Come i governi finanziano la distruzione del pianeta

Utente: bertac
6 / 3 / 2016

Questo articolo è apparso il 20 febbraio 2016 nel sul blog Rigurgito Critico.

I giornalisti di Inside Climate News (ICN), un istituto con base a New York che si occupa di ricerca nel campo delle scienze climatiche, hanno condotto una inchiesta durata otto mesi che mostra il coinvolgimento della Exxon (attualmente ExxonMobil, seconda compagnia petrolifera al mondo per profitti) nel negazionismo del cambiamento climatico, dopo anni passati all’avanguardia della ricerca scientifica sugli effetti della CO2 sul clima.

Negli ultimi anni ’70 i maggiori dirigenti e funzionari della compagnia erano determinati a comprendere il ruolo della CO2 nel provocare l’effetto serra. Questa risoluzione era dovuta alla necessità di calcolare i rischi che i fattori ambientali ponevano alla sua attività economica, cioè valutare come l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera avrebbe potuto cambiare le politiche dei governi e come queste avrebbero influito sulla sua redditività.

La Exxon stanziò milioni di dollari per progetti di ricerca, cooperando con i maggiori scienziati universitari nel campo della ricerca climatica e con il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti. Gli scienziati della società confermarono quella che era un’opinione condivisa nella comunità scientifica: il riscaldamento causato dalle emissioni di CO2 poteva rivelarsi anche peggiore del previsto. I risultati furono pubblicati in diverse riviste scientifiche, e si rilevarono azzeccati.

“Poi verso la fine degli anni ’80, la Exxon ridimensionò la sua ricerca sull’anidride carbonica. Nei decenni a seguire la Exxon ha agito invece in prima linea nel negazionismo del problema climatico. Ha posto la sua forza a sostegno di tentativi di creare dubbi sulla realtà del riscaldamento globale che i suoi stessi scienziati avevano a suo tempo confermato. Ha esercitato pressioni per bloccare iniziative federali e internazionali per controllare le emissioni di gas serra. Ha contribuito a erigere un vasto edificio di disinformazione che permane tuttora.” (I primi sei articoli della serie pubblicata da ICN e tradotti in italiano si trovano su ZNetItaly)

Ora, mi sembra che i risultati dell’inchiesta siano piuttosto significativi, non credete? Una delle maggiori compagnie petrolifere del mondo agisce coscientemente per distruggere il pianeta alla ricerca del profitto immediato.

La nostra cara stampa italiana però la pensa diversamente. Ne parlo adesso, nonostante i primi articoli siano stati pubblicati a settembre, proprio perché il silenzio continua tutt’ora. Passate in rassegna i maggiori quotidiani italiani, leggete ogni singolo numero in cerca di qualche indizio. Silenzio totale.

Già in altri articoli ho accennato a come i maggiori media riflettano sostanzialmente gli interessi delle élite. Questo è un caso esemplare. Quali sono dunque questi interessi?

I governi dei paesi sviluppati spendono circa 88 miliardi di dollari ogni anno in sussidi alle attività di esplorazione per i combustibili fossili, tramite spese dirette, finanziamento di infrastrutture, agevolazioni fiscali, concessione di prestiti e garanzie, sostegno ai prezzi di mercato, finanziamento tramite banche per lo sviluppo nazionali (la SACE italiana spende ogni anno 246 milioni di dollari finanziando attività di esplorazione ed estrazione) e banche internazionali come la Banca Mondiale, che ha fornito più di $300 milioni dal 2010 al 2013 per l’esplorazione di combustibili fossili (triste ironia, considerando che l’obiettivo dichiarato della Banca Mondiale è quello di eliminare la povertà dal mondo).

Secondo Oil Change International, questi sussidi creano incentivi per le compagnie a continuare a cercare nuove riserve di petrolio, gas e carbone, quando le riserve attualmente esistenti costituiscono già le tre volte l’ammontare di combustibile che può essere bruciato in relativa sicurezza. In questo modo i sussidi all’esplorazione rendono utilizzabili combustibili fossili che sarebbero altrimenti antieconomici.

Nel 2013, i profitti generati dalle compagnie che hanno beneficiato dei finanziamenti governativi sono stati di circa $98 miliardi, di cui solamente il 5% è tornato indietro ai governi come reddito (in Italia la percentuale di profitti di cui hanno beneficiato le casse pubbliche è dello 0.3%; il finanziamento è avvenuto attraverso la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e la SACE, Servizi Assicurativi del Commercio Estero). I salari degli amministratori delegati delle cinque maggiori compagnie petrolifere ammontavano nel 2012 a $96 milioni.

Come potrete immaginare, essi hanno molto da perdere. Per fare in modo che i propri interessi non vengano intaccati vengono spesi ogni anno circa $213 milioni in campagne di lobbying.

Come sempre, a farne le spese sono i più poveri. Ecco alcune considerazioni di un rapporto Oxfam, dal titolo Disuguaglianza climatica: “i più poveri sono maggiormente esposti ai disastri naturali come siccità, inondazioni e ondate di calore rispetto alla media dell’intera popolazione”; “molto spesso sono le donne ad essere maggiormente esposte ai rischi legati al surriscaldamento globale poiché tendono ad essere più dipendenti da attività economiche soggette alle condizioni climatiche”. La conclusione: “è una crisi provocata dai più ricchi ai danni dei più poveri.”

Se c’è un insegnamento che si può ricavare da tutto questo è che non possiamo più continuare a fare affidamento ai governi perché risolvano i nostri problemi, egli stessi governi che si dimostrano essere una semplice estensione del potere privato. La risposta non può che venire dal basso, e i tempi non ammettono ulteriori indugi.