protesta contro le espulsioni e le condizioni di vita giornaliere all’interno del Centro, i migranti rinchiusi hanno manifestato nell’unico modo possibile le loro condizioni di disagio e la loro rabbia. A fronte delle espulsioni (imminenti o differite) la soluzione praticabile e praticata è stata quella di tentare la fuga. A fronte di chi vuole braccia, ma si ritrova esseri umani la soluzione praticabile è stata la rivolta.

In molti, questa notte sono riusciti a fuggire. Sembrano almeno sei i reclusi del Cie di Bari ad essere riusciti a fuggire a seguito della mobilitazione massiva dell’ultima notte.

Altri si sono arroccati sui tetti o hanno contribuito alla fuga facendo esplodere la loro rabbia.

La situazione nel Cie di Bari fa da contraltare a quella del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo del non lontano quartiere di Bari Palese.

Anche all’interno del Cara, infatti, sono giorni che i migranti protestano con scioperi della fame, atti di autolesionismo e tentativi di suicidio.

Di fronte a questo enorme disagio, tuttavia, le risposte istituzionali sono esclusivamente repressive o ghettizzanti. Non un piano di accoglienza nazionale, regionale o locale riguarda i migranti che, nuovamente, tornano a sbarcare sulle coste pugliesi; non un servizio sociale messo a disposizione degli stessi, siano essi richiedenti asilo o espellendi.

E tutto questo si associa alle uniche forma di intervento pubblico in questo ambito: reclusione nei Cie e ghettizzazione nel Cara, il tutto quanto più possibile lontano dagli occhi dei “cittadini”.

E’ dalla loro istituzione, con la Legge Turco Napolitano del 1998, che ci battiamo affinchè i Cie vengano chiusi ed affinchè i richiedenti asilo possano vedere vagliate le loro istanze di protezione senza dovere aspettare tempi indefiniti che li portano, realmente, a perdere il senno. Sono anni, ormai, che ci battiamo affinchè alla parola “accoglienza” seguano politiche degne di tale nome e non meccanismi di potere appaltati a privati e/o al terzo settore, se non ai militari; sono anni che chiediamo politiche abitative e sociali, politiche per la prima e la seconda accoglienza. Allo stato attuale, nonostante i governi nazionali e regionali che cambiano, nulla è stato realmente fatto e le parole si svuotano di senso, servono solo a velare la tragedia quotidiana di migliaia e migliaia di persone.

A seguito delle nuove normative volute dal Ministro Maroni ed al prolungamento della reclusione nei Cie sino a 6 mesi le condizioni minimi vitali all’interno di questi non/luoghi sono, però, addirittura peggiorate.

Ma sulla sofferenza la politica istituzionale, nei fatti, tace.

Tace sui cittadini stranieri coinvolti nei fatti di Rosarno e poi rinchiusi nel Cie di Bari, tace sui richiedenti asilo e sui tempi del vaglio delle loro richieste, tace sul diritto all’abitare in maniera dignitosa, tace sui servizi sanitari e sociali di ogni tipo, tace sulle risposte da dare agli sbarchi.

A Bari le uniche risposte reali sembrano essere arrivate dalle occupazioni di stabili in città e dalla caparbia dei movimenti sociali. Oltre che dalle rivolte e dalle manifestazioni di protesta all’interno di Cie e Cara, comunque sempre presenti nel panorama della geografia del conflitto sociale in Italia.

E, da queste rivolte, da questa indignazione che si rende visibile e si svela la condizione di inumanità in cui si vorrebbero rinchiudere le persone straniere; da queste rivolte arriva un grido di dignità per tutti: la libertà si conquista.

Rete Antirazzista di Bari

Rete Antirazzista di Bari