Il Mezzogiorno d'Italia nel mare comune- di Raffaele Cimmino

20 / 4 / 2011

La questione del Mezzogiorno –  sud tra i sud d’Europa - sotto l’incalzare dei colpi del governo della destra a trazione leghista chiede l’elaborazine un nuovo pensiero ciritico e meridiano da utilizzare nel contesto di un più ampio dibattito culturale e politico nella sinistra.

Una riflessione, quella sul Sud, che va sorvegliata attentamente per evitare di cadere negli stereotipi, o peggio, in una narrazione minoritaria che si riduca al “paradigma vittimario” al recupero dell’antico vezzo che vuole sia meglio il peggior padrone di casa proprio che il migliore padrone italiano.

Ma per fare questo serve perciò inquadrare in partenza in tutta la sua crudezza lo stato della realtà dicendo intanto che non è vero che il Mezzogiorno è bloccato: il Mezzogiorno nel suo complesso arretra a grande velocità. E il dato rilevante è che da otto anni consecutivamente il Sud arretra rispetto al settentrione. Non si era mai verificato dal dopoguerra un tale divario e una tale tendenza all’allargamento della frattura tra le due parti del paese. E’ evidente che le regioni meridionali  sono entrate in una spirale di declino che sembra irreversibile. Ed è difficile credere che questa deriva possa consentire una ripresa seria della stessa economia nazionale.

E’ in questo quadro che cade il Federalismo fiscale i cui decreti attuativi sono in corso di approvazione. E’ la stessa aggettivazione a denunciare fuori da ogni mascheramento qual è  la vera sostanza di questo riassetto istituzionale: un gigantesco trasferimento di risorse dal Sud al Nord, tale da svuotare le stesse garanzie di uguaglianza sostanziale previste dalla Costituzione repubblicana e realizzare così una secessione di  fatto. Si devolve  ai livelli territoriali non già la facoltà ma sostanzialmente l’obbligo, dato il taglio ingentissimo di risorse, di appesantire il carico fiscale e non certo secondo criteri di progressività. E’ fin troppo facile prevedere che le conseguenze che ne deriveranno saranno devastanti. Che il Sud del paese è destinato a diventare aree periferica e di risulta, retrovia logistica della piattaforma padana al servizio dell’economia franco-tedesca. Il comando  politico di un progetto così  regressivo non potrà che essere appaltato al comando politico indiretto o diretto delle mafie. Che alcuni colletti bianchi delle  mafie siano arrivati sulla tolda di comando di partiti nazionali nonché a detenere una riserva di voti fondamentali per i destini di leader nazionali e dei loro partiti è sotto gli occhi di tutti, che queste degenerazioni, meno marcatamente, allignino anche nel ceto politico del centro-sinistra è altresì evidente: il quadro è destinato solo a peggiorare.

Se è così, bisogna scavalcare la miseria del dibattito politico nazionale privilegiando la costruzione di un discorso autonomo sul Mezzogiorno.  Non in termini di separatezza, ma come parte della questione mediterranea e parte del tema di una nuova area geopolitica ed economica: qualcosa che va ben oltre l’abbozzo tracciato negli anni ’90 dal programma di Barcellona ravvivato dall’Euromed in una prospettiva esclusivamente liberoscambista, quella privilegiata dalla sempre più  malferma Europa carolingia.

 Il Mezzogiorno costituisce  un problema nazionale; e non se ne esce se non superando la sottomissione della politica al mercato, se non mettendo in campo politiche industriali ed economiche nazionali che rispondano a un principio di programmazione democratica. Ma il Sud è anche tra quei “Mezzogiorno  d’Europa” che sono questione che riguarda l’intera area mediterranea. E questo spiega perché va messo in discussione il paradigma che vede questa parte del paese solo come una zavorra, senza peraltro tacere che anche in larghe aree della sinistra questo assunto è stato largamente interiorizzato. Serve invece pensare al Sud come a un laboratorio per ricalibrare  la stessa funzione del paese nel quadro europeo, ragionando su quella che non è solo una suggestione ma che può proporsi come base di un percorso politico nuovo.

 E’ la stessa posizione  geopolitica del Sud che suggerisce il ruolo che  l’intero paese può interpretare al crocevia di una delle aree potenzialmente più vitali dei prossimi decenni. Perché c’è una convergenza tutt’altro che astratta tra i paesi dell’area del Mediterraneo. Da qui la possibilità  di creare un nuovo “centro” capace di affiancare e bilanciare quelli esistenti.

Queste possibilità dunque vanno indagate, soprattutto per non rimanere prigionieri di schemi eurocentrici che presuppongono  la divisione in  aree forti e centrali da un lato e aree deboli da lasciare affondare dall’altro.  Si fa stringente ormai la necessità  di un riequilibrio politico dell’Europa finora solo carolingia, ristretta al nocciolo franco-tedesco, la quale – sotto la bacchetta della BCE e il comando politico della Germania - sta stringendo le tenaglie del compatibilismo strozzando le già provate aree deboli della UE con i lacci di criteri  presuntivamente garanti di stabilità e crescita ma che in realtà tolgono ossigeno all’economia reale e minano quello che resta del modello sociale europeo.

E’ urgente perciò  uscire da solco tracciato dal comando politico tedesco, dal paradigma mercantilista e monetarista che informa la UE. Serve mettere in campo progetti e proposte per evitare che il Sud insieme agli altri Mezzogiorno d’Europa scivoli in posizioni irreversibilmente periferiche e verso una catastrofe economica e sociale che lo scenario greco ha solo fatto intravedere e che il Federalismo leghista vuole sostanzialmente assecondare.

Come? Seguendo intanto con attenzione quelle lotte e quei rivolgimenti che stanno percorrendo il Medio Oriente e la sponda sud del Mediterraneo e che perciò stanno anche richiamando venti di guerra dal Nord:  proprio per impedire che nello scacchiere mediterraneo si imbocchino strade nuove.

Le masse arabe che, secondo l’ immaginario costruito ad arte dai think-tank occidentali, pensavamo fossero il brodo di coltura del terrorismo quaedista si sono rivelate per quelle che sono: moltitudini desideranti spinte dal desiderio di libertà, giovani che sono identici ai loro coetanei europei, menti fertili che corrono lungo le reti telematiche,  dignità offese dalle stesse umiliazioni che il neo-liberismo e i suoi sacerdoti officianti  infliggono all’Europa che fu culla del modello keynesiano.

Il Mezzogiorno è sull’orlo dell’abisso. Ma l’abisso è quello del Mediterraneo. Per non caderci dentro deve costruire ponti con l’altra sponda. E lasciare il libero il passaggio non solo alle merci, ma alle menti e ai corpi che sono il “comune” su cui si può costruire una nuova entità mediterranea. Rivolgendo in positivo contro il finanz-capitalismo, per dirla alla Gallino, la deterritorializzazione e la dinamica dei flussi. Non più quello delle merci, ma delle menti e dei corpi, dei saperi collettivi, del nuovo “general intellect”  meridiano in grado di smontare anche il meccanismo della violenza del Leviatano che si è levata pronta a   ricomporre i cocci dei regimi filo-occidentali morenti, prodotti dal grido di libertà che abbiamo ascoltato dai nostri fratelli e sorelle dell’altra sponda del grande mare che ci unisce.