Il suicidio di Amina scuote il Marocco

Utente: Persepolis
19 / 3 / 2012

Costretta a sposare il suo stupratore, la ragazza si è tolta la vita. Le donne si mobilitano rivendicando una Primavera che il codice culturale e penale ancora nega. E il governo islamista ascolta

di Luigi Spinola da Il Riformista, 17 marzo 2012

Amina Filali aveva sedici anni e viveva a Larache, città portuale del nord del Marocco, vicino a Tangeri. Qui ha passato i suoi ultimi giorni lieti il cattivo ragazzo della letteratura francese Jean Genet, che vi trovava giovani disponibili e molta luce lungo la corniche affacciata sull’oceano.

A Larache Jean Genet c’è tornato da morto è sepolto nel piccolo cimitero spagnolo della città dopo aver perso la vita cadendo in una triste stanza d’albergo parigina. Amina a Larache è morta dopo aver mandato giù veleno per topi, in mezzo alla strada dove l’aveva trascinata per i capelli il marito, oltraggiato dal suo tentato suicidio.

Amina si è tolta la vita perché è stata costretta a sposare l’uomo che l’aveva violentata. E le donne marocchine infuriate si stanno ora mobilitando per rivendicare una primavera di diritti ignorati dal codice culturale, e negati da quello penale.
L’articolo 475 del codice penale marocchino prevede per chi “sequestra” una donna alla violenza sessuale si allude soltanto, per non disonorare la famiglia di chi la subisce la possibilità di non finire in galera sposando la vittima. E siccome in teoria il reato può essere punito con la reclusione fino a dieci anni se la vittima è maggiorenne, fino a venti se ha meno di diciotto anni, allo stupratore il matrimonio conviene. E “conviene” alla famiglia della vittima, che può cancellare l’onta della verginità perduta. Così è andata a Larache. Quando il padre di Amina ha denunciato la violenza subita dalla figlia, la stessa magistratura gli ha suggerito l’accomodamento previsto dal codice, racconta ora Lahcen Filali al quotidiano on-line goud.ma. Le due famiglie hanno trattato. Lo stupratore era riluttante. Poi si è fatto convincere. Le famiglie si sono riconciliate. E il giudice tenendo conto conto delle «circostanze speciali» ha permesso il matrimonio, altrimenti vietato dalla legge prima dei diciotto anni. Amina è andata a vivere con l’uomo che l’aveva stuprata e che nei pochi mesi in cui è durato il matrimonio l’ha anche sistematicamente picchiata. Sabato scorso Amina si è suicidata.
 La sua storia ha scosso il Paese e acceso la rivolta delle donne, che prima sono scese a manifestare a Larache, davanti alla corte che ha dato il via libera al matrimonio, e oggi a mezzogiorno si ritroveranno non solo tra donne si augurano davanti al parlamento di Rabat per «dire no allo stupro con la complicità dello Stato», come recita la pagina Facebook a lei intitolata. «Amina è stata violentata tre volte, dal suo stupratore, dalla tradizione e dall’articolo 475 del codice penale» twitta l’attivista Abadila Maaelayne.

La pressione dell’opinione pubblica ha costretto anche il governo guidato dal Fratello musulmano Abdelilah Benkirane a dedicare al caso buona parte dell’ultimo consiglio dei ministri. Il Marocco per la prima volta ha un esecutivo espresso da una maggioranza parlamentare “reale”, quella uscita dalle elezioni di fine novembre, organizzate dopo le riforme costituzionali volute da re Mohammed VI. E a Rabat si è da poco insediato un governo di coalizione dominato dal partito islamista moderato della Giustizia e dello Sviluppo, ancora sotto osservazione su questioni “sensibili” come i diritti delle donne.

«Questa ragazza è stata violentata due volte, la seconda quando è stata sposata» commenta il portavoce governativo e ministro della comunicazione Mustapha el Khelfi, assicurando che «studieremo in modo approfondito la situazione (…) considerando anche la possibilità di aggravare le pene nel quadro di una riforma dell’articolo 475». E il ministro della Giustizia Mustapha Ramid fa sapere che ha «un’attenzione speciale al caso di Amina» e s’impegna a metterà in piedi una commissione speciale che lavorerà sulle disposizioni penali per garantire «una migliore protezione dei diritti delle donne».

Il Marocco peraltro ha già varato nel 2004 un nuovo diritto di famiglia considerato un modello di riformismo nella regione. E’ stata abolita l’obbedienza dovuta dalla moglie al marito, la possibilità per lo stesso di divorziare unilateralmente fuori dai tribunali e il suo diritto esclusivo all’affidamento dei figli. Questo sulla carta. E sulla carta (statistiche Onu del 2009) in Marocco vi sono solo 3.6 casi di stupro denunciati su 100.000 donne, mentre stando a uno studio dello scorso anno quasi una donna su quattro è stata sessualmente aggredita almeno una volta nella vita. E presumibilmente ha poi preferito stare zitta, per non fare la fine di Amina. «In Marocco, se una ragazza non vi vuole, violentatela!» twitta Layla Belmahi. «Così siete sicuri di poterla anche sposare». La primavera ancora tarda ad arrivare.