E adesso che facciamo?

di Alfonso Mandia

18 / 6 / 2011

Passato qualche giorno dal trionfo e metabolizzata l’euforia del successo epocale, sarà bene farseli, due ragionamenti.

La vittoria schiacciante dei referendum ha davvero segnato l’inizio di un nuovo capitolo storico, per questo paese, e per diversi motivi, primo fra tutti perché è stata una vittoria della popolazione e soltanto di quella, fuori i partiti, Idv a parte ma solo in parte, che han fatto una meravigliosa doppia figura di merda, amministrative comprese, arrotolandosi nei soliti giochini di potere, mentre la gente decideva che era venuto il momento di sbattere i pugni sul tavolo e dire basta ad un Regime infame che ha fatto tabula rasa dei valori che devono essere fondanti di una società che si possa ritenere civile non soltanto per aggettivo, ma per pratiche quotidiane.

Quel che sta accadendo in questi giorni, d’altra parte, come il regalino razzista che padron Silvio ha fatto a quelle bestie immonde della Lega, dell’estensione a diciotto mesi dell’incarcerazione nei “CIE” dei migranti, decreto passato in parlamento nel silenzio tombale della cosiddetta “sinistra”, ci restituisce la visione di un sistema di potere sordo ai richiami di una società che, tutta, dai comunisti ai cattolici, dai fascisti ai democristiani puri, ha urlato un chiaro “NO” ai partiti, alla loro concezione di intendere e praticare il buon vivere, come tentar di metter sul mercato beni che son di tutti e che a tutti devono esser disponibili, a prescindere da quel che, nel rispetto dell’essere umano, si voti, si preghi, si pratichi, ha detto “NO” ai nostri “esimi onorevoli” (sì, con la “o” minuscola), alla loro spavalderia, nei modi, nei toni, nella convinzione di poter decidere delle vite altrui seduti attorno al tavolo di una trattoria, nella presunzione, odiosa, di sentirsi custodi di una moralità che loro stessi han gettato nel cesso senza colpo ferire.

E adesso che facciamo?

Per come la vedo ci attende al varco il passaggio più impegnativo, culturalmente prima materialmente poi.

Culturalmente perché scollarci di dosso la innata tentazione di lasciar fare ad altri ci accompagna oramai da sempre. La pratica della delega appartiene alla categoria dei mali endemici di noi altri italiani, per pigrizia, convenienza o semplice ignoranza poco importa. Il chevuoifarcifunzionacosì scorre sempre sotto vena, e se ventisette milioni di cittadine e cittadini che han riaperto gli occhi e riacceso il cervello non vi sembran pochi, attenzione a non sottovalutare i danni che può fare l’altra metà, che tra ignoranza, opportunismo, menefreghismo e varie ed eventuali, ha ancora serissimi problemi di comunicazione e coordinamento tra emisfero destro e emisfero sinistro.

Materialmente perché il lavoro quotidiano, intellettuale e materiale, che ognuno di noi, nel suo piccolo o grande che sia, dovrà sviluppare e portare a condivisione per non giocarsi vent’anni di lotte sarà immane, sfiancante, a volte apparentemente insostenibile a fronte dell’infinità delle “sfide” che apre una fase storica politica e culturale come questa che stiam vivendo. Dovremo ridar forza e importanza alle nostre professionalità e capacità, assumerci l’onore ma anche l’onere di non tacere più davanti a devianze e ingiustizie che han portato alla catastrofe e all’abbrutimento noi stessi prima e questo paese poi. Ancor di più dovremo gestire materialmente tutti quegli aspetti, materiali e spirituali che tanto fortemente, aldilà delle più rosee aspettative, abbiam voluto, con il voto, rimettere al centro di un’idea di società altra.

Gli anni che ci aspettano son mica una roba da ridere, le cose che dobbiam riprenderci sono ancora tante, dalla scuola al lavoro, dalla cultura a spazi vitali accoglienti, vivibili, condivisi, da una società finalmente giusta e pulita, alla possibilità per tutti di mangiar bene e fare una vita soltanto un pò più sana, serena.

Dunque, mi vien da scrivere, tirarsi sù le maniche e diamoci da fare, che è venuta l’ora di darsi una svegliata.

Dunque, mi vien da scrivere, buon lavoro a tutti noi, di tutto cuore.