In morte di Carlo Macrì

Carletto che voleva la rivoluzione

un comunista vero

11 / 8 / 2016

Che fortuna che abbiamo avuto noi a conoscere Carletto o Carlito. Lo conobbi in una riunione in un paesino vicino Reggio Calabria. Era un covo di rivoluzionari pari a quelli mazziniani carbonari. Gente venuta da tutta la Calabria ognuno con un bagaglio di lotte, di occupazioni, di piccola guerriglia, di molotov lanciate durante le manifestazioni. Ognuno pieno di idee, di cose da fare, ognuno voglioso di cambiare la nostra regione allora come oggi infestata di ndranghetisti, banditi politici, massoni, bastardi speculatori, merde di sfruttatori. Era la fine degli anni 70 ed alle spalle avevamo una stagione di guerra contro lo stato. Molti di noi erano stati arrestati, perquisiti, condannati ad anni di carcere solo per un comizio, per un’affissione abusiva di manifesti inneggianti alla rivoluzione, per un giornale stampato clandestinamente. Nella riunione affollata di giovani con capelli lunghi, vestiti ancora alla beat, che fumavano canne o si atteggiavano a che Guevara, Carletto primeggiava per il suo sembrare “vecchio” militante. In effetti era giovane come noi, ma lui sembrava uno “vecchio” almeno così fu la mia impressione. Forse perché vestiva come mio padre, o perché fumasse il sigaro, o perché parlava lentamente e pensava prima di parlare e fare un intervento, o perché ti ascoltava. Non era uno di quegli intellettuali che nelle riunioni per primeggiare citava i Gundrisse di Marx o il Capitale. Parlava “terra terra” e ti sorrideva .

Così scrissero di Carlo  quei militanti coraggiosi del famigerato libretto ROSSI ROSSI ROSSI BRIGANTI ROSSI, stampato clandestinamente in una tipografia di Roma a seguito degli arresti di Fiora Pirri e Lanfranco Caminiti accusati di far parte di una cellula terroristica calabrese denominata “Primi fuochi di guerriglia”.

Il dott.Ennio Gaudio ordinatore della Digos di Reggio Calabria si è anche messo alla ricerca di “covi” da scoprire, ma l’esito è stato negativo. Il “pretesto ufficiale  sarebbe costituito dalla presenza in quella città delle “Unità  combattenti comuniste”, che si erano fatte vive qualche mese prima dell’attentato alle Saline, con un’incursione nella sede dell’Assindustria, dove venne legato un impiegato, staccati i fili del telefono e semidistrutti alcuni documenti. A coronamento di questo piano di annientamento, è stato arrestato il compagno Carlo Macrì del PC ml, nei confronti del quale si è provveduto a trasformare l’iniziale fermo in arresto, “poiché sarebbero emersi a suo carico degli elementi che proverebbero i suoi contatti con Maria Fiore Pirri e la sua appartenenza a banda armata. In realtà a Macrì è stata sequestrata  un’agenda nella quale, fra l’altro c’era il nome della Pirri, che a sua volta aveva segnato il nome di Carlo Macrì. Inoltre per quanto concerne gli elementi che dimostrerebbero la sua appartenenza a banda armata, si sa con certezza che i documenti che attesterebbero una simile affermazione, non sono altro che giornali della sinistra rivoluzionaria, regolarmente in vendita e in circolazione in tutta Italia. Gli avvocati di Macrì hanno presentato istanza per la scarcerazione del loro assistito smontando pezzo per pezzo l’assurda macchinazione ordita dall’autorità giudiziaria  e dalla Digos nei confronti del compagno. A tutt’oggi però,     ( luglio 1978)  nonostante l’assoluta infondatezza delle accuse il Macrì continua a restare in carcere.  Evidentemente i “tutori dell’ordine” non gli perdonano la sua lunga militanza nel PCml e il fatto che egli sia stato sempre presente nelle lotte della zona. Inoltre il Macrì è conosciuto dalla squadra politica in seguito alle numerose denunce per vilipendio che sono state presentate in passato nei suoi confronti”.

Macrì dopo qualche mese di prigione venne rilasciato. Su di lui non c’era una minima prova di nessun genere. Ma non ne uscì intimidito dalla carcerazione , anzi, si mise subito al lavoro per creare lotte autonome e autogestite nel territorio. Nacque così l’Autonomia proletaria calabrese che divenne subito riferimento regionale di decine di collettivi autogestiti esistenti in tutta la Calabria. Nell’aprile del 1980 Carlo Macrì accompagna un amico a Napoli per un lavoro. La notte viaggiano per tornare a Reggio Calabria, la mattina presto si fermano ad una stazione di rifornimento per un caffè. Carlo compra la Gazzetta del Sud e vede la sua faccia . Erano stati arrestati appartenenti ad un gruppo terroristico operante in Calabria collegato a Primi fuochi di guerriglia. Una nuova provocazione ordita dalla Digos per smantellare la rete dell’autonomia. Gli arrestati erano Francesco Cirillo, Giancarlo Mattia, Franco Malanga, Nino Russo,Palmiro Spanò e lui stesso che leggeva sorseggiando il caffè. Macrì riuscì subito ad espatriare e rifugiarsi in Francia dove già un migliaio di appartenenti all’autonomia operaia si erano rifugiati per sfuggire alla repressione. Il Presidente Mitterand aveva dato disponibilità di esilio a chiunque non avesse commesso reati di sangue. Macrì trovò casa e lavoro così come tanti rifugiati. Ed a lui mi rivolsi quando nel 1984 venne spiccato un nuovo ordine d’arresto nonostante dopo un anno e due mesi di carcere speciale, venimmo scarcerati. L’appello si faceva a Catanzaro e ci volevano di nuovo in galera. Riuscii ad arrivare clandestinamente in Francia dopo un passaggio in Spagna e lì venimmo accolti da Carletto. Un suo amico vecchio partigiano dei Maquis, gli aveva dato le chiavi di un appartamento alla Defense di Parigi e lì restammo per qualche mese in attesa della sentenza che arrivò a Dicembre. Eravamo cospiratori e non terroristi. La cassazione nel 1985 confermò tale sentenza. Carletto ritornò in Italia e riprese il suo posto di segretario scolastico a Bianco. Anche in pieno riflusso politico continuò ad essere riferimento politico delle poche lotte ancora in piedi nel territorio reggino. Poi in pensione se ne andò a Cuba sognando la rivoluzione e partecipando ai processi rivoluzionari in Venezuela e Nicaragua. Tornava in estate e partecipava attivamente alle iniziative del Cso Cartella. Era sempre lo stesso, con il suo sigaro, il suo sorriso, il suo ascoltare gli altri. Un infarto ce lo ha tolto improvvisamente. Il suo cuore non ce l’ha fatta, così come lui non ce l’ha fatta a fare la rivoluzione sognata per tutta la vita.

Se io muoio non piangere per me, fai quello che facevo io e continuerò vivendo in te.

( Che Guevara )